Associazione Pionieri d'Italia

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Omnia Sunt Communia
view post Posted on 6/8/2010, 10:18




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L'Associazione Pionieri d'Italia (1)


L'A.P.I, l'Associazione dei Pionieri d'Italia, nasce dopo "La lotta di Liberazione Nazionale", nel 1950 ha un proprio organo di stampa settimanale "Il PIONIERE", un vero giornale per i ragazzi, diverso da tutti gli altri, usciva ogni domenica ed era diretto da Dina Rinaldi, cesserà le pubblicazioni nel maggio del 1962 e, con esso, di lì a pochi anni l'Associazione dei Pionieri cesserà ogni attività: bisogna infatti annotare il periodo che intercorre dalla cessazione della pubblicazione del Pioniere a quella in cui sorse l'Associazione degli Amici del Pioniere dell'Unità (dal 1963 al 1966 il giornale rinacque come "il Pioniere dell'Unità", usciva come inserto gratuito del quotidiano comunista l'Unità ogni giovedì).
L'associazione è strutturata in circoli, è possibile però aderire anche individualmente ove non sussistano le condizioni per riunirsi in circoli, riunisce tutti i ragazzi e le bambine d'Italia fino all'età di quindici anni, i Pionieri si distinguono perché portano al collo un fazzoletto rosso ornato dal tricolore nazionale. I Pionieri d'Italia saranno conosciuti oltre la cerchia dell'organizzazione comunista (P.C.I) nel 1951 in occasione dell'alluvione del Polesine. Sorsero infatti le "staffette della solidarietà" organizzate dai Pionieri, che raccolsero denaro e indumenti per gli alluvionati. Da quella prima gara di solidarietà, che accomunò ragazzi e ragazze di ogni città d'Italia, le iniziative di solidarietà si ripeterono nei modi e nelle forme più diverse. Nel 1953 e 1954, quando i lavoratori delle grandi fabbriche scesero in sciopero, i ragazzi dell'A.P.I e i lettori del Pioniere, organizzarono raccolte di viveri in favore degli operai della S. Giorgio di Genova, della Breda di Milano, dei cantieri di Marghera. Poi i Pionieri del nord aprirono una campagna di sottoscrizione in favore dei Pionieri del sud e fu anche grazie a questo se a Napoli, Bari, Taranto, Foggia, Salerno e Palermo sorsero nuovi reparti di Pionieri.
Nel 1957, diecimila ragazzi italiani inviarono le loro "cartoline d'amicizia" a James e David, i due ragazzi negri d'America, puniti perché avevano giocato con una bambina bianca; così come l'espressero agli eroici coniugi Rosenberg, ingiustamente condannati alla sedia elettrica. E, ancora, nel 1960, i Pionieri espressero ininterrottamente la loro solidarietà ai ragazzi e ai patrioti algerini.
A queste tappe, altre se ne aggiunsero: concorsi su temi dedicati alla pace, al lavoro, alla scienza, manifestazioni in onore del Primo e Secondo Risorgimento; tornei sportivi; feste di fine anno e del ritorno a scuola; la creazione di giornaletti scolastici e di circolo, la creazione delle "staffette del Pioniere" che dettero, sempre, un grande e prezioso contributo alla diffusione del giornale fra gli amici e i compagni di scuola.
L'Associazione dei Pionieri assieme al Pioniere è stata una grande conquista, ma genitori ed educatori, pur apprezzandola, non l'hanno pienamente difesa e arricchita di nuovi slanci e coscienti aiuti che avrebbero di certo contribuito a continuare in questa impresa fino ai giorni nostri.
L'Associazione dei Pionieri d'Italia e il Pioniere, sono state le uniche organizzazioni che abbiano fatto conoscere e diffuso gli ideali antifascisti e dei lavoratori tra i ragazzi, le sole che abbiano chiamato i ragazzi ad essere partecipi della storia che essi, vivevano, giorno per giorno, con i loro genitori; di essere partecipi delle lotte aspre e generose condotte dalla parte migliore dell'umanità per la pace e la giustizia umana.
Essere stato Pioniere è quindi motivo di profondo orgoglio ancor oggi per molti ragazzi di ieri.


I prossimi documenti sono lunghetti, quindi metto lo spoiler. Il primo è una ricerca della Dott.ssa Michela Marchioro; il secondo è un articolo sulle associazioni giovanili comuniste, sempre dallo stesso sito; il terzo è un capitolo proveniente da un libro che si commenta da sè (La maschera e il volto: verità su l'opera antireligiosa del P.C.I.), che pur essendo fazioso ed intriso di retorica cattolica è pur sempre un documento interessante, poichè ci permette di capire le posizioni della DC e del clero nei confronti dell'Associazione Pionieri d'Italia.

"Nascita e sviluppo", a cura della Dott.ssa Michela Marchioro (2)


SPOILER (click to view)
La storia dell'esperienza associativa dell'Associazione Pionieri d'Italia (Api), è strettamente legata al contesto storico in cui si sviluppò, gli anni cinquanta. Nel clima particolare di un'Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, che sceglie di essere Repubblica con il referendum del 2 Giugno 1946 e che riprende la sua vita democratica dopo il ventennio fascista, la storia dell'Api si intreccia alla speranza di democrazia e rinnovamento sentita in quel periodo da parte della popolazione.
