La legge di Marchionne, Un'analisi dell'accordo Fiat Mirafiori

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LokiTorino
view post Posted on 23/1/2011, 18:16




o forse era proprio una minchiata dall'inizio?
Forse sono le condizioni materiali che creano l'uomo e non viceversa?

Direi che 20 anni di esperimenti sono stati sufficienti.
Ne è la prova il capitalismo anomico dei nostri tempi.
 
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BIXIO*CV
view post Posted on 23/1/2011, 19:03




Prime vittime:
Negri e i teorici del «lavoro cognitivo» o «immateriale»

(prima parte)


di Moreno Pasquinelli

Nel grafico accanto i risultati reparto per reparto. Spicca la vittoria "bulgara" del "Sì" tra gli impiegati, senza la quale Marchionne e il suo Esercito della salvezza sarebbero usciti praticamente con le ossa rotte. Un effetto collaterale di questo decisivo referendum è che vengono seppelliti, sia la stravagante teoria post-moderna del «lavoro cognitivo» che i suoi teorici, primo fra tutti Toni Negri.




Non si pensi che gli impiegati del Lingotto siano dei meri passacarte.
«Li chiamano impiegati, in realtà sono tecnici con professionalità elevate, hanno mansioni che richiedono competenze di robotica e meccatronica, specializzazioni inimmaginabili pochi anni fa. Gestiscono squadre o complessi programmi informatici, rischiano diventare i "colpevoli" della sconfitta del No». [Nino Ciravegna, Il Sole 24 ore, 16 gennaio]


L'articolo continua dando la parola al "Signor G.": «Il signor G. è un capo Ute, Unità tecnologica elementare, gestisce una cinquantina di operai al reparto montaggio, terra di frontiera, con una sindacalizzazione spinta: nell'immaginario collettivo è dove si concentra il lavoro pesante, alienante e ripetitivo. Capo al montaggio, lavoro difficile».


L'articolista compie qui due mosse furbette: la prima, che il montaggio sarebbe un reparto "dove si concentra il lavoro pesante, alienante e ripetitivo", ma solo nel cosiddetto "immaginario collettivo". Togliete "immaginario collettivo" e avrete la cruda realtà. La seconda, per suscitare nel lettore l'empatia verso il signor G., che quello di capo del montaggio sarebbe "un lavoro difficile". Oddio come lo compatiamo!


Ma restiamo al tema. Il 95,5% di questi impiegati svolge, con l'ausilio di diavolerie informatiche modernissime, funzioni di controllo e comando della forza lavoro. Non si tratta più solo di semplici impiegati quindi: si tratta di figure professionali che per compito istituzionale hanno quello di verificare che gli operai o il singolo reparto, lavorino sodo e rispettino gli obiettivi produttivi. Usando una metafora militaresca, sono come caporali i quali, ricevute le istruzioni dei gradi superiori, debbono accertarsi e far sì che i singoli in trincea, rispettino le direttive impartite, e vadano a morire se questo è richiesto. Grazie all'informatizzazione e alla robotica, rimpiazzano insomma, i vecchi capi squadra e i tradizionali capi reparto, i famigerati cronometristi che in catena di montaggio monitoravano i tempi del singolo operaio, solo che non stanno fisicamente nei reparti, ma svolgono queste loro mansioni virtualmente, dall'alto dei loro uffici.


Quello di queste nuove figure impiegatizie sembrerebbe dunque, aocnr più dei loro antesignani, un lavoro mentale o, se si preferisce, intellettuale. Vero, ma a condizione di precisare che questo lavoro è a sua volta comandato dai calcolatori, telediretto, non necessità di alcuna "creatività", né di sostanziale autonomia. Il capo della Ute deve attenersi strettamente alle istruzione contenute nel software, è una protesi della macchina, un esecutore che, nella misura in cui pensa, lo fa per segnalare un'anomalia, ovvero come e perché l'operaio si discosti dagli standard prestabiliti, per informare chi è addetto al controllo della catena di porvi rimedio.


