Odio di classe in tempi di crisi

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Lavrentij
view post Posted on 16/9/2010, 20:51 by: Lavrentij




Marchionne insulta gli operai: "Faccio più sacrifici di voi"
Giovedì 16 Settembre 2010 14:19
Continua il botta e risposta tra gli operai della Fiat e Sergio Marchionne. E questa volta sembra proprio si sia raggiunto il limite. I lavoratori si lamentano? Prima di contestare dovrebbero chiedersi "se sarebbero disposti a fare una vita come la mia". È quanto ha affermato l'amministratore delegato della casa automobilistica torinese nella conferenza stampa al termine dell'assemblea degli azionisti.
«Voglio rispondere alla domanda che mi hanno fatto fuori», ha detto Marchionne riferendosi al presidio di alcune organizzazioni sindacali davanti al Lingotto, «se sia giusto che io venga pagato 400 volte il salario più basso di questa azienda. Intanto la relazione è sbagliata, perché bisogna fare il calcolo su un salario medio pagato dalla Fiat in tutte le parti del mondo. A parte questo, io vorrei sapere quante di queste persone sono disposte a fare questa vita qui. Domandi quando è l'ultima volta che sono andato in ferie e poi ne parliamo».
Il problema, ha continuato, è che «si parla sempre di diritti e mai di doveri. Bisogna volere bene a questo Paese e rimboccarsi le maniche per lavorare. Io stamattina quando sono arrivato alle sei e mezza non mi sono preoccupato se i miei diritti erano stati rispettati, sono andato a lavorare. Non possiamo - ha proseguito - fare discorsi provinciali per gestire un'azienda che ha ambizioni e posizioni globali. Sono due cose completamente diverse. Quindi quando sento questi discorsi, anche da gente che storicamente ho sempre rispettato intellettualmente, mi dà un grandissimo fastidio ma mi dispiace anche. È tutto lì, non è tanto complicato il discorso. Il problema è che bisogna andare fuori dall'Italia. Uno va in giro, si guarda intorno e torna con le idee molte più chiare».
http://www.nuovasocieta.it/attualita/7849-...ci-di-voiq.html

di Giuseppe Provenzano su l’Unità – 16 settembre 2010

Idisperati salgono sui tetti, e prima o poi accade: uno si butta giù. Si buttano giù, i giovani italiani, al Sud più che altrove, quando arriva il giorno in cui si chiedono: a cosa è servito tanto studiare? Un giorno di settembre, se mancanotre mesi alla laurea, o al dottorato, e si chiedono che fare dopo. Dopo che sei salito su un tetto, e non vedi una via per scendere, e se scendi non vedi una via – che fai, dopo? Di Norman Zarcone, 27 anni, dottorando in filosofia del linguaggio, laureato con la lode, che si è buttato giù, da un terrazzo al settimo piano della Facoltà di Lettere di Palermo, interessa il prima. Interessa la vita. La sua vita di ogni giorno prima, come le vite degli altri. Dei ragazzi che hanno studiato tanto, e bene. Di quelli che hanno una passione, la ricerca, e per quella si sottopongono allo scandalo moderno dei dottorati senza borsa, nella disperanza che prima o poi qualcuno si accorga del merito. I dottorandi senza borsa, come i praticanti senza stipendio, i dipendenti senza contratto, e così via, senza via.Oi ricercatori pronti ad aspettare – all’Università, si sa, si attende – a patto di avere una prospettiva, per quanto incerta. E che ora sono pronti a protestare – all’Università, non si sa, ma si protesta – perché la prospettiva è negata. E quando protestano, anche nella civilissima a Bologna, subiscono il ricatto di un Senato accademico che minaccia di sostituirli – nell’insegnamento non dovuto – con i docenti a contratto. Dando di più a quelli che già hanno – perché nell’Italia di oggi, così si affronta la crisi, per questa via. Senza una via, attendeva Norman, senza prospettiva, come gli altri. Nella condizione dell’eterno esame riservato a chi non ha la fortuna di averli già vinti gli esami – cioè, ereditati. Nella negazione dell’etica pubblica, del diritto allo studio, al lavoro. Di tutto ciò che Napolitano con tenacia riafferma ogni giorno – e ancora ieri, nell’Italia di Adro, di Gelmini e Tremonti sordi e muti e complici – sulla scuola e la formazione, la ricerca e il merito, contro i tagli indiscriminati, e discriminanti sul futuro. Proprio quello cheNormannon ha visto più, il mattino dopo di una vita in cui ha creduto nello studio, ma anche nell’«etica del lavoro»: dopo un’estate passata a piantare ombrelloni nelle spiagge per venticinque euro al giorno. Chissà cos’ha pensato, ogni giorno. Quanti giorni a 25 euro ci vogliono per farsi una casa, una famiglia o forse solo un viaggio con la ragazza? Il tempo di accorgersi, un giorno, che a uno come Norman, o a un’altra, sono stati negati anche i tempi biologici. E ci si butta giù, a pensare ai professori che ti scoraggiano, ti invitano ad andartene o a mollare. A fare altro. E cosa? Ci si butta giù, a pensare alle vite dei padri quando avevano l’età nostra.Apensare alle case, alla casa del padre dove si è costretti a vivere, nell’attesa. Ora, derubricate pure questa morte – di cui non ha parlato nessun giornale nazionale, nella catasta di tragedie quotidiane e di miserie da prima pagina – a episodio di “disagio giovanile”. Il tema è questa vita: la vita agra nell’Italia di oggi dei giovani a un cornicione che fumanol’ultima sigaretta,comeraccontano gli ultimi testimoni della vita di Norman. La vita offesa dei giovani che si buttano giù o che stanno lì per sempre, immobili e in bilico, precari sull’orlo, precaria la vita. È l’Unità negata, per i tanti che da Mezzogiorno prendono la via del Nord, perché alla domanda – a cosa serve tanto studiare? – hanno trovato una sola risposta: a emigrare. È l’Italia negata, per tutti quelli che sono costretti a lasciare la casa del padre alla ricerca di un pezzo di cielo, comeunica via. Lech lechà, vattene. L’Italia della cacciata, della fuga, delle defezioni. Gli esuli di una nazione che non risorge, e che si butta giù. Molti amici di Norman, dalle loro città settentrionali o straniere, non hanno potuto partecipare al funerale; e danno voce al loro lamento, su facebook. In questi giorni, la gente del Sud si è ritrovata ai funerali. A Sant’Orsola di Palermo, come al porto di Acciaroli. Durante l’omelia, però, stavolta, nessuno ha potuto gridare, come per Angelo Vassallo, “speriamo che i responsabili non siano tra noi”. Ché “questa generazione è sacrificata ogni giorno” – dice Masino, collega e coetaneo di Norman. E mentre un padre – che confessa di aver cercato, invano, tutte le raccomandazioni – grida all’« omicidio di Stato» e piange un figlio al cimitero, l’Italia non si cura del destino dei suoi agnelli. I tanti Isacco dell’assassinio consumato, senza più angeli a fermare la mano. Nel nome degli altri padri. Nel nome dei padrini. E così non sia.

http://www.claudiograssi.org/wordpress/201...na-vita-offesa/
 
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15 replies since 28/5/2010, 13:28   380 views
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