FUORI DALLA LIBIA $CIACALLI D'OCCIDENTE!

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rash///roma
view post Posted on 20/3/2011, 15:51




Contro la "nuova missione di pace" dell'Imperialismo...
Guerra alla guerra!

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LokiTorino
view post Posted on 21/3/2011, 10:00




Crisi Libica, il generale Mini: “La no fly-zone porterà a un’invasione di terra”

Fabio Mini, già comandante della forza internazionale di pace in Kosovo e Capo di Stato Maggiore NATO in Sud Europ, analizza un possibile intervento delle forze occidentali contro Gheddafi
“E’ probabile che la no-fly zone sulla Libia porti a un’invasione di terra. Di più, la no-fly zone non è un atto militarmente determinante. Può essere imposta per anni su un Paese, senza toccare davvero la sua forza militare”.
Il generale Fabio Mini, già comandante della forza internazionale di pace in Kosovo e Capo di Stato Maggiore NATO in Sud Europa, vede pesanti nubi di guerra addensarsi sulla Libia. La no-fly zone, spiega, potrebbe essere l’inizio “di una escalation militare dagli esiti imprevedibili e potenzialmente distruttivi”.

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Iniziamo dalla risoluzione 1973 votata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Che cosa prevede, esattamente? Solo il controllo dello spazio aereo della Libia, o qualcosa di più?
Ci sono due aspetti da considerare. Il primo è che per applicare la no-fly zone bisogna essere comunque in grado di colpire gli obiettivi a terra che sostengono la forza aerea. E quindi le basi aeree, le basi missilistiche, le artiglierie contraeree, i radar, tutta la strumentazione che deve essere messa fuori uso prima di controllare lo spazio aereo. C’è poi il secondo aspetto, quello della risoluzione 1973 votata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ieri, che non istituisce semplicemente la no-fly zone, ma che dà alla comunità internazionale il diritto di usare tutti i mezzi possibili per proteggere la popolazione civile.

Quindi qualcosa di più della semplice no-fly zone?
Esattamente. La risoluzione dà alla comunità internazionale non soltanto il diritto di presidiare lo spazio aereo, ma anche quello di intervenire ogni volta che la sicurezza dei civili sia messa in pericolo. Questo significa che se le truppe di Gheddafi decidessero di bombardare Bengasi, o qualsiasi altra città, gli eserciti stranieri avrebbero comunque il diritto di bombardare. Con i rischi per i civili che possiamo immaginare. Cosa faremo nel caso Gheddafi e i suoi mercenari decidessero di condurre operazioni militari contro i ribelli e le loro famiglie nelle città riconquistate? Bombarderemo? E le nostre bombe chi colpiranno? In Kosovo abbiamo tranquillamente bombardato obiettivi civili, pensando che fossero militari.

Una no-fly zone ha comunque la possibilità di rivelarsi determinante per fermare le truppe di Gheddafi e bloccare la carneficina?
Assolutamente no. Saddam Hussein ebbe due no-fly zone per ben 12 anni. Per reprimere gli sciiti e i curdi, gli bastò strisciare, non ebbe bisogno dello spazio aereo. Per assurdo, il divieto di volare può aumentare la disposizione di un tiranno sanguinario di fare a terra quello che non può fare dall’aria. E’ successo con Saddam, ma è successo anche con l’operazione Deny Flight in Bosnia-Erzegovina, con il divieto di volo ai serbi. Ciò che non impedì che ci fosse Srebrenica e gli altri massacri.

Da un punto di vista militare, di cosa ha bisogno l’imposizione di una no-fly zone?
Di una marea di cose. Di aerei intercettori che effettuino il pattugliamento, di sorveglianza radar, di aerei per il rifornimento in volo, di AWACS per le operazioni di identificazione degli obiettivi, di un sostegno logistico enorme, di basi avanzate, come quelle di Sigonella, Gioia del Colle, Trapani, e di altre più arretrate, come Aviano. C’è bisogno, nel caso della Libia, di una copertura anche navale. Con i radar delle navi si può controllare il territorio, con i missili delle navi, soprattutto quelli superficie-aria, si può fiaccare la resistenza dell’esercito libico. Ma c’è bisogno soprattutto di una straordinaria coesione politica e diplomatica. Tutti i Paesi intorno alla Libia devono essere coinvolti. La Mauritania, il Ciad, gli altri stati africani che hanno tradizionalmente legami stretti con Gheddafi, e verso cui il rais potrebbe spostare parte della sua forza militare.

Un’ultima domanda, generale Mini. Quale può essere l’esito finale della no-fly zone?
L’occupazione militare. Data l’esperienza passata, non esiste un solo esperimento di no-fly zone che si sia concluso senza ricorrere all’intervento delle truppe di terra. E’ ovvio che sia così. Di solito il Paese cui viene imposta la zona di esclusione aerea continua a massacrare i suoi nemici, a reprimere i civili, a produrre fenomeni migratori. Le forze straniere sono costrette a intensificare gli attacchi. Il passo successivo è la guerra totale, con l’invasione da parte delle truppe di terra. Boots on the ground, scarponi sul terreno, come si dice in gergo. E’ successo in Bosnia, è successo in Kosovo, è successo in Iraq. Ci sarà bisogno di un’ulteriore risoluzione ONU, ma è questo l’esito più probabile.
 
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LokiTorino
view post Posted on 21/3/2011, 10:30




cmq la cosa che mi ha colpito di questa guerra (anche se il droide naples dice che non siamo in guerra) è la velocità di trasformazione mediatica a tutti i livelli: da quelli altissimi (media internazionali) a quelli medi (media di governo) a quelli bassi (ad esempio la sinistra)
 
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rash///roma
view post Posted on 21/3/2011, 17:58