La differenza con l'operaio non è solo quantitativa, nell'ammontare del suo reddito, ma qualitativa: mentre l'operaio svolge una mansione produttiva, ovvero col suo lavoro vivo aggiunge valore alla merce e consente anche al "lavoro morto" —alle macchine e ai robot, che sono pur sempre una forma materializzata di lavoro operaio passato— di trasferire il valore in esse incorporato; l'impiegato non contribusice a creare plusvalore che indirettamente, solo grazie al dispendio di energie, fisiche e mentali, dell'operaio in produzione. Ultimo ma non meno importante, come detto sopra, questo partecipare dell'impiegato al processo dio valorizzazione del capitale, avviene nelle forma sbirresca del controllo e del tele-comando. Egli, nella misura in cui è "mente e braccio", è mente e braccio del padrone, è la figura mediatoria indispensabile tra capitale e lavoro —la figura grazie alla quale, grazie alla tecnica, il capitale esercita la sua supremazia sugli operai, li sfrutta, e trasmuta le loro energie, fisiche e mentali, nel valore della merce.


Che c'entrano i teorici del "lavoro cognitivo" e Toni Negri con tutta questa faccenda? C'entrano poiché essi, vittime del delirio post-modernista della fine del "lavoro", hanno non solo teorizzato la tesi che il modo di lavorare taylorista e fordista era morto e defunto, e con esso l'operaio tradizionale. Essi l'hanno entusiasticamente abbracciata sostenendo che saremmo entrati in un'epoca nuova, quella del bio-capitalismo, nella quale, destituita d'ogni fondamento la legge marxiana del valore, la ricchezza sprizzerebbe oramai, non ha monte, nel processo produttivo, bensì da ogni poro della società, nella sfera del consumo, come metafisica secrezione della moltitudine.


In particolare Negri, e in maniera ancor più radicale e fantasmagorica alcuni suoi epigoni, hanno sostenuto e sostengono che non più il "banale" lavoro materiale tradizionale, bensì quello mentale dei "lavoratori cognitivi" sarebbe la fonte principale di creazione di ricchezza. Come dicono i negriani con espressione cervellotica: «Il bio-capitalismo capta valore dappertutto, poiché tutta la vita è messa a valore».


Negri partì per la tangente: «L'economia informatizzata implica necessariamente un mutamento nella qualità e nella natura del lavoro. Si tratta della conseguenza più immediata, dal punto di vista antropologico e sociologico, di un cambio di paradigma economico». [Toni Negri, Micheal Ardt. L'impero, pag. 271]
La mitizzazione della cosiddetta rivoluzione informatica rasenta il delirio: «Le macchine interattive e cibernetiche sono come nuove protesi, ormai integrate con le nostre menti e i nostri corpi fino al punto da ridefinirli completamente in quanto menti e corpi. L'antropologia del cyberspazio segna definitivamente una nuova condizione umana». [Ibidem, pag.273]


Sì, avete letto bene: cambio di paradigma, nuova condizione umana, rivoluzione antropologica. Il tutto proprio nel senso di un'apologia viscerale della modernizzazione capitalistica, che i negriani, in altre sedi, hanno perorato come "nuovo modo di produzione". Qui non siamo solo in presenza di un'esagerazione sesquipedale della portata dei processi d'informatizzazione, siamo alla loro aperta perorazione come palingenesi rivoluzionaria; per i teorici del "lavoro cognitivo", essi conterrebbero per loro stessa natura, la tanta anelata liberazione, una specie di comunismo, non solo in potenza ma addirittura in atto.


Per capire fino a che punto giunge il delirio simil-foucaultiano diamo di nuovo la parola a Negri:
«Oggi d'altra parte la natura del lavoro si è modificata e nel post-fordismo domina il lavoro immateriale che rende gran parte dei lavoratori, per così dire, degli intellettuali: gente dunque che per produrre utilizza il cervello. A questo punto è ormai impossibile distinguere tra tempo di lavoro e tempo della vita, poiché ci siamo liberati del capitale come entità che anticipa gli utensili del lavoro. Ecco, la moltitudine produce indipendentemente dal capitale, e spesso contro il capitale». [Intervista di Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 30 luglio 2001]


Per Negri avremmo a che fare con«rapporti di produzione post-moderni» [Toni Negri, Micheal Ardt. L'impero, pag. 201] i quali farebbero degli operai tradizionali una specie in via d'estinzione, rimpiazzati dai "lavoratori immateriali" o "cognitivi" i quali sarebbero la principale forza motrice della liberazione, anzi! queste nuove figure "moltitudinarie" si sarebbero già "liberate del capitale", produrrebbero oltre e contro il capitale.