L'Api si può considerare come una sostanziale novità nel panorama educativo per l'infanzia. Il quadro storico-politico in cui si sviluppò è quello di un paese liberatosi dall'occupante nazista e dallo stesso fascismo con l'intervento degli anglo-americani e con la guerra partigiana. Un'Italia in cui le due maggiori forze politiche, la Democrazia Cristiana di De Gasperi e il Partito Comunista Italiano di Togliatti, riproposero il modello internazionale di conflitto tra le grandi potenze: americana e sovietica. Un'Italia in cui la Chiesa cattolica aveva assunto un ruolo preponderante e il confronto politico si delineava come scontro tra un mondo cattolico-democristiano e uno schieramento socialcomunista.
Per meglio inquadrare la novità rappresentata dall'Api occorre sottolineare che, dopo il crollo della Gioventù italiana del Littorio e la fine della guerra, la maggior parte delle associazioni e delle iniziative per i ragazzi erano state di matrice cattolica. Immediata fu dunque l'opposizione verso l'intraprendenza della sinistra nel settore giovanile. Il "sistema" creatosi attorno al Partito Comunista fondato sui valori di solidarietà, di democrazia, di uguaglianza, di partecipazione, di pace, di giustizia sociale è il terreno in cui cominciò la storia dei pionieri. È in questo decennio che la politica del partito è finalizzata alla diffusione capillare dei propri valori e ideali e che si assiste al proliferare di "organismi di massa": associazioni di amicizia con l'Urss, circoli sportivi, ricreativi, circoli di teatro, case del popolo, Unione donne italiane (Udi), associazione dei reduci partigiani Anpi. L'Api, pur rientrando idealmente in questo universo di sinistra, costituisce a nostro avviso un caso a parte, sia per essere stata successivamente rimossa dalla memoria ufficiale degli anni cinquanta, dimenticata non solo in quanto rappresentativa di un capitolo particolare della storia sociale, quella dell'infanzia, ma forse anche perché esperienza in cui ravvisare alcuni limiti di tipo organizzativo e pedagogico. Spesso l'Api è stata considerata un'esperienza settaria, una mera occasione d'indottrinamento ideologico, nonostante le sue origini autonome dal partito comunista. L'attribuzione di un carattere spontaneo, di autonomia almeno iniziale dal Pci, riporta alla storia dei primi nuclei originari dell'associazione. Il movimento si sviluppò in primo luogo nelle zone dell'Italia settentrionale e in Toscana, in particolare nelle province emiliane di Reggio e Bologna. Le esperienze di questi primi nuclei costituiranno la base di quell'organizzazione nazionale che si svilupperà lungo un decennio.
I primi gruppi avevano nomi diversi: "Piccoli Garibaldini", "Speranze d'Italia", "Giovani Esploratori". Il nucleo promotore dell'associazione nazionale fu quello di Reggio Emilia, con il nome di "Associazione giovani esploratori" (Age), denominazione modificata quando confluì nella nascente Associazione Pionieri d'Italia. Nel '49 dopo una serie di contatti tra i giovani fondatori reggiani e il Partito Comunista Italiano, alcuni esponenti dei nuclei reggiani si recarono a Roma per ufficializzare l'organizzazione nazionale. Segretario dell'Api dalla sua fondazione allo scioglimento nel sessanta fu Carlo Pagliarini, figura che per più di un decennio fu il principale promotore e il portavoce ufficiale della linea dell'associazione. Reggiano di origine, si trasferì giovanissimo a Roma, dopo aver preso parte alla Resistenza. Con lui arrivò a Roma il grande progetto di poter sviluppare ad un livello più ampio ed uniforme un'associazione fino allora caratterizzata dall'attività frammentaria di singoli gruppi locali. Nelle campagne, nelle periferie, attorno alle Case del Popolo, alle cooperative si coinvolgevano i ragazzi, in attività ricreative all'aperto, dopo l'orario della scuola. La vicenda che più li affascinava e li accomunava era l'evocazione di fatti e personaggi leggendari della lotta partigiana, combattuta con durezza in quell'area geografica. Gli ideali, i valori, gli schemi organizzativi erano per alcuni aspetti ripresi (reparti, stormi, staffette) e la lotta partigiana diveniva la principale fonte d'attrazione per i ragazzi. L'attivismo e la volontà di alcuni giovani non aveva quindi atteso l'iniziativa del Pci, si erano organizzati nella provincia autonomamente, fino al contatto con il partito di Roma. Queste prime esperienze associative, inizialmente disgiunte da un preciso disegno pedagogico-politico, diedero avvio alla prima rete associativa per ragazzi costituita dalla sinistra nel secondo dopoguerra, assumendo una rilevante importanza ai fini della comprensione di quello spirito collettivo e di partecipazione che animava i militanti del Pci. È solo dal '49, anno ufficiale della fondazione dell'Api, che il progetto di un'estensione nazionale comincia a svilupparsi concretamente, con la seria intenzione di essere struttura di promozione e coordinamento, servizio educativo-ricreativo per i bambini, figli della classe contadina e operaia. La creazione di un'associazione in cui trasmettere i valori di un'"educazione democratica", contrapposta all'indottrinamento di regime impartito per oltre un ventennio ai giovani italiani, orientata ad un'idea di rinnovamento della società fondata sui valori resistenziali e della democrazia, rientrava in un più generale progetto di rinnovamento della società attuato dai partiti della sinistra. I primi anni dell'Api furono di grande sperimentazione. Ricordiamo che Pagliarini, appoggiato inizialmente in modo non diretto e ufficiale dal Pci, potè sviluppare l'associazione facendo affidamento, proprio a livello locale, sulle attività e la disponibilità delle Case del Popolo, degli attivisti di ogni paese, provincia e città che si riconoscevano nei programmi e nei valori di questa nuova associazione. Le esperienze dei campeggi reggiani tra cui la famosa "Repubblica dei Ragazzi", una sorta di campeggio autogestito che riproduceva il mondo degli adulti, servirono per comprendere immediatamente i limiti di alcuni progetti e per programmare e dunque definire gli obiettivi da raggiungere. Per ottenere una diffusione nazionale e per essere un'associazione di reale supporto per le famiglie italiane, si rendeva necessario pianificare con continuità l'attività dei giovani pionieri, durante tutto l'anno scolastico, e non limitarsi al solo periodo estivo, quello delle escursioni e dei campeggi.