NEMICI DELLA VOSTRA PACE
NEMICI DELLA VOSTRE GUERRE

Era nell'aria da diverse settimane ed infine si è concretato. L'intervento
aereo NATO sui cieli di Libia fa da battistrada ad un ormai prossimo impegno
delle fanterie d'occidente nell'ennesima guerra predatoria all'ombra del
vessillo stelle e strisce della morte.
Dove sono, ora, i falsi pacifisti dalle bandiere arcobaleno?
Perché non si indignano per questa oscena "missione di pace" dai miserabili
secondi fini?
Perché i "democratici" d'Italia plaudono all'intervento "umanitario"? Non è
forse vero che la Costituzione tanto difesa ripudia ogni forma di guerra? O il
feticcio costituzionale fa comodo solo quando è utile a strumentalizzare il
popolo per squallidi fini elettoralistici?
Non ci beviamo le menzogne della "sinistra radicale" nè quelle di D'Alema che
oggi usa le stesse odiose formule giustificatorie di 10 anni fa, quando fornì
basi e mezzi per i bombardamenti "umanitari" di Belgrado e del popolo serbo.
Oggi, la casta politica liberista di destra e di sinistra (poche sono le
eccezioni) fa a gara a chi sta più dalla parte degli insorti libici, perché
nessuno tra loro ha fatto altrettanto nei primi giorni in cui i popoli d'Egitto
e di Tunisia insorgevano, compatti, contro i loro tiranni?
Chiunque, nella ricerca di informazioni, sia andato oltre i canali di
propaganda ufficiali, ha potuto notare come in Libia, negli ultimi mesi, non si
siano fronteggiati Popolo e dittatore sanguinario ma, molto meno eroicamente,
clan militari l'uno contro l'altro armati.
Qualcuno ha mai visto, nelle manifestazioni pro o contro Gheddafi, più di
qualche sparuto migliaio di persone (a dire tanto)?
Dov'è, allora, questo popolo in nome del quale USA e fidi lacchè d'Europa,
così eroicamente, sono disposti ad intervenire?
Avete mai ricevuto prova delle stragi di massa di cui, qualche settimana fa, i
maggiori telegiornali davano notizie "certe"? E le fosse comuni? I dieci mila
morti in un solo giorno?
Oggi, si scopre che le riprese delle troupes occidentali di fosse comuni
erano, in realtà, inquadrature contraffatte di un cimitero...
Non può essere, allora, che siamo di fronte alle solite balle tipo quelle di
qualche anno fa su Saddam Hussein detentore di armi chimiche per la distruzione
di massa?
Forse, come si suol dire, i nostri governanti "se la suonano e se la
cantano"...
Dire queste cose significa schierarsi dalla parte di Gheddafi? Non nel nostro
caso, a noi, il Rais piace ben poco ma proviamo ancora meno fiducia
nell'ipocrita sciacallaggio in salsa occidentale.
La tanto sbandierata democrazia ha spinto puntigliosamente USA e compari ad
intervenire in zone geopoliticamente appetibili, dove c'erano interessi
economici (il petrolio è storicamente un mantra dello zio Sam) perché
altrettanto non si è fatto dove in ballo sussistevano interessi di altra
natura?
L'anno scorso si è verificato un colpo di Stato in Honduras che ha rovesciato
il governo democraticamente eletto dal popolo e l'esercito ha sparato sui
manifestanti inermi, perché in quel caso gli USA non sono intervenuti a
difendere le ragioni dell'umanità? Perché hanno appoggiato la fazione golpista?
E se andassimo a ritroso nel tempo? Cile, Argentina, Salvador... l'elenco è
lungo!

NEMICI DELLA VOSTRA PACE
NEMICI DELLA VOSTRE GUERRE
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Mazurov
view post Posted on 30/3/2011, 19:31




Attacchi a terra e forze speciali
la vera guerra degli alleati


Non solo no-fly zone: così combatte l'Occidente. Il pattugliamento umanitario è una favola: ora le azioni militari si avvicinano sempre più al terreno. Lo spiega l'ex comandante delle forze Nato durante la missione di pace in Kosovo

di FABIO MINI


LA STRATEGIA moderna contempla la guerra come un fatto normale, senza fine, senza misura certa della vittoria o della soglia della capitolazione. I bombardamenti di questi giorni in Libia, i ribelli che combattono e i civili che scappano fanno parte di questa normalità così come sono normali la disparità delle forze in campo, la volontà di usarle e la varietà di posizioni espresse sul piano politico-diplomatico. Una volta demandata la responsabilità delle operazioni militari a qualcun altro, in questo caso fingendo che la Nato sia un "altro", la guerra può continuare con i suoi ritmi normali. La preoccupazione non è la Libia, ma cosa fare di Gheddafi senza strapazzarlo troppo. Bisogna anche non apparire troppo truci o troppo armati, specialmente nelle intenzioni. Il presidente Obama ha detto che l'America non ha interessi vitali in Libia e gli si sono accodati tutti. La Germania si era già sfilata assestando un colpo micidiale alla Nato, diversi altri paesi dicono di non voler combattere e la Turchia di Erdogan non solo ha promesso solennemente che non bombarderà mai il popolo libico ma vuole addirittura attribuire a Gheddafi la virtù taumaturgica e catartica di dirigere la Libia nella transizione democratica contro il suo stesso regime.

I francesi e gli inglesi sembrano inflessibili nel chiedere la testa (metaforica) del raìs, ma trattano con tutti coloro in grado di dialogare con lui. Mentre la politica celebra i suoi riti, sul terreno la guerra si fa sempre più
"normale". Nessun generale ha preso bene questa guerra sia per i precedenti disastrosi degli ultimi vent'anni sia per la nebulosità degli scopi politici. Il Pentagono si è opposto fin dal primo giorno, i francesi hanno bombardato quasi alla chetichella, le ragazze inglesi non si sono messe a tette nude per incitare i soldati e i generali italiani si sono rifugiati in fretta nelle procedure della Nato senza prendersi il tempo di spiegarle bene ai nostri ministri. Eppure la parte militare della coalizione e della Nato prosegue con i suoi piani di attacco ed anzi si adegua ad uno sviluppo ancora più normale dei combattimenti.

I ribelli non ce la fanno e la loro guerra si svolge con l'elastico: avanzano di quel tanto che le forze della coalizione consentono, poi tornano indietro, senza fretta. Con la graduale eliminazione delle contraeree di Gheddafi gli aerei alleati si avvicinano a terra, lanciano razzi e attivano le cannoniere volanti per gli attacchi al suolo: com'è normale. La favola del pattugliamento umanitario e disarmato non è ancora cominciata e anzi dovranno presto intervenire gli elicotteri controcarro. Mentre la politica si produce in improbabili opzioni indolori, sul terreno i dolori devono ancora venire soprattutto se a qualcuno verrà in mente di assediare Tripoli. E la normalità non basterà più. Sunzi aveva teorizzato 2500 anni fa che la guerra si fa con la combinazione delle forze normali e di quelle "speciali", regolari e irregolari, palesi e occulte. I cinesi sono ormai di casa in Libia e dovrebbero insegnare qualcosa, ma si occupano di petrolio e i principi di Sunzi li hanno trasferiti in borsa.

