CITAZIONE (LokiTorino @ 4/5/2010, 09:50)
Manca ancora qualche aggiornamento, ma i dati del tesseramento del 2009 che allego a questo post possono essere considerati definitivi.
Come vedete gli iscritti sono 46449, pari al 65% dell’anno precedente.
Si tratta di un arretramento pesante che avevamo ampiamente previsto nella assemblea nazionale di Caserta il 7 e 8 novembre dello scorso anno (...).
La mia analisi.Parto da un presupposto: divido il Grassi organizzatore dal Grassi teorico e dal Grassi correntizio.
Il Grassi organizzatore è mediocre, i risultati sono scadenti, la catena di comando sfilacciata, lui è poco energico, troppo lento, troppo "apparato", insomma, inadeguato ai tempi che corrono oggi.
Il Grassi teorico è sicuramente meglio, le sue analisi sono più lucide di altri, ma soffrono lo stesso del problema fondamentale del PRC: è anche lui un 1.0.
Il Grassi correntizio è eccezionale: ha preferito svuotare un partito per tenere dentro i suoi ai posti di comando, secondo una logica da Basso Impero.
Veniamo al documento che ho postato. Provo a ricalcare la suddivisione in punti tenuta da Grassi.
Grassi nel 2010 si accorge di quello che Idea Sherwood si era accorta nel 2006. Solo 4 anni di distanza! Il problema è che Grassi si accorge nel 2010 di come era la fotografia socio-politica del 2006!
Intanto sono passati quattro anni e le cose sono ulteriormente cambiate.
La politica non è in crisi, è in crisi il modello di politica che conosce Grassi, la sua mancanza di visione non è determinata dalla grossa confusione sotto il cielo, bensì dal suo vissuto che non gli permette di capire dove sta andando la partecipazione politica collettiva.
La società moderna autodistrugge ogni partecipazione collettiva alla politica, di conseguenza i partiti di forma tradizionale sono spariti o si sono adagiati su meccanismi vincenti. Ma quali sono più i partiti tradizionali? Se li analizziamo ad uno ad uno, scopriamo che a ben vedere è rimasta solo la premiata ditta PRC-PDCI, la Lega e l'UDC ad essere partiti di stampo vagamente tradizionale.
Il PDL è un mass-media di tipo nuovo, gestisce in maniera modulare il collante dei blocchi sociali di potere sotto la sua ala e produce consenso attraverso i media tradizionali.
Il PD è un insieme di lobby clientelari stratificate ereditate in parte dal PCI (centro Italia, Torino, etc.), in parte dalla Margherita, unite agli interessi finanziari di grossi potentati economici produttivi e non (FIAT, gruppo De Benedetti, Banche, etc.).
L'IDV è un comitato d'affari che ruota attorno alla figura di Di Pietro.
La SEL è un comitato d'affari che ruota attorno alla figura di Vendola.
Il M5S è un agglomerato di tipo nuovo costruito sul connubio molto "occidentalmente democratico" della partecipazione orizzontale condizionata al leader carismatico. Non a caso le idee le porta il capo, lo stesso che dirime le questioni salienti (leggasi assessorati).
I tradizionali, chiamiamoli così, che funzionano sono l'UDC, grazie alla sua fitta rete clientelare nel sud Italia, e la Lega che vince fondamentalmente grazie ad una tenuta interna encomiabile, una linea politica semplice, ultra lineare e in fase, una rete clientelare e un immaginario potentissimo.
Il PRC non funziona come partito tradizionale e non è in grado di svilupparsi in una nuova forma adatta al presente.
Perché non riesce a trasformarsi? Secondo me per due motivi, uno soggettivo e uno oggettivo. Il motivo soggettivo è perché gli stessi elementi che compongono il PRC hanno in testa modelli fallimentari e irraggiungibili di partito: chi pensa al partito massa, chi al partito d'opinione, chi al partito dei lavoratori, etc.
Il fattore oggettivo è che per muovere un partito da una posizione ad un'altra sono necessari due fattori: o una richiesta fortissima della base determinata da fattori esterni traumatici tali da richiedere un veloce cambiamento di rotta a 180° (tipo una guerra, un golpe, etc.) o un leader che faccia passare il guado al carrozzone.
Oggi nel PRC mancano entrambi i fattori, ergo è condannata all'immobilismo totale, inutile pensare di spostare il partito anche solo di un millimetro.
Qual è la risposta geniale di Grassi alla crisi della politica dei partiti tradizionali? La solita ricetta riscaldata dell'apertura dei circoli. Bene, il P*S lo diceva già 2 anni fa, dov'era Grassi in quel periodo?
Probabilmente ad organizzare una presa del potere in qualche federazione non completamente allineata.
Ma veniamo alla questione: come ha dimostrato il P*S, l'apertura del partito alla società non funziona se non si innescano due fattori ineludibili: marketing e clientelismo.