Nonostante l'impegno dei volontari, dei genitori e dei dirigenti, nel settore dell'associazionismo giovanile l'Api non riuscì mai ad eguagliare la capillarità della presenza cattolica raccolta intorno alle parrocchie. Il movimento di sinistra non raggiunse mai alti numeri di aderenti. L'associazione fu caratterizzata da un'espansione disomogenea. La consistenza numerica dei pionieri si misura sulla base del tesseramento annuale. Alla fine del novembre 1950 gli iscritti sono 97.330, i Falchi Rossi – la struttura parallela costituita dal Psi - 26.000. Alla fine del '51 si contano 148.000 pionieri e 33.000 falchi rossi. Le tessere diffuse ufficialmente sono circa 150.000 così distribuite: 80.450 nell'Italia settentrionale (l'Emilia è al primo posto con 51.000 tesserati); 21.580 nell'Italia meridionale. Il 1951 è l'anno in cui si registra anche un rafforzamento del gruppo dirigente: funzionari, attivisti e molti giovani iniziano a dedicarsi esclusivamente al lavoro dell'associazione. Anche nel Meridione – a Taranto, Bari, Napoli, Reggio Calabria e Pescara – si registra una partecipazione più attiva. I dati numerici riportati per il 1951 sono desunti dagli Atti del III Consiglio nazionale e risultano però discordanti da quelli riportati in un saggio del 1968 in cui si annota che nel 1950 gli iscritti erano circa 97.075, concentrati per il 50% in una sola regione, l'Emilia; nel '53 circa 70.000 con 400 sezioni. Altre fonti (anticomuniste) attribuivano all'organizzazione 200.000 iscritti con 10.000 gruppi di attività e 3.000 capireparto. Nel 1954 gli iscritti all'Api sono 142.000 e gli iscritti ai Falchi rossi 15.000. L'Api raggiunse una punta massima di circa 150.000 pionieri.
Lo stesso Enrico Berlinguer, allora giovane segretario della Fgci, il movimento giovanile del Pci, rilevò l'assenza dell'Api in intere province e regioni d'Italia. L'Api era infatti : "(…) l'organizzazione dei ragazzi emiliani, toscani, dei ragazzi milanesi, torinesi, genovesi e di altre province; ma non è, per esempio, l'organizzazione dei ragazzi meridionali, siciliani, veneti."

L'Organizzazione interna
Pagliarini in un incontro che ho avuto con lui nel 1992, affermò che lo sviluppo dei pionieri è stato possibile perché vi era una grande fiducia nel nuovo tipo di attività che si intraprendeva. Fiducia riscontrabile nel rapporto diretto ragazzo-adulto, fiducia che si nutriva dell'energia, della creatività, dello slancio e dell'entusiasmo dei giovanissimi e degli stessi operatori. L'associazione infatti, dopo le primissime esperienze emiliane, si caratterizzò presto come costituita da dirigenti e ragazzi. Si tratta ora di analizzare la sua articolazione interna. Cominciamo dai ragazzi: i pionieri. Base dell'Api è il reparto. L'ammirazione per alcuni aspetti della vita militare, in questo caso la lotta partigiana vissuta negli stessi paesi, ha influenzato l'impostazione strutturale dell'Api, nonostante la sua aspirazione alla pace. Il reparto esercita il suo fascino, ha lo scopo di aggregare i ragazzi che vivono nella stessa località di un comune, può sorgere in un quartiere di città, in una frazione, in un rione. Il reparto è un organismo che cerca l'appoggio delle organizzazioni democratiche esistenti sul territorio. Strutture sindacali locali, Udi, Case del Popolo hanno il compito sociale e politico di seguire nella sua espansione l'Api e quindi di coinvolgere i reparti dei giovani pionieri. I reparti sono distinti per sesso: "l'Api ritiene che le esigenze dei maschi e delle bambine, in relazione alla loro formazione ed alla loro attività, siano tali da esigere una diversa organizzazione, una diversa direzione (maschile per i reparti maschili, femminile per i reparti femminili) e un diverso orientamento di particolari iniziative.".
Vi sono però alcune attività che prevedono la collaborazione di bambine e bambini, si tratta delle gite, delle ricerche, delle celebrazioni pubbliche. Gli stessi programmi educativi non sono diversi tra maschi e femmine, cambia sostanzialmente il tipo di attività da svolgere. I reparti possono avere delle unità sottomultiple, soprattutto quando i suoi membri superano il numero di quattordici. Si possono allora organizzare i gruppi per età, e all'interno degli stessi gruppi si possono dividere le attività in modo che ogni pioniere abbia un compito-lavoro specifico in cui applicarsi.