In Libia si sono invece infiltrate le forze speciali e d'intelligence più brave di tutto l'occidente della guerra: individuano obiettivi, addestrano i ribelli e aiutano perfino le milizie perché non si sa mai. Ci sono migliaia di mercenari di Gheddafi e delle compagnie petrolifere pronti a cambiare padrone, ci sono funzionari e generali pronti a cambiare bandiera. Molti di loro saprebbero bene cosa fare di Gheddafi anche senza scomodare Sunzi. La Libia appartiene al Mediterraneo e anche da noi l'esempio della guerra speciale è antico. Tripoli è come Troia: non cadrà fino a quando il simulacro del suo potere, lo stesso Gheddafi, sarà in città. Troia fu assediata per un decennio da forze "normali" ma fu espugnata dall'intelligenza di due guerrieri speciali: Ulisse e Diomede. Entrambi protetti da Atena (una sorta di antica Nato tutelare) riuscirono a rubare il Palladio, il simulacro di legno, senza gambe, che Atena aveva voluto nelle fattezze di Pallade, la sua amica libica uccisa da lei per sbaglio durante un combattimento simulato. Il Palladio aveva la proprietà di proteggere la città che lo deteneva ed era finito a Troia quando Atena l'aveva gettato giù dall'Olimpo perché si era imbrattato del sangue vaginale di Elettra stuprata da Zeus. Troia non sarebbe mai caduta finché il simulacro fosse in città e Ulisse e Diomede vestiti da viandanti penetrarono nella cittadella e lo rubarono. Questa fu la premessa alla successiva presa della città con il famoso cavallo di legno, un'altra idea "speciale". Gheddafi è ormai un simulacro, soprattutto di se stesso, con gambe legnose e fattezze umane rese approssimative dagli stravizi. Ma riesce ancora a proteggere la Troia libica. In attesa di una intelligenza speciale.

(30 marzo 2011)

http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/30...tegia-14253900/
 
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LokiTorino
view post Posted on 31/3/2011, 15:52




Mini è sempre molto lucido e asettico
 
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LokiTorino
view post Posted on 1/4/2011, 10:21




LA RISOLUZIONE ONU 1973 ED IL RITORNO (CON VARIAZIONI SUL TEMA)
DELLA “POLITICA DELLE CANNONIERE” (di E. RICCIARDI)