Sorvoliamo per economia di discorso sull'allucinazione neo-cartesiana dell'uomo-macchina —per cui l'informatica avrebbe plasmato un nuovo tipo di essere umano, in cui corpo, mente e macchina sarebbero perfettamente "integrati". Sorvoliamo sul trip negriano per cui nel cyberspazio la macchina informatizzata sarebbe una protesi integrata dell'uomo, mentre semmai avviene esattamente il contrario — per cui, con le nuove tecnologie informatiche, le figure del lavoro salariato sono, non meno schiavizzate dal capitale ma di più, non più creative ed emancipate ma radicalmente instupidite, qualititativamente dequalificate, maggiormente private di autonomia e coscienza. Sorvoliamo per carità di patria e torniamo al punto.


Cosa ci dice il risultato del referendum a Mirafiori? Ovvero: cosa ci dicono la globalizzazione e il modus operandi del grande capitale? Ci dicono alcune cose: (1) Che il post-fordismo è una leggenda, visto che negli ultimi vent'anni, su scala planetaria, gli operai salariati con mansioni manuali, ripetitive e alienanti, sono pressoché raddoppiati. (2) Che nelle stesse fabbriche altamente automatizzate la funzione del lavoro operaio di linea è più che mai decisiva affinché si attui il processo di valorizzazione del capitale. (3) Che l'enorme flusso di delocalizzazioni, ovvero di investimenti di capitale da Ovest verso Est, e da Nord verso Sud, si spiega appunto grazie alla tendenza ad ottenere i più alti saggi di profitto. (4) Che l'uso dell'informatica e della robotica ha vieppiù schiavizzato l'operaio, incatenandolo a mansioni alienanti e ripetitive, a ritmi disumanizzanti. (4) Che il cosiddetto "lavoro cognitivo" riguarda pur sempre una minoranza la quale, lungi dall'essere il "nuovo soggetto sociale rivoluzionario", è costitutivamente funzionale al comando capitalistico, antagonistico, non rispetto al capitale, quanto alle istanze operaie. (5) Che la protervia con cui Marchionne ha posto il suo ricatto anti-operaio è la prova provata che è nella sfera della produzione tradizionale che si compie il "miracolo", ovvero la creazione di plusvalore senza cui il capitale è destinato a svalorizzarsi e a perire. (6) Che è quindi pur sempre la classe operaia il nemico in pectore del capitale e la sola leva per scardinare la macchina capitalistica dello sfruttamento.


Non è così compagno Negri? Non sarebbe ora di ammettere di aver preso una cantonata teorica colossale? Non sarebbe ora, compagni di Uninomade, di prendere atto che, prima ancora degli operai di Mirafiori, proprio i tanto decantati "lavoratori cognitivi", col loro voto miserabile, hanno denudato il fascino consolatorio della vostra metafisica narrazione?http://sollevazione.blogspot.com/2011/01/referendum-mirafiori-un-effetto.html


http://sollevazione.blogspot.com/2011/01/r...un-effetto.html

A proposito di Negri e dei teorici del «lavoro cognitivo» o «immateriale»


(Seconda parte)
Leggi la Prima parte

di Stefano Cingolani*

Di seguito un articolo che spiega in breve in cosa consista il nuovo regime di fabbrica che entrerà in vigore non solo a Mirafiori e Pomigliano ma in tutti gli stabilimenti FIAT. L'apologia dell'autore rispetto al cambiamento (che tradisce appunto l'inganno ideologico innovazionistico) cozza con l'indagine, che spiega appunto che non solo non c'è alcun superamento del taylorismo bensì un taylorismo portato alle estreme conseguenze possibili. Altro che lavoro mentale o "cognitivo", altro che liberazione dall'alienazione e dalla ripetitività: l'operaio ridotto ad un automa, le sue mosse calcolate al millesimo, monitorate. Il «tutto viene controllato come sempre dai cronometristi, i “cronu” dei vecchi operai torinesi. Allora, stavano accanto ai montatori con l’orologio in mano; adesso sono davanti ai computer e guardano le tabelle che escono dai calcolatori. Sempre controllori rimangono, sempre avversari tecnici degli operai, ma la distanza riduce le tensioni». Sarebbero questi "lavoratori cognitivi" la punta di lancia della lotta di liberazione? Suvvia!