"Si badi bene però: non a seconda delle attività di origine, non a seconda della categoria sociale a cui appartengono i ragazzi, dividendo studenti da lavoratori, ragazzi di origine operaia da ragazzi di altri ceti, come si fa nell'Azione Cattolica; bensì a seconda dell'attività particolare che i ragazzi si sono scelta nel reparto."
Si avranno così il gruppo dei falegnami e quello della filodrammatica; quello del ricamo e quello della decorazione. Il reparto dunque è distinto, vi aderiscono pionieri maschi o femmine, le attività saranno talvolta distinte in base al sesso, ma ciò non toglie che
" (…) il reparto offre occasione alle bambine di dedicarsi a queste attività, mentre insegna loro a non vedere solo questo lato della vita. Perché noi vogliamo che le bambine crescano donne attive e coraggiose, capaci di iniziative, pronte a prendere il loro posto nella società democratica".
Altra convinzione dell'Api sull'educazione da impartire alle bambine è "(…) noi dobbiamo portare fra le bambine anche lo sport, le attività all'aria aperta, i giochi, una serie di attività che i tradizionalisti ritengono -sbagliando- che siano riservate ai soli ragazzi."
I ragazzi del reparto, attraverso un'elezione democratica da parte dell'assemblea plenaria dei pionieri, si danno un comando, sotto la supervisione naturalmente di un educatore. Si eleggono cinque membri che avranno compiti quali: l'inquadramento, la stampa, il tesoro, lo sport e le attività ricreative. I ragazzi, per lo spirito di competizione che li caratterizza, ambiranno ad avere quelle cariche: è, infatti, un grande onore appartenere al gruppo del comando, non per l'autorità di cui si è investiti, ma per la responsabilità che ci si assume, per l'impegno che si accetta verso gli altri, i quali saranno sempre attenti ad osservare, ed eventualmente criticare, il lavoro svolto dai comandi e non dovranno avere il timore di rivendicare le loro opinioni e il loro pensiero agli altri tesserati.
Bisogna pertanto instaurare un sistema di lavoro e di attività che educhi il ragazzo al senso di collettività, al rispetto e al confronto con i propri compagni. Attraverso questo tipo di struttura organizzativa, l'Api aspira ad abituare i giovani fin dai primi momenti della loro vita di gruppo, all'esercizio della democrazia, della critica e dell'autocritica. In questo modo si spera di crescere uomini responsabili verso sé stessi e verso la società.
Questo tipo di suddivisione interna riprende per alcuni aspetti quella delle formazioni partigiane durante la lotta di liberazione. Non bisogna dimenticare che gli stessi gruppi e reparti locali dei pionieri scelgono un nome-simbolo (quello di un patriota, di uno scienziato, di un eroe), hanno distintivi, cuciono bandiere, triangolari quelle dei reparti con simboli colorati e un tricolore quella dell'associazione con al centro il distintivo Api e hanno parole d'ordine come "Avanti!" e "Verso la vita". Naturalmente si sottintende avanti per una patria dei lavoratori nella pace e nella libertà, avanti nello studio e nel lavoro per divenire i migliori ed essere di guida a tutti i ragazzi d'Italia, avanti per una forte e grande Associazione Pionieri d'Italia.
I pionieri hanno addirittura un saluto dai connotati militari, si tratta di portare la mano destra all'altezza del sopracciglio destro, col pollice alla tempia e le dita unite, e di salutare poi al modo classico gridando "Avanti!". Le dita unite indicherebbero l'unione fraterna dei popoli dei cinque continenti, la mano in avanti indicherebbe la decisione di essere sempre tra i primi e di esempio per gli altri. Insomma, dal reparto alle piccole staffette che diffondono il giornale "Il Pioniere", tutto sembra ricordare le formazioni partigiane, ma ben sappiamo che, nella realtà, i gruppi dei pionieri si riunivano per non stare soli mentre i genitori erano al lavoro, per studiare insieme con l'aiuto di un educatore, per giocare in strada, soprattutto per stare insieme.
I giovani dirigenti sono le figure chiave per comprendere il funzionamento dell'associazione. Sono loro, infatti, ad avere un rapporto diretto sia con i bambini sia con le famiglie. Il loro ruolo di educatori li rende esempio e modello per i ragazzi. Ogni parola, ogni azione, ogni gioco svolto con i ragazzi deve essere un momento di educazione. È soprattutto su questo terreno che si misura la responsabilità del dirigente. Il dirigente infatti " (…) deve guadagnarsi la stima dei genitori, degli educatori, dei maestri e di tutta la popolazione, egli deve cioè rendersi degno con la sua condotta e per la sua attitudine di sostenere la responsabilità di educatore che gli è affidata".