1.0. La risoluzione ONU 1973 poggia sulla c.d. teoria della responsabilità di
proteggere (responsibility to protect), elaborazione della dottrina
internazionalistica nata negli anni ’90 in ambienti accademici statunitensi ed
anglosassoni (e ciò a proposito, di nuovo, della funzione subordinata del diritto
rispetto a ben più decisive dinamiche, di carattere storico e politico, a questo
irriducibili), il cui assunto fondamentale consiste nel riconoscere a carico di ogni
Stato la responsabilità di proteggere le sue popolazioni, con la conseguenza che,
ove i mezzi pacifici risultino inadeguati e le autorità nazionali non offrano
protezione, può essere avviata un'azione collettiva, attraverso il Consiglio di
sicurezza, in conformità alla Carta dell'ONU, in collaborazione con le
organizzazioni regionali.
Da tali ambienti, questa teoria è poi approdata, attraverso un’opera di
propaganda assai efficace, sino all’Assemblea Generale dell’ONU, che, difatti,
nel 2005 ne ha fatta propria la formulazione precisamente in quei termini sopra
riportati. Tuttavia, è importante sottolineare che questo “riconoscimento” da parte
dell’organo assembleare dell’ONU non ha affatto comportato una modifica dello
Statuto dell’ONU o dei principi consuetudinari internazionali e dunque
un’innovazione del corrispondente diritto. Del resto, è la stessa riportata
formulazione a rimandare chiaramente alla necessità, affinché un’azione militare
collettiva possa avere luogo in forza del principio della responsabilità di
proteggere, ad una decisione del Consiglio di Sicurezza, che è organo non
preposto alla creazione di diritto internazionale, in conformità allo Statuto
dell’ONU.
Ciò significa che la violazione da parte di uno Stato (inteso come apparato
di governo) del dovere di proteggere la sua popolazione non potrà mai
comportare, di per sé ed in quanto tale, il ricorso all’intervento armato deciso dal
Consiglio di Sicurezza, ma lo potrà soltanto se e nella misura in cui questa
violazione lederà o costituirà una minaccia al mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale. Proprio perché soltanto quest’ultime circostanze
legittimano un intervento armato in base all’art. 39 dello Statuto dell’ONU (“Il
Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una
violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o
decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per
mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”).
Va tuttavia aggiunto che, nel 2009, il Segretario Generale dell’ONU,
nell’approvare il rapporto Implementing the responsabilità to protect,
puntualizzando che “La responsabilità di proteggere si applica, sino a che gli
stati membri [dell'ONU] decidano diversamente, solo a quattro crimini e illeciti
specificati: genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l'umanità”,
sembra circoscrivere il principio, ma in realtà a mio avviso finisce con il fornire
l’abbrivio (e l’alibi) al Consiglio di Sicurezza per considerare i citati “quattro
2
crimini” quali altrettante nuove fattispecie che di per sé autorizzerebbero
l’intervento armato contro uno Stato. Ciò in quanto proprio la circostanza che
dette fattispecie siano state specificate ben può essere ritenuta dai fautori di
quest’orientamento un’idonea garanzia contro l’eccessiva vaghezza della formula
del “dovere di proteggere la popolazione”, la cui adozione in effetti avrebbe
incontrato ostacoli insormontabili opposti dalla maggioranza degli Stati.
1.1. Dunque, la risoluzione 1973 si fonda (ma, come si vedrà, in modo
ambiguo) sul dovere di protezione. È questo che ha dettato l’unica vera finalità
della stessa. Difatti, anche la c.d. nofly
zone (regolata ai punti 612
della
risoluzione) non costituisce affatto, a ben vedere, e come invece affermato da
pressoché quasi tutti gli osservatori (probabilmente perché doveva essere
l’aspetto da propagandare in misura maggiore, onde dimostrare che si era
intervenuti perché “Gheddafi ha usato i jet militari contro i civili che
manifestavano”), un obiettivo che si affiancherebbe all’altro obiettivo della
protezione dei civili. In realtà, i due elementi si trovano su due piani diversi,
giacché la prima è soltanto un mezzo, esattamente come lo sono “tutte [quel]le
misure necessarie” (v. punto 4 della risoluzione), per conseguire l’altro. L’unica
particolarità di tale mezzo, rispetto all’insieme generale di “tutte le misure
necessarie”, è quella, appunto, di essere stato esplicitamente descritto e
previsto; e tuttavia, anche se non lo fosse stato, sarebbe stato egualmente
utilizzabile proprio ricorrendo alla previsione generale dell’adozione di “tutte le
misure necessarie”. A conferma, è sufficiente leggere un punto delle premesse
(“Considerato che l’imposizione di un’interdizione su tutti i voli nello spazio aereo
della Jamahiriya Araba di Libia costituisce un importante elemento per la
protezione dei civili …”) ed il punto 6 dell’articolato (“Delibera di imporre
un’interdizione su tutti i voli nello spazio aereo della Jamahiriya Araba di Libia,
allo scopo di contribuire a proteggere i civili”).
1.2. Ho fatto cenno al fatto che la risoluzione si fonda si sul dovere di
protezione, ma in maniera piuttosto ambigua; a ciò probabilmente costretta
proprio dal soprariferito pronunciamento del Segretario Generale nell’anno 2009.
Ed infatti, la risoluzione esordisce quasi subito richiamando le presunte
“numerose vittime civili” e “la responsabilità spettante alle autorità libiche di
proteggere la popolazione della Libia e riaffermando che grava sulle parti in
causa nei conflitti armati la responsabilità primaria di prendere tutte le misure
possibili per garantire la protezione dei civili”. Senonché il Consiglio di Sicurezza
appare, evidentemente, consapevole che, limitandosi a questi richiami, corre il
rischio di non giustificare adeguatamente l’intervento armato. Ecco allora che
entra in scena, in un crescendo, prima l’esortazione alla Libia “ad ottemperare ai
propri obblighi in base al diritto umanitario internazionale” e, subito dopo, la
3
considerazione “che i diffusi e sistematici attacchi attualmente in corso nella
Jamahiriya Libica contro la popolazione civile potrebbero configurare la
fattispecie di crimini contro l’umanità”. Questo è il primo grimaldello: “crimini
contro l’umanità”. E tuttavia è da rimarcare – ed è qui che si annida l’ambiguità
cui mi riferivo – la formula dubitativa con cui, appunto, si ipotizza la ricorrenza
della fattispecie: “potrebbero configurare”.
Insomma, finché si è trattato di attribuire alla Libia la responsabilità di
“numerose vittime civili”, il Consiglio di Sicurezza poteva pure appoggiarsi alle
“notizie” manipolate quando non inventate da Al Jazeera ed Al Arabica (e
Reuters, ecc.), onde affatturarsi con una riesumata albagia coloniale la nefanda
drammaturgia poi messa in scena; ma quando è stato necessario compiere il
passo decisivo per l’adozione della risoluzione, ossia individuare gli estremi per
la ricorrenza della ben più impegnativa figura dei “crimini contro l’umanità”, ecco
che il Consiglio di Sicurezza, privo di elementi, è stato costretto all’uso del
condizionale.
Il che, tuttavia, non gli ha impedito di adottare egualmente la risoluzione,
ma ciò mediante un vero e proprio salto logico, nel momento in cui, all’ultimo
punto delle premesse, ha frettolosamente buttato lì la seguente frase:
“Riconoscendo che la situazione nella Jamahiriya Araba di Libia continua a
costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale” (uniche
condizioni, si ripete, che a mente dell’art. 39 dello Statuto dell’ONU legittimano
un intervento armato). Ecco il secondo grimaldello. Ma il cerchio (non) si chiude.
Difatti, come si può vedere, manca qualsiasi consequenzialità tra premesse e
conclusioni, giacché non viene in alcun modo argomentato come e perché la non
meglio precisata “situazione” costituirebbe “una minaccia alla pace e alla
sicurezza internazionale”.
Del resto, che il passaggio della risoluzione appena considerato, ossia
quello che in buona sostanza attiene alla mancanza di alcun elemento di fatto
(nemmeno indiziario e da valutarsi in via sommaria) atto a fondare un intervento
armato, sia particolarmente fragile e lacunoso, lo si può evincere anche dalla
mancata attività di accertamento da parte del Consiglio di Sicurezza circa
“l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di
aggressione”, e ciò in patente violazione dell’art. 39 dello Statuto dell’ONU, che
tale accertamento prescrive.
Suona, infine, addirittura beffardo il richiamo del Consiglio di Sicurezza,
contenuto al penultimo punto delle premesse, alla riaffermazione del “proprio
impegno a salvaguardare la sovranità, indipendenza, integrità territoriale e unità
nazionale della Jamahiriya Araba di Libia”.
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Peraltro, proprio il fatto che si sia deciso ed attuato l’intervento bellico sulla
base di e
nonostante una
risoluzione caratterizzata da quelle che a me
sembrano conclamate e gravi raffazzonature esibite dalla sua trama
argomentativa, dimostra, una volta di più, e sempreché ve ne fosse bisogno,
l’irrilevanza del solo fattore giuridico nel determinare gli accadimenti di politica (in
senso lato) internazionale.
2.0. Quanto alla verifica della conformità o meno dell’intervento bellico al
dettato della risoluzione, sgombro subito il campo da una questione che,
nonostante in realtà non avrebbe alcuna ragione di essere, stante la sua palese
assurdità, circola tuttavia insistentemente da qualche ora. Essa, precisamente, si
risolve nell’interrogativo se la risoluzione 1973 ammetta o meno la fornitura di
armamenti direttamente ai ribelli da parte delle potenze belliche in azione1.
