| Omnia Sunt Communia |
| | Visto alla Feltrinelli, penso di prenderlo: La crisi economica mondiale riporta all’attenzione tematiche alla base del “patto socialdemocratico”, in primis la necessità di bilanciare libertà dell’individuo e giustizia sociale, e la ricerca di un equilibrio fra il campo d’azione dello stato e il mercato. Dai recenti dibattiti sollevati con la recessione alla pubblicazione dell’enciclica papale Caritas in veritate, alla discussione attorno alla cosiddetta
“economia sociale di mercato”, analizzando per la prima volta senza censure il vituperato rapporto tra cooperazione e partiti politici italiani, attraverso esempi concreti come il controverso caso Unipol-Bnl scoppiato nel 2005, il libro di Mattia Granata smaschera le contraddizioni che minacciano la compattezza della sinistra italiana. Non solo: l’autore porta alla luce nodi gordiani da sciogliere per modernizzarne la cultura e inaugurare una nuova epoca del progressismo sulle macerie di ideologie ormai crollate da vent’anni. L’identità culturale e politica delle sinistre si è sempre fondata su una visione economica totalizzante: ritrova-
re convinzioni, credenze e valori coinvolgenti, significa rinsaldarne l’identità stessa.Intervista all'autore (da Legacooplombardia.it): Mattia Granata (Università degli studi di Milano); ha scritto diversi libri e studi sull’economia e l’impresa e sulla storia e teoria della cooperazione. Tra questi Impresa cooperativa e politica (Mondadori, 2005) e Cultura del mercato (Rubbettino, 2008). Da anni si occupa attivamente di cooperazione anche dall’interno della Legacoop Lombardia, prima nel settore industriale della produzione e lavoro, e poi come responsabile Education di Legacoop e membro della direzione regionale.
Perché un libro sul rapporto tra sinistra e mercato?
«La crisi economica mondiale ha riportato alla ribalta i temi alla base del “patto socialdemocratico” a partire dalla necessità di bilanciare libertà dell’individuo e giustizia sociale, e della ricerca di un equilibrio fra stato e mercato. Il problema è che nei dibattiti sollevati dalla recessione e alimentati dall’enciclica Caritas in veritate, un documento fondamentale, e dalla discussione attorno alla cosiddetta “economia sociale di mercato”, la sinistra si è mostrata quasi sempre muta, sovente subalterna, e, con tutto il rispetto, pare accettare di farsi spiegare dal Papa e da Tremonti le idee che lei stessa ha inventato e diffuso da oltre un secolo…»
Quali sono i motivi di questi silenzi?
«I motivi derivano da una cultura politica sfibrata e logorata che non ha mai elaborato una cultura economica che assimilasse le logiche del mercato e della concorrenza come elementi di sviluppo tecnologico, economico, e anche sociale».
La sinistra italiana ha ancora oggi un cattivo rapporto con lo stesso concetto di “impresa”.
«Le forze politiche della sinistra italiana fondavano la propria lettura e comprensione del mondo su un paradigma totalizzante, quello marxista leninista, che notoriamente non si sposava con il mercato. Certo, alcune componenti di questa aree avevano maturato analisi e pratiche piu’ avanzate che, tuttavia, non sono mai diventate maggioritarie. Da venti anni a questa parte, poi, sostanzialmente nulla è stato fatto per elaborare una cultura politica moderna e più attuale. La leggerezza disarmante con cui la sinistra italiana approccia i temi dell’economia, ne è una prova, purtroppo, lampante, e la cooperazione se ne rende ben conto…»
Appunto, la cooperazione ha un ruolo, in questo quadro?
«Il ruolo della cooperazione è centrale, per se stessa e per gli altri. O meglio: sarebbe centrale se i cooperatori decidessero finalmente di mettere a punto una macchina velocissima e moderna che in questi anni, per quanto a volte scarburata, ha mostrato una straordinaria vitalità ed energia. Gli ideali cooperativi sono di grande attualità in questi tempi di crisi, perché sono sorti proprio per affrontare le imperfezioni e le ingiustizie che a volte annidano nel mercato, per dare opportunità, pari opportunità, a tutti, per diffondere il merito delle idee e delle competenze e la giustizia sociale. Ma soprattutto le forze politiche progressiste, oggi quanto mai in difficoltà, avrebbero molto da imparare dalla cooperazione che da sempre e’ “riformista e di mercato”, se solo la ascoltassero. E molti ascolterebbero la cooperazione se solo essa sapesse alzare la voce per farsi conoscere meglio e per diffondere le buone pratiche che ogni giorno realizza. La cultura del “saper fare” oggi non basta più: nella società dell’informazione ci vuole anche la cultura del “saper dire”».
Quindi, ci sono e quali sono gli spazi per lo sviluppo della cooperazione?
«Ci sono, e sono spazi ampi, sono praterie. Alla politica manca cultura progressista, e le imprese cooperative ne hanno da sempre in abbondanza e la praticano di continuo. Lo stato è in alcune sue funzioni decrepito, e la cooperazione “privata e sociale”, ogni giorno in settori fondamentali da concreti esempi di efficienza e socialità. Ne cito alcuni: il tradizionale campo dell’educazione e della formazione: la cooperazione, anche sociale, attua in questo settore ottime pratiche che quotidianamente coprono molti degli spazi lasciati scoperti da pubblico e per risolvere problemi che questo non risolve: perché non riscoprire la vena educazionista delle forze laiche e progressiste e pensare a progetti educativi più ampi, a vere e proprie scuole? E poi; si affacciano sempre più le cosiddette “cooperative del sapere. I professionisti del sapere sono bistrattati, è noto e purtuttavia rappresentano un elemento dinamico della nostra società. Ordini professionali, camorre accademiche, blocchi generazionali, assenza di merito e concorrenza ne frustrano ogni giorno le ambizioni e le competenze, è un disastro per questo paese: la cooperazione può diventare, e sempre di più lo è, uno strumento potenzialmente moderno per offrire a queste categorie uno strumento per sfuggire a quei blocchi attraverso un’azione nel mercato. E infine il campo aperto dei servizi pubblici, in cui la storica abilità della cooperazione nell’organizzare i consumatori e gli utenti, è una grande potenzialità per ampliare un settore che è esempio lampante di sviluppo. Certo in Italia non c’è un Cameron a proporre di imperniare sulla cooperazione la riforma dei pubblici servizi. Ma questo è forse più la conseguenza che la causa di una timidezza cooperativa di questi anni; ed è la dimostrazione di come mai come oggi sia fondamentale un rinnovato “coraggio culturale” dei progressisti e dei cooperatori. Spero che questo libro sia utile, che susciti confronto magari litigi; mi piacerebbe se nelle cooperative, nei consigli di amministrazione, nelle sezioni soci si aprissero dei dibattiti al riguardo. Spesso basta poco, un’assemblea partecipata, un dibattito, magari una discussione accesa, per liberare energie e per aprire strade nuove. Io sono a disposizione, anzi, mi getterei volentieri in queste piccole arene di dibattito che oggi paiono del tutto scomparse».
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