Poiché l'operatore è un educatore Api, un educatore di tipo nuovo, e dal momento che raramente si tratta di persone che hanno avuto la possibilità di studiare o che comunque hanno conoscenze di tipo pedagogico limitate, compito dei dirigenti è impegnarsi nello studio, acquisire metodi educativi, migliorare le proprie conoscenze personali. Si studierà soprattutto il materiale pubblicato periodicamente dall'Api e quello di pedagogisti quali Lombardo Radice, Dina Bertoni Jovine o un classico della pedagogia sovietica come Makarenko. Chi lavora nell'Api lavora per l'Api, per il successo dell'associazione e per la realizzazione di un grande progetto educativo di formazione dei ragazzi e di crescita della democrazia. Aggiornarsi sarà dunque all'ordine del giorno, partecipare a convegni, ai raduni, ai momenti di incontro e confronto con altri dirigenti, partecipare alle "tre-giorni", corsi rapidi e sintetici per la formazione degli educatori con lezioni teoriche e pratiche: questo sarà il compito di ogni buon educatore e dirigente. Ma chi sceglie i dirigenti? E perché questi si avvicinano al mondo dell'Api? Se il dirigente rappresenta un modello per i ragazzi, deve essere una persona in grado di trasmettere i principi fondanti dell'Api, dunque ideologicamente vicino alle posizioni dell'Api, e nello stesso tempo deve essere una persona in grado di stare con i bambini, di sapersi rapportare a loro. La sua personalità, il suo atteggiamento verso la realtà verranno recepiti dai bambini e dunque "a dirigere un reparto di pionieri deve essere chiamato un elemento che con il suo contegno personale e la sua attività abbia dimostrato di essere degno di educare i ragazzi nello spirito della democrazia, e capace di migliorarsi continuamente."
Gli operatori saranno per lo più anche loro giovani, per un miglior rapporto con il ragazzo e perché più facilmente potranno avere tre doti fondamentali: essere animatori, essere entusiasti, essere organizzatori. Il contributo degli adulti però, e in particolare delle donne, non va dimenticato. I compiti saranno diversi: all'organizzazione delle attività pratiche e manuali vi saranno gli adulti e le donne, all'organizzazione dei reparti e delle attività sportive ed escursionistiche i giovani.
Abbiamo affermato in precedenza che l'Api non ha avuto un pieno sviluppo nazionale. Non raggiunse soprattutto le dimensioni dei pionieri sovietici o d'altri paesi dell'Est. L'influenza sovietica sul tipo di organizzazione e su alcuni programmi d'intrattenimento è stata rilevante. La differenza essenziale tra i nostri pionieri e quelli sovietici è ravvisabile nell'ufficialità di stato dei secondi. In uno stato-partito i bambini erano tutti pionieri, l'organizzazione per l'infanzia era parallela e collegata a quella scolastica. Obiettivi, programmi di lavoro della scuola e delle attività extrascolastiche erano affini per non dire coincidenti. Al contrario della realtà italiana in cui i pionieri erano simbolo di un "mondo comunista", erano osteggiati dalle forze cattoliche ed erano considerati da alcune forze politiche ai limiti della legalità. La differenza numerica tra i pionieri italiani e quelli sovietici risulta evidente dai seguenti numeri: in Urss si contano 75.000 iscritti nel 1923, 4 milioni nel 1931, e addirittura 7 milioni nel 1936.
Negli atti dei convegni dell'associazione italiana si trovano forti e frequenti richiami alla pedagogia sovietica e alle letture consigliate ai dirigenti dell'organizzazione italiana per accrescere le proprie conoscenze e trarre spunto nell'organizzare i pionieri. Le visite ufficiali che periodicamente i dirigenti Api effettuavano in Unione Sovietica furono occasioni per confrontare il modello italiano con quello sovietico, sicuramente idealizzato e inseguito dai tanti giovani che lavoravano all'interno dell'Api. Lo stesso Pagliarini, però, che partecipò a quei soggiorni, ne ricorda la sostanziale differenza. I pionieri dell'Urss, istituiti dal Pcus, erano l'attuazione di un concreto e reale programma di educazione della popolazione, mirato non solo alla costruzione dell'individuo, ma soprattutto al suo indottrinamento ideologico. L'organizzazione dei pionieri sovietici era di stampo statuale, pensata dagli adulti per impartire un'educazione nazionale omogenea per la formazione nazionale e socialista delle giovani generazioni. Se in Urss la gioventù era organizzata su principi e logiche totalitarie, in Italia i pionieri sono nati dopo la caduta di un regime dittatoriale e appartengono alla realtà di un'Italia democratica. La visione che ne hanno i cattolici è ben lontana dalle idee di Pagliarini:
"Tra il bagaglio che i comunisti delle diverse nazioni hanno ricevuto dalla Russia ci sta anche l'organizzazione dei pionieri, cambia solo la qualifica della nazione, per il resto anche le virgole sono lasciate al loro posto. Vuol dire che in Italia si chiameranno pionieri d'Italia, in Ungheria pionieri magiari, in Germania pionieri tedeschi. Ed eccovi una grande organizzazione internazionale! Sotto i diversi paralleli la stessa bandiera, lo stesso schieramento, la stessa organizzazione. Domani a un cenno può diventare corpo unico. Tutt'altro che umoristica la realtà."
Compito del pioniere italiano è quello di divenire un buon cittadino della democrazia. La formazione di una nuova generazione, non di piccoli militanti politici, quanto piuttosto di ragazzi coscienti e partecipi delle realtà in cui vivono è l'obiettivo. Un buon cittadino della Repubblica che conosca il valore dei concetti di democrazia e di libertà, a questo fine l'Api agisce: "(…) concorrendo così ad inserire la figura del ragazzo moderno in ogni manifestazione della vita sociale, politica e culturale del nostro paese."