La risposta deve essere recisamente negativa, non constando in alcun
punto della risoluzione stessa, né esplicitamente né implicitamente, e pur
assumendo l’adozione di canoni interpretativi quanto più lati ed estensivi
possibile, l’esistenza di disposizioni che la ammettano.
In particolare, a me pare certo che l’interpretazione non possa giungere al
punto di forzare la previsione circa la facoltà degli Stati membri di assumere
“tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le aree a popolazione civile
minacciate di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia” (v. punto 4 della
risoluzione), facendo rientrare in quest’ultime, appunto, la fornitura di armi ai
ribelli, che le potrebbero usare così per proteggere i civili in thesi attaccati da
Gheddafi. Difatti, non solo “le misure necessarie” sembra debbano continuare a
rimanere nella sfera di controllo degli Stati che tali misure adottano (cosa che
invece non si verificherebbe pienamente con la consegna delle armi ai ribelli),
ma addirittura si darebbe l’eventualità che gli stessi ribelli usino le armi contro i
civili abitanti delle città “gheddafiane” poste, ad es., sotto assedio da costoro.
Analogamente, nemmeno la più astrusa delle interpretazioni della
risoluzione potrà mai consentire di affermare che quest’ultima contempli l’esilio di
Gheddafi (se non altro perché l’esilio presuppone il consenso, per quanto
estorto, di quest’ultimo, mentre l’adozione delle “misure necessarie” implica
chiaramente un’iniziativa unilaterale degli Stati della coalizione; ma il tema ha
1 Peraltro, può essere rivelatore del vero obiettivo della risoluzione 1973 quanto sostenuto al
riguardo dal segretario generale della NATO, ossia che noi “siamo là per proteggere le
popolazioni e non per armarle”, giacché in tal modo egli implicitamente presuppone
l’identificazione delle “popolazioni” civili con i ribelli e dunque, in definitiva, che l’intervento bellico
sia stato deciso per aiutare e proteggere i ribelli; il che, in effetti, è quanto verificatosi sin
dall’inizio delle operazioni.
5
scarsa rilevanza pratica, dal momento che, in caso di esilio, il suo fondamento si
rinverrebbe, appunto, esclusivamente nel consenso dell’esiliato).
Questione di più incerta valutazione, per contro, è se la previsione della
facoltà di adottare “tutte le misure necessarie”, che sembra consentire (seppure
con un’interpretazione che tende a far straripare il significato oltre i limiti che
dovrebbero essere fissati dall’esegesi del solo dato testuale) agli Stati belligeranti
di bombardare i gangli vitali e strategici (dall’apparato militare libico nel suo
complesso alle infrastrutture anche civili) in quanto ritenuti potenzialmente
utilizzabili contro “i civili e le aree a popolazione civile minacciate di attacco”,
autorizzi invece i bombardamenti dei tank libici da parte degli aerei militari dei
“volenterosi” nel pieno di una singola e specifica battaglia con i ribelli per la
conquista di una città che però sia totalmente disabitata. Come pare sia
accaduto nella recente battaglia di Ajdabiya, il cui esito vittorioso per i ribelli è
stato determinato proprio dai raid aerei degli alleati.
Al proposito, propenderei per la negativa, poiché in quest’ultimo caso si
sarebbe in presenza di bombardamenti contro singoli mezzi militari di una sola
parte nel corso di una specifica, individua, battaglia tra unità combattenti ed in
assenza di alcun pericolo per i civili (ché non ve ne sono); con la conseguenza
che tali bombardamenti mi pare integrerebbero una violazione della sovranità
statuale libica, la quale implica, ovviamente, e nessuno lo ha mai messo in
dubbio, la potestà da parte del governo legittimo di reprimere gl’insorti cirenaici;
sovranità statuale, del resto, esplicitamente salvaguardata – seppure con il
rilevato effetto derisorio – dalla pur ignobile risoluzione 1973.
3.0. Si è già osservato in più luoghi che non soltanto e non tanto l’illegittimità
ma financo il modo totalmente abborracciato e sbilenco con cui è stata
confezionata la risoluzione 1973, disinvoltamente incurante sia delle
macroscopiche violazioni dei principi e regole procedurali sanciti dalla
consuetudine internazionale e dallo stesso Statuto dell’ONU sia delle marchiane
contraddizioni tra premesse e conclusioni, rendono manifesta l’irrilevanza dello
strumentario giuridico con cui si è inteso realizzare un obiettivo preventivamente
deciso in base a dinamiche e presupposti che nulla hanno a che vedere con
l’andamento della discussione svoltasi in sede di Consiglio di Sicurezza e le
dichiarazioni rese prima, durante e dopo l’adozione della stessa dalle potenze
che hanno la disponibilità del Consiglio stesso, e dunque, in ultima istanza, dai
membri permanenti titolari del diritto di veto.
3.1. In particolare, Russia e Cina la
cui formale mancanza di posizione in
sede di voto ha di fatto dato ragione ai fautori della teoria della c.d. astensione
costruttiva, da costoro concepita, in caso di disaccordi in seno al Consiglio di
6
Sicurezza, quale male minore da accettare pur di conseguire comunque
l’attuazione degli obiettivi di militarismo umanitario hanno
sin qui posto in
essere comportamenti improntati ad un anonimo e sostanzialmente cordiale (nei
confronti delle potenze belligeranti) disappunto, estrinsecatosi (ad eccezione di
qualche eruzione collerica di Putin tanto impetuosa quanto ineffettuale, anche
perché ricondotta prontamente negli argini di una semplice opinione personale,
per quanto importante) in un semplice controcanto ai continui “strappi” e salti di
livello imposti all’azione militare dagli USA, i quali si impongono dunque sempre
più come coloro che dettano l’agenda ed alzano sempre più il livello e l’entità
della posta in gioco, con gli Stati critici (ma astenuti) affannosamente a rimorchio.
Ad es., una volta approvata la risoluzione, il tema che si è (recte: le
potenze della coalizione hanno) imposto subito all’attenzione era la conformità o
meno alla stessa dei bombardamenti di centri di comando strategico militare
(compreso il “bunker” di Gheddafi a Tripoli) ed infrastrutture anche civili
utilizzabili potenzialmente dall’apparato militare libico. Ora, a partire da qui,
subito la Russia e la Cina si sono collocate su questo terreno di discussione da
altri stabilito, “dimenticandosi” però totalmente che il vizio era all’origine, ossia
era rappresentato dalla stessa risoluzione, che quindi avrebbe dovuto essere
posta radicalmente in questione al fine di tentare quantomeno di promuoverne la
revoca o un sostanziale ridimensionamento (che poi non ci sarebbero riuscite è
tutt’altro tipo di discorso, giacché avrebbero comunque mantenuto il punto
essenziale, senza cedere e lasciarlo passare come scontato una volta per tutte).
Ancora, in queste ultime ore il nuovo argomento in discussione sembra,
come già detto, la conformità o meno alla risoluzione della fornitura di armamenti
ai ribelli da parte degli Stati dell’Alleanza, ed anche qui la Russia (la Cina mi pare
nemmeno sia intervenuta al riguardo) si è fatta trascinare nella relativa disputa,
non accorgendosi, però, che in tal modo si era già data per archiviata e scontata
l’ammissibilità dell’immediatamente precedente “livello” dello “scontro”, al punto
che oramai la demolizione della risoluzione 1973 sembra questione già antica e
superata (e probabilmente tale è realmente divenuta).
Peraltro, sembra probabile che quest’ultimo argomento non sfoci
operativamente in alcunché, e tuttavia intanto esso potrebbe essere rimpiazzato
da un ulteriore e più contundente tema di discussione, o anche dal tema
precedente ma arricchito con qualche variante “ingegnosa” (ad es., non può
escludersi che s’imponga la questione dell’insediamento nel territorio libico delle
organizzazioni non governative incaricate di prestare l’”assistenza umanitaria” e,
con essa, della possibilità della connessa loro protezione da parte di un
contingente ONU o NATO, nell’assunto di non considerarlo “forza di occupazione
7
straniera”, in quanto il punto 4 della risoluzione inibisce ad essa l’ingresso nel
territorio libico stesso).
Appare limpidamente, così, come tanto più le dispute ermeneutiche
intorno alla risoluzione 1973 si faranno caotiche ed indefinite, quanto più
finiranno per esibire addentellati flebili e comunque assai frammentari con i piani
strategici che gli Stati in lotta per l’egemonia tenteranno di attuare, financo con
tutte le improvvisazioni e le impotenze del caso.
3.2. Credo anche che gli stessi istituti giuridici che l’ideologia della dottrina
internazionalistica ha tentato di approntare come luccicante protesi negli anni del
monocentrismo statunitense mostreranno definitivamente la corda, o meglio, il
che in fondo è lo stesso, la loro genesi reale; ciò che naturalmente potrebbe
segnare, come tutti i disvelamenti operati dallo studio scientifico, perlomeno un
avanzamento teorico, ma a patto, beninteso, che si sappia dove e come
osservare.
In altri termini, ritengo possano darsi le condizioni di possibilità affinché
emerga il connotato fondamentale degli istituti giuridici di diritto internazionale,
ossia quello di essere sostanzialmente un semplice guscio vuoto riempito di volta
in volta dalle mutevoli strategie di potenza degli Stati, incuranti, peraltro, dei veri
e propri capovolgimenti di giudizio attuati anche più volte nel corso di un arco di
tempo relativamente assai breve.
Mi paiono emblematiche, al riguardo, le mutevoli, recenti, vicissitudini
storiche proprio del concetto di insurrezione (o di movimenti insurrezionali o,
ancora, di partito insurrezionale), definito tradizionalmente come l’azione di
coloro i quali perseguono, mediante la lotta armata, il rovesciamento del governo