«Il cuore dell’accordo che oggi i lavoratori di Mirafiori andranno a votare è contenuto nell’appendice settima del contratto proposto da Marchionne. In particolare, nelle tabelle sui turni, gli orari e le pause, ma ancor più nelle sezioni della “struttura del sistema Eaws (European assembly worksheet)” e nel grafico che rappresenta la curva ergo-uas (ergonomic universal analyzing system). Dimenticate Charlot nell’infernale ingranaggio di “Tempi moderni”. E’ piuttosto taylorismo d’antan. Si tratta infatti di uno schema puntiglioso delle posizioni che un operaio deve assumere per montare i pezzi della scocca. Ottimizzate le mosse, si passa alla velocità delle linee e alle pause, ridotte per montare più auto possibili nel più breve tempo, ma anche perché si risparmia energia nervosa e muscolare, minimizzando i margini di errore e migliorando la qualità del prodotto. L’operaio del nuovo secolo, insomma, ha un profilo antropologico nuovo, è un ibrido al quale viene applicata una scienza quasi maniacale delle posizioni e dei comportamenti. Al centro della produzione torna il corpo: l’uomo diventa macchina egli stesso, quasi a voler applicare una filosofia illuminista.

Il cuore dell’accordo che oggi i lavoratori di Mirafiori andranno a votare (una novantina di pagine difficili da decifrare per i non professionisti del negoziato) è contenuto nell’appendice settima, nelle tabelle sui turni, gli orari e le pause, ma ancor più nelle quattro sezioni della “struttura del sistema Eaws (European assembly worksheet)” e nel grafico che rappresenta la curva ergo-uas (ergonomic universal analyzing system). Si tratta di uno schema puntiglioso delle posizioni che un operaio deve assumere per montare i pezzi della scocca.

Vengono raffigurati omini stilizzati, come quelli dei bambini all’asilo, in ogni possibile postura di lavoro, “azione di forza”, movimentazione manuale dei carichi, frequenze nei movimenti di mani e braccia, carichi da sopportare. Il tutto compone due indici sintetici, quello del corpo intero e quello degli arti superiori, il primo “misura il rischio a breve termine a cui il sistema osteomuscolare viene esposto sulla base di relazioni biomeccaniche e biofisiche”, l’altro “misura il rischio di medio-lungo termine a cui i tendini del sistema spalla-braccio-mano sono esposti in base a dati epidemiologici”. Ottimizzate le mosse, si passa alla velocità delle linee e alle pause, ridotte per montare più auto possibili nel più breve tempo, ma anche perché si risparmia energia nervosa e muscolare, minimizzando i margini di errore e migliorando la qualità del prodotto.

E’ questo il sistema che il professor Hajime Yamashina, docente all’Università di Kyoto, ha messo a punto per la Fiat, prima a Pomigliano, poi a Mirafiori, adattando i dettami della world class manufacturing. Dimenticate Charlot nell’infernale ingranaggio di “Tempi moderni”. E’ taylorismo d’antan. Lasciate stare il robot tuttofare al quale basta un tecnico in camice bianco davanti a una consolle. Era il sogno di Vittorio Ghidella con la sua fabbrica superautomatica. Poi è arrivata la produzione su misura, il piccolo impianto, flessibile e specializzato. Non più grandi stabilimenti come la vecchia Mirafiori dove entrava l’acciaio grezzo e usciva un’auto ben verniciata. Anche l’idea della robotizzazione spinta, così, appartiene al passato. E il ritorno al mestiere, modello Toyota? Con le isole di montaggio, la rotazione delle mansioni, il gioco di squadra, il caporeparto come un maestro zen. Bello, e impossibile (o quasi) nell’occidente individualistico e conflittuale. No, l’operaio del nuovo secolo ha un profilo antropologico nuovo, è un ibrido al quale viene applicata una scienza delle posizioni e dei comportamenti, puntigliosa, quasi maniacale. Al centro della produzione torna il corpo: l’uomo non è più, come riteneva Karl Marx, un’appendice della macchina, diventa macchina egli stesso, quasi a voler applicare la filosofia illuminista di Julien Offray de La Mettrie.