Scopo degli educatori Api è dunque educare, coinvolgendo i ragazzi in un tipo di attività collettive per abituarli alla convivenza, al confronto con gli altri attraverso il gioco, la gioia dello stare insieme, mantenendo sempre una linea sostanzialmente laica. I valori cui i pionieri sono educati sono quelli della fratellanza, dell'amicizia, della solidarietà, ma non solo.
Riportiamo il testo della promessa del pioniere del 1955:

Prometto
Di essere leale e rispettare la parola data
Di studiare con amore
Di aiutare la mia famiglia
Di amare il lavoro e i lavoratori
Di cercare di diffondere la verità
Di amare la mia Patria, la pace, i popoli di tutta la terra
Di amare la natura, rispettare gli animali e le piante
Di aiutare i bambini, i vecchi, i sofferenti
Di superare con coraggio ogni difficoltà
Di portare ovunque serenità e gioia


Percezione dell'Api nella società

Gli organizzatori si rendono conto ben presto che è necessario entrare in contatto con le famiglie. Proprio perchè l'Api ha un ruolo intermediario tra ragazzo-famiglia-scuola-società. Bisogna ottenerne l'approvazione e la stima, bisogna lavorare verso i genitori che non sono abituati all'idea di affidare i bambini a organizzazioni laiche. L'organizzazione si estenderà se la famiglia accetterà i principi dell'Api. Dina Rinaldi, altra figura di spicco tra gli organizzatori dell'associazione e ideatrice con Gianni Rodari della rivista "Il Pioniere" si pronunciò così durante il IV Consiglio nazionale: "Diremo però che la mancanza di una tradizione democratica di vita collettiva e l'assenza nel nostro paese di serie e laiche istituzioni ricreative e post-scolastiche per ragazzi, fanno sì che la famiglia italiana mantenga un atteggiamento di riserbo e a volte di diffidenza verso quelle forme di vita associativa che non si identificavano con la scuola o con l'oratorio."
Alcuni anni dopo, nella fase di maggior espansione dell'organizzazione, la stessa Rinaldi scrive "Constatiamo che da parte di famiglie che sono in modo più o meno legate alle organizzazioni democratiche, vi è indifferenza se non resistenza a mandare i propri figli nell'Api, nei Falchi Rossi, o in istituzioni popolari." Le motivazioni che frenano i genitori nel mandare i bambini con i pionieri sono facilmente intuibili. Prima di tutto un senso comune generalizzato riteneva che l'educazione fosse un compito proprio della Chiesa cattolica o delle singole famiglie. In secondo luogo va ricordato che gli anni del fascismo non erano lontani nella memoria degli italiani. Già il regime di Mussolini si era preoccupato di tesserare i bambini e di impegnarli nel tempo libero; diventava difficile per chi aveva vissuto quei decenni pensare ad una nuova organizzazione che, seppur fondata su principi di libertà, di pace, di democrazia, intendeva ancora una volta occuparsi dei ragazzi, radunarli, avviarli verso altri ideali per la costruzione della patria con una nuova divisa indosso. Non per tutti dunque l'Api, nonostante i valori insegnati ai pionieri fossero gli stessi che animavano lo spirito di tutte le associazioni di sinistra, rappresentava la concretizzazione di un modello di vita vicino ai propri ideali e alle proprie speranze.
Tra i valori e gli ideali dei pionieri vi è quello della fratellanza: valore che supera l'appartenenza a qualsiasi associazione. Infatti che i bambini siano tesserati Api o no, non devono esistere barriere soprattutto di tipo ideologico: "Chi tenta di dividere i ragazzi tra di loro, di farne dei precoci nemici, compie opera contraria alle necessità di un'educazione democratica". Il riferimento è indubbiamente ai precedenti fascisti, ma anche ai cattolici. Mentre l'educatore laico e democratico educa alla fratellanza, contro la discriminazione di ceto o di regionalità, con l'obiettivo di una fraternità nazionale all'insegna di una coscienza nazionale unica, l'atteggiamento degli educatori cattolici delle parrocchie o di molti insegnanti della scuola pubblica osteggia i piccoli pionieri.