di uno Stato (cosiddetto governo legittimo o costituito), oppure la secessione di
una parte del territorio medesimo, purché abbiano acquisito un controllo
abbastanza stabile su una parte del territorio nazionale.
In particolare, a seguito della (illegittima) guerra in Serbia, con l’intervento
bellico delle potenze della NATO giustificato con il pretesto della necessità
dell’intervento umanitario a favore degli insorti secessionisti della provincia
autonoma del Kosovo, la successiva indipendenza che quest’ultima ha
autoproclamato dopo un periodo di amministrazione territoriale da parte delle
Nazioni Unite, è stata riconosciuta ad opera di molti di quegli stessi Stati europei
che poi, però, si sono opposti fermamente all’indipendenza di Abkazia e Ossezia
del sud2, riconosciuta, per contro, a sua volta dalla Russia (e mi pare da ben
2 Consiglio europeo straordinario di Bruxelles del 1° settembre 2008 – Conclusioni della
Presidenza, Documento del Consiglio europeo n. 12594/08 CONCL 3, punto 2, in rete nel sito
8
pochi altri Stati), la quale, correlativamente, si è invece opposta al
riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.
Naturalmente, in questa sede non mette conto di dilungarsi sulle vere e
proprie acrobazie verbali congegnate dalle potenze di volta in volta coinvolte al
fine di giustificare la diversità di giudizi a seconda delle convenienze (anche se
personalmente ritengo, scusandomi per il carattere apodittico dell’affermazione
ma è perché non interessa approfondire ai fini dell’economia del discorso che qui
si sta conducendo, che la Russia, dalla sua, possa vantare assai più fondate
ragioni, di carattere storico e geopolitico, analoghe, peraltro, con le dovute
varianti, a quelle della SerbiaMontenegro
con riferimento al Kosovo).
Aggiungo soltanto che la Russia, con l’”astensione costruttiva” sulla
risoluzione 1973, certo motivata contraddittoriamente e con notevole travaglio
ma comunque convergente con le potenze interventiste sul principio
ideologicamente cruciale della responsabilità di proteggere le popolazioni civili,
credo abbia aperto un pericoloso varco rispetto alla linea politica che sta tenendo
nei confronti della questione Cecena, giacché facilmente i suoi nemici potranno
invocare, in una diversa fase storica ma non credo troppo lontana nel tempo,
l’applicazione del predetto principio a favore degli insorti ceceni.
ufficiale del Consiglio. Il 26 agosto 2008 la Presidenza del Consiglio dell’UE aveva rilasciato una
dichiarazione relativa al riconoscimento russo dell’indipendenza di Abkazia e Ossezia del Sud, in
cui si condanna fermamente la decisione russa per la sua contrarietà ai principi d’indipendenza,
sovranità e integrità territoriale della Georgia riconosciuti dalla Carta delle Nazioni unite, dall’Atto
finale di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa e da varie risoluzioni del Consiglio
di sicurezza: Déclaration de la présidence du Conseil de l’Union européenne aprés la
reconnaissance par les autorités russes de l’indépendance de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud,
in rete al seguente indirizzo: www.ue2008.fr/PFUE/lang/fr/accueil/PFUE08_
2008/PFUE26.08.2008/
PESC. Inoltre, reazioni negative si sono avute, oltre che, ovviamente, dalle autorità
georgiane che hanno denunciato la violazione da parte russa della propria integrità territoriale e
della propria sovranità, anche da parte degli Stati Uniti e di molti altri Paesi e sono state espresse
in alcune riunioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU: si rinvia ai seguenti documenti: Security
Council 5952nd Meeting (PM) del giorno 8 agosto 2008 (SC/9418) e Security Council 5969th
Meeting (PM) del 28 agosto (SC/9438) consultabili in rete sul sito ufficiale delle Nazioni unite:
www.un.org. Anche la NATO ha espresso la sua condanna per il riconoscimento unilaterale russo
dell’indipendenza delle due regioni separatiste, e ciò con uno “statement” del Consiglio del 27
agosto: Statement by the North Atlantic Council on the Russian recognition of South Ossetia and
Abkazia regions of Georgia, in cui si afferma che la Russia avrebbe violato diverse risoluzioni del
Consiglio di sicurezza dell’ONU che riconoscono l’integrità territoriale della Georgia, oltre ai
principi OSCE sulla pace e la stabilità in Europa, richiamando la Russia al rispetto dell’integrità
territoriale georgiana. Il documento è pubblicato in un comunicato stampa online
al seguente
indirizzo: www.nato.int/docu/pr/2008/p08108e.
html. Insomma, turbinosi giri di valzer
giuridicodiplomatici.
9
4.0. Da ultimo, ritengo utile operare alcune puntualizzazioni in merito alla
valenza che può attribuirsi all’atteggiamento (da me ritenuto) sorprendentemente
debole (soprattutto) della Russia nella crisi libica, nel contesto della concezione,
elaborata da Gianfranco La Grassa ed assunta come teoria di riferimento dal
blog (e comunque dal sottoscritto), della presente fase storica quale epoca del
multipolarismo (il cui significato, nell’accezione in cui viene inteso da La Grassa
stesso e dagli altri collaboratori del blog, mi permetto di dare per acquisito).
In effetti, si potrebbe sostenere l’opinione che l’inoppugnabile dato
rappresentato dalla debolezza della Russia, sembra confutare la tesi del declino
degli USA (seppure ancora prima potenza mondiale), assunto come elemento
caratterizzante l’attuale mondo multipolare. Senonché, a mio avviso la
fondatezza di tale opinione è inficiata da un duplice errore prospettico, di metodo
e di contenuto, entrambi, del resto, strettamente connessi.
Il primo consiste nel ritenere che la teoria delle formazioni sociali, ma direi
in generale (anche se non in assoluto) la pratica scientifica, debba e possa
rendere esattamente conto di ciascun accadimento che ha luogo in un dato
istante storico, colto però soltanto nella sua singolarità e dunque irrelato rispetto
ad altri accadimenti. Certo, si tratta di una distorsione ottica in gran parte
inevitabile poiché dovuta ad una nostra peculiare condizione, ossia quella di
contemporanei rispetto al verificarsi di detti accadimenti, la quale ce li fa apparire
sovradimensionati, ciclopici, la cui pur effettiva grandezza in qualche modo
induce a schiacciarci soltanto su di essi, rendendoci così difficoltoso
l’ampliamento dell’angolo visuale. Viceversa, è proprio un dispositivo teorico
rettamente funzionante che può consentire tale ampliamento, e dunque una
sorta di pur parziale anticipazione di quella prospettiva che soltanto la distanza
storica del medio periodo permetterà di guadagnare, ponendo l’analizzante in
condizione di valutare più accadimenti nella loro indisgiungibile costellazione
unitaria.
Il “reticolo” teorico viene teso, insomma, a maglie necessariamente larghe,
onde consentire, ed unicamente per sua capacità intrinseca, una “giusta”
distanza dalla realtà; che non le sia, cioè, né così vicino al punto da confondersi
e ritagliarsi di volta in volta un profilo derivante, per filiazione diretta, dal mutevole
contorno dei variegati dati empirici presi in considerazione, né troppo lontano,
così da ritrovarsi a galleggiare in un vuoto pneumatico, senza alcun addentellato
con il reale. In concreto, la crisi libica, che a noi pare storicamente enorme (e
probabilmente lo è, ma non con la funzione e portata che presumo noi le si
attribuisce), va inserita in un quadro multipolare la cui scala temporale, siccome
calibrata in funzione del medio periodo (le “maglie larghe”, così definite anche
sotto questo profilo), abbraccia più accadimenti connettendoli in un “sistema” di
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nessi che li avvincono. Per il momento, quindi, si può e si deve, ovviamente,
analizzare in tutta la sua rilevanza la crisi libica, ma senza avere la fretta di
inferirne immediatamente “natura” e “direzione” di fondo del processo storico in
cui essa ha avuto la ventura di venire alla luce.
L’errore di contenuto, infine, consiste nel postulare implicitamente che il
multipolarismo equivalga senza residui al declino degli USA, e segnatamente al
declino in quanto viene fatto coincidere pienamente con il tramonto della
prevalenza militare su scala planetaria, a vantaggio della crescita militare dalle
altre potenze competitrici nella lotta per la supremazia. Così ragionando, ne
deriverebbe, a contrario, che la mancata perdita di detta prevalenza militare da
parte degli USA, risulti automaticamente sintomo ed anzi unico effetto di
un’ancora persistente e ben saldo monocentrismo di quest’ultimi. Senonché, il
tratto differenziante tra assetto multipolare e monocentrico, almeno secondo
l’idea (recentemente ripresa) di La Grassa che mi sento di condividere, va
ravvisato non già esclusivamente nel mero fatto della supremazia militare,
rispettivamente declinante (multipolarismo) e perdurante (monocentrismo),
bensì, prevalentemente, nello svuotamento della funzione di coordinamento
mondiale, il quale a sua volta produce una serie di risultati tra i quali, ad es., il
cambio di intensità delle perturbazioni nella sfera economica, che si commutano
da più blande recessioni a vere e proprie crisi sistemiche. In quest’ottica,
pertanto, la guerra libica, accompagnata da ciò che in effetti appare un attestato
di sostanziale paralisi e debolezza di Russia e Cina, con una correlativa assai
probabile vittoria militare del gruppo delle potenze occidentali guidato dagli USA,
non sembra tuttavia necessariamente indicativa di un persistente monocentrismo
della potenza d’oltreatlantico. Semmai, la cifra della stessa pare rinvenirsi nella
suddetta mancanza di coordinamento, la cui attuale forma di esistenza è il caos
degli ordinamenti sociali e degli assetti d’area.
 