La proposta che portano avanti Piobbico e Ferrero sulle teorie di Mimmo Porcaro, ovvero quella della riattivazione collettiva della società tramite dell'innesco del P*S è completamente velleitaria e fuori dalla realtà. Soprattutto se non si prova a costruire nel contempo una narrazione collettiva di tale portata da sviluppare un effetto trainante. Ma le grandi narrazioni necessitano di un mito fondativo e di una grossa vittoria per svilupparsi. Solo che se tu lavori costantemente per smontare qualsiasi mito fondativo grazie al settarismo dogmatico (Garibaldi no, era cattivo - l'Italia no, è brutta - l'URSS no, erano mangiabimbi - la Cina no, è una dittatura - il SXXI di Chavez no, è un militare - etc.), se disinneschi ogni possibile vittoria internazionale e non produci uno straccio di vittoria da queste parti, beh, non fai molta strada.
Dunque la riattivazione sociale proposta dal P*S e ripresa in forma soft da Grassi non serve ad un cazzo se non hai dietro una macchina comunicativa enorme e non produci clientele seppur di tipo nuovo.
Senza contare che il risultato disastroso di Casapound al presidio del 7 maggio dimostra che la sola comunicazione non basta assolutamente per radicarti nella società.
Ad ogni modo mi fa morire dal ridere questo passaggio in particolare: "la formazione e il dibattito sulle grandi questione teoriche, storiche e internazionali. Perché se è vero che il giovane che si avvicina a Rifondazione comunista diffida giustamente di dogmatiche certezze, è altrettanto vero che vuole discutere “in profondità” i problemi che vive". Ma dove vive Grassi? Su Marte?
Il secondo punto descritto da Grassi parte bene, condivido il problema della frammentazione, ma lo condivido esternamente visto che per me la sinistra non si deve riaggregare ma deve sparire. Perlomeno la sinistra come è ipotizzata dal PRC, SEL e sinistra PD. Quella sinistra lì è un freno allo sviluppo di forze autonome realmente emancipatrici perché, come sostengono sia Preve che Losurdo, i "progressisti" nostrani sono ben lungi dal rappresentare le forze di emancipazione del popolo e dell'individuo.
Veniamo piuttosto al punto che ho trovato divertente: "i progetti per il momento sono diversi, ma sono tante le lotte che possiamo fare assieme se accantoniamo le “beghe dei piccoli orticelli”: raccolta di firme per il referendum sull’acqua; sostegno al mondo del lavoro; lotta al razzismo e a tutte le forme di discriminazione; difesa della Costituzione e dei valori della Resistenza".
Grassi, essendo responsabile nazionale dell'organizzazione, non conosce neanche la differenza tra tema e progetto! La raccolta firme per l'acqua è un progetto, il sostegno al mondo del lavoro è un tema che si deve tradurre in progetti realizzabili. Se partono così sono messi proprio bene.
E infatti anche nell'organizzazione del partito i militanti e i dirigenti non conoscono la differenza tra parlare di un tema e produrne dei progetti. Pensano ancora che parlare di quanto è brutto il precariato abbia la stessa valenza in termini di consenso di organizzare una cassa di solidarietà per i lavoratori precari.
Terzo punto.
Anche qua Grassi parte bene e poi si perde, per finire razzolando malissimo.
E' estremamente corretta l'analisi (vabbè, oramai lo sanno anche i muri) del meccanismo di subordinazione al governo Prodi. Ma giusto quello.
Come si sono accorti oramai quasi tutti qua sul forum, abbiamo di fronte una movimentazione politica che contrappone in maniera sempre più stridente due blocchi di potere antagonisti che si portano dietro due concezioni della politica differente.
Abbiamo al governo un blocco reazionario sotto attacco da un blocco tecno-oligopolista. Come un cane di Pavlov, Grassi e Ferrero rispondono alla chiamata degli oligopoli sulla base non di un'analisi bensì di un'identità: i reazionari lo sanno tutti, sono fascisti. Essendo il fascismo male assoluto, l'equazione è presto fatta: Berlusconi è il male assoluto.
Il problema è che a ben vedere, invece, non è assolutamente detto che la gestione del potere reazionaria sia peggio di quella oligopolistica. Perlomeno chi lo sostiene dovrebbe anche motivarlo in maniera chiara. Invece alla domanda di solito sono spallucce, timidi sguardi e qualche parola a mezza voce.
Chiediamocelo chiaramente: è peggio un governo reazionario o quello tecnocrate e oligopolista per i lavoratori italiani?
Io non sono così sicuro di quale sia il peggiore al momento. Di certo non mi basta la retorica antifascista per fare una scelta di campo magari suicida.
Chiudo la mia riflessione ponendo l'accento su un termine utilizzato da Grassi: "ricostruzione". Ma sto partito è sempre in ricostruzione? Quando mai finirà la sua ricostruzione e si sarà stabilizzato? Non è che oramai si utilizza quel termine per consuetudine e per eludere la vera natura dei problemi?