A parte ogni pregiudizio filosofico contro il materialismo spinto dell’homme machine, l’ambiente e il modo di lavorare migliorano rispetto alla catena di montaggio tradizionale. Un esempio per tutti: i pezzi sono più vicini, se prima bisognava fare quattro passi per andare a prenderli, ora basta la torsione del busto. Una volta, l’operazione faticosa veniva premiata con più tempo per eseguirla, oggi la fatica si riduce e con essa il tempo. E’ questo lo scambio, ineguale per la Fiom e virtuoso per la Fiat. Rapidità e abilità contano più della forza o della resistenza. Tutto viene controllato come sempre dai cronometristi, i “cronu” dei vecchi operai torinesi. Allora, stavano accanto ai montatori con l’orologio in mano; adesso sono davanti ai computer e guardano le tabelle che escono dai calcolatori. Sempre controllori rimangono, sempre avversari tecnici degli operai, ma la distanza riduce le tensioni. Il fronte del no lamenta la frenetica frequenza dei ritmi: l’obiettivo è una vettura al minuto. Ma non tutti gli oppositori la pensano allo stesso modo. Scrive “Fumino, operaio in linea” sul sito ForumSinistra: “Secondo me è importante avere diritti e essere pagati, ma la produttività in sé è una cosa positiva, non trovate?”. Insomma, è una questione di bonus, anche per gli operai non solo per i manager».

http://sollevazione.blogspot.com/2011/01/e...le-ii.html#more

Un bel quadretto sui posti di lavoro che è ormai effettivo e vivo da anni in molte situazioni - per esempio la mia. Quindi tutti i discorsi sulla difesa alla fiom (anche se giusti) cadono fuori tempo massimo. I sinistrati italiani si trovano a difendere una roccaforte, perchè la loro estraneità non ha fatto capire che l'anomalia produttiva (nel senso di maggiori diritti) risiedeva in Fiat e in Italia tale produzione era avviata da anni - per questo, a parte frange politicizzate - poca è stata la solidarietà agli operai Fiat - e a poco servono sti scioperetti e l'annuncio degli stessi.
 
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Tiberio Sempronio Gracco
view post Posted on 23/1/2011, 19:41




CITAZIONE
o forse era proprio una minchiata dall'inizio?
Forse sono le condizioni materiali che creano l'uomo e non viceversa?

Questa è la più grande fandonia che Marx ha elaborato.

E Marx infatti è stato criticato dai vari "revisionismi", non ultimo quello di Sorel. Non sono i "fattori materiali" che creano l'uomo, è l'UOMO che crea i fattori materiali.

La stessa storia del comunismo lo insegna. Se i teorici marxisti avessero EDUCATO il popolo russo alla rivoluzione, il muro di Berlino non sarebbe caduto!

Invece il comunismo in URSS si è dissolto come neve al sole. Perchè? Perchè venendo a mancare la ricchezza il popolo ne ha decretato la fine. Il Fascismo invece Formando Eticamente l'Individuo risolve il problema, in modo tale che mancando la ricchezza il Sistema resta intoccabile. Perchè Eticamente Giusto.

CITAZIONE
Direi che 20 anni di esperimenti sono stati sufficienti.
Ne è la prova il capitalismo anomico dei nostri tempi.

Vent'anni non bastano a cambiare la mentalità di un Popolo. Ci vogliono intere generazioni...
 
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LokiTorino
view post Posted on 23/1/2011, 20:37




va bene. Mettetevi al lavoro allora con sto lavorone, che ce n'è da fare che metà basta.

Tornando alla faccenda FIAT, Negri si è già spostato da un po' dalle teorie di Impero. Una cosa che Negri sa fare bene è spostarsi prima che la sua baracca di paglia caschi e iniziare a produrne un'altra.

Ma comunque Pasquinelli mi pare un tantino troppo operaista.
Allargando di molto il campo, la teoria sulla modernità che mi convince di più per ora è quella di Boltansky che è stata appena sfiorata nel numero 1 di SXXI recensendo il libro "il nuovo spirito del capitalismo".
 
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33 replies since 12/1/2011, 09:12   564 views
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