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Soldellavvenire
view post Posted on 7/7/2011, 17:53




Addirittura si riciclano manifesti fascisti. Questo non è vero comunismo. Non confondiamo il comunismo con l'antiamericanismo a priori.
 
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Riccardo88
view post Posted on 24/7/2011, 08:09




CITAZIONE (Soldellavvenire @ 7/7/2011, 18:53) 
Addirittura si riciclano manifesti fascisti. Questo non è vero comunismo. Non confondiamo il comunismo con l'antiamericanismo a priori.

e quale sarebbe il "vero" comunismo?
 
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Smersh
view post Posted on 5/8/2011, 07:39




Quattro mesi di guerra in Libia

:::: Anatolij Tsyganok :::: 4 agosto, 2011

L’operazione militare della Nato contro la Libia, condotta principalmente dalle forze armate di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, sta accelerando la formazione di un nuovo sistema di relazioni internazionali. Allo stesso tempo, la guerra funge da poligono di tiro per testare la strategia degli Stati Uniti con l’Africa Command (USAFRICOM) in una situazione di combattimento reale, così come l’efficienza delle nuove armi …
Gli strateghi USA e NATO hanno sbagliato i calcoli, se pensavano che questa campagna militare si sarebbe conclusa in alcune settimane. Con la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è stata creata la no-fly zone nello spazio aereo della Gran Giamahiria Araba Libica, è stato introdotto l’embargo sulle forniture di armi e i beni libici sono stati congelati. L’operazione in Libia, che doveva essere completata inizialmente entro il 27 giugno, è stata prolungata di 90 giorni fino alla fine di settembre.
Vi sono stati articoli, nei mass media, secondo cui una vasta operazione terrestre in Libia, sotto il comando degli Stati Uniti, era in programma col previsto impiego di truppe da ottobre. La guerra di Libia è la quinta che si aggiunge alle quattro guerre che gli Stati Uniti stanno orchestrando in Iraq, Pakistan, Yemen e Afghanistan … Gli obiettivi della presenza permanente degli USA in Libia sono punire Gheddafi per il suo rifiuto ad unirsi all’USAFRICOM, cacciare i cinesi dalla Libia e tagliare l’accesso alle risorse petrolifere agli europei.