Considerando la posizione dell'Api sulla questione dell'educazione religiosa, bisogna ricordare che né nello statuto ufficiale, né nella promessa del pioniere, né nelle pagine del settimanale per ragazzi "Il Pioniere" è riportato un qualsiasi accenno alla religione. I bambini, di qualunque classe sociale, ricevevano un'educazione di matrice cattolica attraverso la scuola e gli oratori. Con l'Api si ripresenta la possibilità di un'educazione non religiosa. La consapevolezza di una religiosità radicata nella tradizione italiana induceva, qualunque fosse la provenienza dei bambini, a rispettare le scelte delle singole famiglie. I pionieri non ricevono da parte dei propri educatori divieti di avvicinarsi ai sacramenti o l'invito a non professare la fede cattolica. Nonostante si rivendichi il diritto di educare i ragazzi ad una visione di vita fondata non sulla fede cristiana, quanto piuttosto sulla fede nel progresso e nella scienza. Affermiamo allora che l'Api, pur essendo nei suoi principi e ideali un'associazione laica aconfessionale, ha sempre ritenuto di affidare il problema dell'educazione religiosa alla coscienza e alla volontà delle famiglie, senza per questo nascondere la propria posizione laica e condannare la campagna calunniosa avviata dalle forze clericali, e senza negare la possibilità di un eventuale dialogo per trovare una forma educativa in cui far convergere le posizioni degli educatori laici e di quelli cattolici. Il timore di perdere l'assoluta influenza su ragazzi e genitori condusse ad una dura campagna di diffamazione condotta dai cattolici e dalle strutture politiche della Democrazia Cristiana. Si trattava non solo di un problema religioso, quanto più di una questione di natura politica. L'additare all'operato dell'Api l'intento di scristianizzare l'infanzia italiana, creò un ulteriore spaccatura tra il mondo comunista e quello cattolico, che si attenuò solo dopo il 1955, quando cessò il violento bipolarismo implicito alla guerra fredda. Basti citare ad esempio le lettere pastorali datate 4 e 30 Maggio 1950, a cura dei vescovi della regione ecclesiastica flaminia ed emiliana: condanne rigidissime in risposta alla sempre maggiore attività dei pionieri nelle province emiliane e romagnole. Si denuncia l'associazione dei pionieri come il tentativo di pervertire i piccoli, sradicandone dall'anima ogni fede in Dio e svegliarne funesti istinti di sensualità. Ricordiamo anche il Monito del Santo Uffizio del 28 Luglio 1950, che scomunicava anche i collaboratori di associazioni come l'Api. Alle posizioni ecclesiastiche ufficiali seguì la pubblicazione di un libello di Don Lorenzo Bedeschi interamente dedicato all'Api, allora giornalista de "L'Avvenire d'Italia", con l'obiettivo di svelare quella che definisce l'azione nefanda dell'Api. L'opuscolo Dissacrano l'infanzia! I Pionieri d'Italia, pubblicato a Bologna, è il testo più eclatante d'accusa all'Api. Ebbe almeno tre edizioni e fu diffuso in quindicimila copie. Circa dieci anni fa ho intervistato Bedeschi: l'autore ha ricordato l'episodio come un'inchiesta di tipo giornalistico, commissionatagli come tante altre. Secondo Bedeschi quell'episodio va citato solo nel contesto della guerra fredda degli anni cinquanta. D'altronde, per la Chiesa il nemico era il comunismo, un'ideologia destabilizzatrice di equilibri tradizionali. L'Api, nonostante le sue rivendicazioni di fenomeno spontaneo e politicamente autonomo, apparteneva a quella fitta rete di associazioni riconducibili alla politica del Pci. I comunisti erano affascinati dal mito sovietico, i cattolici erano terrorizzati dai "rossi".
Forse per Bedeschi anche il grave e noto episodio di Pozzonovo è da ricondurre a quel clima di odio degli anni cinquanta. Pozzonovo, paese della bassa padovana, per molti decenni noto per i moti popolari bracciantili dei suoi abitanti, fu il luogo da cui si originò un vero processo, i cui imputati, militanti e attivisti del Pci, furono chiamati a rispondere dei seguenti capi d'imputazione: associazione a delinquere, atti osceni continuati, spettacoli osceni, atti di libidine violenti continuati, violenza carnale continuata, sequestro di persona continuato aggravato, violenza privata continuata aggravata. Siamo nel cattolicissimo Veneto e le "vittime" sarebbero bambini, quasi tutti figli o nipoti di militanti comunisti. Il processo ebbe un alto valore politico, rappresentò uno dei più estremi tentativi delegittimazione da parte cattolica di tutti i valori e i principi dei partiti di sinistra. Testimoniarono a favore dell'Api alti esponenti della cultura di sinistra, Ada Gobetti e Concetto Marchesi. In un clima di fortissima tensione fu emessa la sentenza assolutoria con formula piena, ma non si prese alcun provvedimento verso quel clero che aveva calunniato fino a quel punto l'Api e i suoi dirigenti, trascinando bambini a testimoniare il falso in tribunale. Per l'Api, il successo fu quello di essere riconosciuta un'organizzazione associativa con scopi e fini rispettosi della legalità e della Costituzione. Il processo di Pozzonovo è la testimonianza concreta dei livelli drammatici di scontro tra Api e mondo cattolico.