Aspetti militari e strategici della guerra
I 150 giorni di guerra hanno rivelato il cattivo stato del coordinamento politico e militare nella NATO. La Francia, che ha avviato l’operazione militare, non poteva fare niente contro Gheddafi senza i sistemi di guerra elettronica, le aviocisterne, i missili da crociera e gli aerei AWACS degli USA. Al fine di impiegare decine dei loro cacciabombardieri Tornado contro la Libia, gli inglesi hanno dovuto lasciare metà della loro flotta aerea in Inghilterra senza parti di ricambio e sospendere i voli dei loro intercettori della difesa. L’operazione in Libia è un limitato conflitto militare e se gli europei hanno problemi con le munizioni già a un paio di mesi dall’inizio della campagna, è ragionevole chiedersi a quale tipo di guerra si stessero preparando? Ancora una volta questa guerra mostra lo stato della “macchina bellica” europea.
L’operazione contro la Libia è stata pianificata presso il comando generale dell’USAFRICOM, guidato dal generale K. Ham. Gli ufficiali delle forze aeree di Gran Bretagna, Francia e altri Paesi della coalizione sono andati al quartier generale allo scopo di elaborare le operazioni congiunte. Più tardi, tuttavia, la leadership della NATO è stata incaricata della pianificazione. Forse, il compito principale non era la creazione né di una no-fly zone nel nord della Libia, né la liquidazione delle forze aeree libiche, come è stato nel caso della Jugoslavia e dell’Iraq, ma la liquidazione della leadership libica.
Ma la NATO ha sottovalutato lo stato morale e psicologico delle truppe libiche. La leadership degli Stati Uniti e della NATO ha supposto che dopo dopo i primi attacchi, l’esercito di Gheddafi sarebbe stato sconfitto e i soldati libici avrebbero iniziato a darsi prigionieri, ma l’esercito di Gheddafi è riuscito a mantenere l’efficienza operativa. L’esercito libico di marzo e l’esercito libico di luglio del 2011 sono due eserciti diversi in termini di tattiche, efficienza e coraggio. Quei soldati imparano assai in fretta. Il compito della liquidazione della potenza operativa libica è rimasto incompiuto. La NATO e gli Stati Uniti non sono riusciti ad ottenere il pieno controllo delle coste e della parte occidentale della Libia.
Inaspettatamente per la coalizione occidentale, gran parte della popolazione ha sostenuto Gheddafi. Secondo i mass media, circa il 70% dei cittadini della Libia o sostiene il proprio leader o rimane neutrale. Le truppe governative sono supportate dalle unità della difesa locale (una componente della riserva delle Forze Armate) e dalla milizia. Ciò significa che i leader delle operazioni contro la Libia vedono la minoranza ribelle, e non la maggioranza fedele a Gheddafi, quale “popolazione pacifica”.
Seconda cosa inaspettata è che Khalifa Haftar, l’ex colonnello dell’esercito libico che fuggì dal paese più di 20 anni fa e che guida le unità da combattimento dei “rivoluzionari”, non è una figura rispettata dalle tribù locali. Parte degli ex ribelli dicono: “Sentite, non siamo contenti di Gheddafi. Ma quando abbiamo visto la NATO, tra cui l’Italia, la nostra vecchia potenza occupante coloniale, l’abbiamo rivalutato; OK è un dittatore che abbiamo da più di 40 anni, ma diavolo, è un nazionalista libico ed è riuscito a darci il più alto tenore di vita in Africa.”
Terza cosa inaspettata è la previsione che, in mezzo al caos, gli insorti e i gruppi di al-Qaida, e molti gruppi terroristi che agiscono nei paesi del Sahel – Ciad, Niger, Mali e Mauritania – avrebbero cercato di impadronirsi delle armi conservate nei depositi nel sud della Libia, si è avverata. I militanti sono riusciti ad impadronirsi di lanciarazzi RPG-7, mitragliatrici, fucili Kalashnikov e anche lanciamissili spalleggiabili. “Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM)” ha già organizzato molte carovane per il trasporto di armi dalla Libia al Mali e all’Algeria.

Aspetti tecnico-militari
Una cosa unica delle azioni militari in Libia è stato il vasto impiego di sistemi d’arma guidati. Il loro impiego si è basato sui dati ricevuti in tempo reale dall’intelligence radio-elettronica ed ottica. Grazie alla elevata precisione nella rilevazione dei bersagli, la quota dell’impiego di armi guidate è salita all’85%.
L’ambizione di implementare il concetto di attacchi “chirurgici” ha portato a un ampio uso di missili da crociera tattici BGM-109 Tomahawk, bombe a guida laser AGM-123, missili AGM-65F Maverick, missili aria-aria AIM-9 Sidewinder, bombe guidate AASM, missili da crociera Storm Shadow, missili aria-superficie A2SM, bombe da 907 chili GBU-31B/JDAM ed Enhanced Paveway III, missili Brimstone.
Durante la guerra libica, gli Stati Uniti hanno testato le armi in ambienti operativi reali, come il sottomarino nucleare strategico, della classe Ohio, Florida, i missili cruise tattici Tomahawk Block IV (TLAM-E), il velivolo da guerra elettronica EA-18G Growler dell’US Air Force. La Gran Bretagna ha testato il caccia multiruolo Eurofighter Typhoon, le cannoniere volanti AC-130, pesantemente armate per l’attacco al suolo, e gli elicotteri senza pilota MQ-8B Fire Scout. Gli Stati Uniti e la NATO hanno anche usato armi all’uranio per perforare le corazzature e le bombe a vuoto (che pesano fino a 2 tonnellate).

La spesa bellica
Al 3 giugno, le spese degli Stati Uniti per le operazioni in Libia (solo i costi relativi al Pentagono) ammontavano a 715,9 milioni di dollari USA. I militari statunitensi hanno fornito aiuti umanitari del valore di 1 milione, mentre un altro milione di dollari è stato speso per la ricostituzione delle riserve del Ministero della Difesa degli USA. Dal 30 settembre, la campagna libica richiederà altri 400 milioni di dollari. I missili Storm Shadow e Tomahawk, lanciati dai sottomarini, costano ognuno 1,1 milioni e 800000 dollari.
Secondo il Ministero della Difesa francese, al 3 maggio, un totale di 53.000.000 di euro è stato speso per l’operazione United Defender, e 31.700.000 euro (45,1 milioni di dollari US) sono stati spesi per le munizioni.
All’8 maggio, la spesa della Gran Bretagna per le armi guidate ad alta precisione era di 43.770.000 di sterline (71,8 milioni di dollari US).
L’invio di 4 bombardieri Tornado GR4, 3 jet intercettori Eurofighter Typhoon e relativo supporto, costano 3,216 milioni di dollari ogni giorno. Un’ora di volo dei Tornado costa 33.000 dollari, compreso il carburante, la manutenzione e l’addestramento dell’equipaggio. I Typhoon costano 80000 dollari all’ora. In Italia, il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ha annunciato che il suo paese aveva ridotto i costi di partecipazione all’operazione in Libia, da 142 milioni a 60 milioni di dollari.
Dal 30 settembre, i costi complessivi per le operazioni in Libia si prevede raggiungeranno 1,1 miliardi di dollari USA.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
www.aurora03.da.ru
www.bollettinoaurora.da.ru
http://aurorasito.wordpress.com

La ripubblicazione è gradita con riferimento alla rivista online Strategic Culture Foundation: www.strategic-culture.org.

http://www.strategic-culture.org/pview/201...r-in-libya.html


http://www.eurasia-rivista.org/quattro-mes...in-libia/10610/

CITAZIONE (Riccardo88 @ 24/7/2011, 09:09) 
CITAZIONE (Soldellavvenire @ 7/7/2011, 18:53) 
Addirittura si riciclano manifesti fascisti. Questo non è vero comunismo. Non confondiamo il comunismo con l'antiamericanismo a priori.

e quale sarebbe il "vero" comunismo?

Il "vero" comunismo è il marxismo positivista occidentale, cosmopolita e libertario. :sick:
 
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9 replies since 20/3/2011, 15:51   340 views
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