Le attività pratiche

Le prime attività promosse dall'Api sono quelle che contribuiscono allo sviluppo fisico del ragazzo: lo sport di gruppo, dal calcio alla pallavolo, i giochi sportivi, come la staffetta, i saggi ginnici organizzati periodicamente. L'educazione fisica, e in particolare il saggio ginnico, è per i pionieri un importante momento ludico di gruppo, utilizzato anche per rappresentare alti ideali o a commemorare avvenimenti storici (ad esempio il periodo risorgimentale o la lotta di liberazione). L'Api riprende l'idea del saggio ginnico, che aveva già caratterizzato l'Opera Nazionale Balilla, investendola di nuovi significati simbolici, come manifestazione di pace e libertà. In collaborazione con l'Unione italiana sport popolare (Uisp) si organizzarono le "olimpiadi" dei Piccoli Azzurri, una serie di giochi a cui parteciparono in più occasioni i ragazzi, non solo i pionieri. Oltre lo sport, basilare per la salute, si prevedono tra le attività di gruppo dei pionieri le escursioni in città per visitare monumenti, in campagna per approfondire le conoscenze sul mondo contadino, o nelle fabbriche, per mostrare i luoghi di lavoro dei padri. Le gite culturali, ricreative, esplorative, e nel periodo estivo i grandi campeggi che si diffusero in alternativa alle colonie, occupavano il tempo libero dei pionieri. Sempre con uno stesso obiettivo: dare contenuti a tutte le attività fisiche. L'attenzione rivolta sia al corpo che all'intelletto faceva sì che si organizzassero molte attività di tipo artistico culturale. I canti in coro, ad esempio, cui si riconosce la capacità di educare alla disciplina, alla fierezza, di far vincere la timidezza. I pionieri intoneranno canti a sfondo patriottico (Inno di Mameli, Inno di Garibaldi, canti partigiani), i canti dell'associazione (Inno del pioniere, Canzone del pioniere) e canti popolari o regionali. I pionieri si raccoglieranno attorno ai falò (in occasione di date da celebrare, o per alcune ricorrenze storiche, per ascoltare il "racconto intorno al fuoco". Narratori spesso i partigiani, in grado di affascinare i più giovani con il racconto delle loro avventure nel periodo bellico. Anche l'attività filodrammatica (recite, rappresentazioni, teatrini) esercitava il suo fascino. In Italia, dove le attività teatrali per ragazzi non erano diffuse, l'Api attingeva alla grande tradizione del teatro di massa sovietico. "Fare teatro" significa per i ragazzi entrare in un mondo fantastico, e a questo scopo gli operatori Api si impegnarono nella selezione di materiale straniero, nella creazione di testi nuovi, nella messa in scena di "riviste" interpretate dagli stessi pionieri. Marionette, burattini, mimi, recite (le brevi commedie rappresentate dai pionieri) e rappresentazioni di quadri viventi (scene avventurose tratte dal giornale "Il Pioniere" sono le attività teatrali in cui si impegnano i pionieri.
L'Api dal 1951 al 1956 pubblica per i suoi dirigenti e capireparto la rivista "La Repubblica dei Ragazzi", e in seguito "Esperienze educative", rivista mensile per i dirigenti, dal 1957 al 1960. Consultando il materiale per gli educatori e le indicazioni del giornalino "Il Pioniere", si nota immediatamente la continua sollecitazione data ai reparti e ai dirigenti per la creazione di piccole biblioteche nelle sedi dei pionieri. Un'iniziativa sicuramente mirata a stimolare ed educare alla lettura individuale e a consentire la lettura collettiva di racconti e romanzi (soprattutto libri di viaggio o narrazioni di grandi imprese). Una buona raccolta di libri e della rivista "Il Pioniere" si trasforma in un'occasione per responsabilizzare il bambino alla distribuzione e al prestito di tale stampa.
Le fatiche del giovane pioniere non sono ancora concluse. Oltre alle mille attività che lo impegnano nel gioco e nello studio, ve ne sono alcune che hanno un preciso scopo: si tratta del "grande gioco della conquista" e della "raccolta di finanziamenti". Nel primo caso l'obiettivo è il reclutamento di altri ragazzi, per cui i gruppi dei pionieri gareggiano per la conquista dei cortili, vero spazio di gioco e di aggregazione dei bambini. Un cortile è conquistato quando in esso vi sono uno o più pionieri. Nel secondo caso per denominare tutte le attività che hanno un fine di raccolta finanziaria si usa il termine di "caccia al tesoro". Questa caccia, aperta tutto l'anno, ha l'obiettivo di raccogliere con le proprie forze un po' dei mezzi di cui l'organizzazione ha bisogno per rimanere attiva. Si portano salvadanai nelle botteghe i cui proprietari acconsentono, sicuramente quelle delle cooperative, si procura denaro dalla vendita di prodotti degli orti e dagli allevamenti curati dai pionieri di campagna, si organizzano pesche e lotterie, e insomma ogni idea è buona per riuscire a raccogliere un po' di finanziamenti.
Inoltre, attività specifiche di studio, come le inchieste organizzate dai pionieri. Con l'inchiesta si sviluppa il metodo della ricerca. L'inchiesta nasce dalla curiosità dei ragazzi che si rivolgono di loro iniziativa all'educatore o dall'idea dell'educatore stesso che vuole spiegare una realtà particolare. Un'inchiesta tipo è quella che riguarda lo sciopero dei lavoratori in una fabbrica o in una fornace. I ragazzi, appartenendo a famiglie di estrazione contadina ed operaia, sentono parlare dello sciopero in ambiente famigliare. È necessario che a sciopero e dimostrazioni concluse, i pionieri, guidati dai dirigenti Api, si rechino a visitare il luogo in cui si è svolto lo sciopero. Con la guida degli operai e dei tecnici potranno scoprire il funzionamento della fabbrica e comprendere le motivazioni della lotta dei lavoratori. A volte fanno un'inchiesta sulla natura, sulla città, sulla storia di un Comune, sugli eroi di un particolare periodo storico. Nel caso di uno sciopero, l'inchiesta ha un immediato richiamo politico. È spesso accaduto che i ragazzi, soprattutto più grandi, una volta compreso il significato dello sciopero, si siano organizzati per essere solidali ai lavoratori creando qualche volta imbarazzo tra gli stessi genitori e disappunto tra gli avversari politici, risoluti a tenere i ragazzi, bambini o adolescenti che siano, lontani dalle lotte politiche e sociali. Gianni Rodari consigliava "I ragazzi possono partecipare alla raccolta di fondi o di viveri per gli scioperanti, per i licenziati, per tutte le categorie di lavoratori in lotta. L'importante è che il ragazzo si renda utile senza danneggiare se stesso. È consigliabile far agire solo i ragazzi più grandi."
Si è detto della distinzione di alcune attività tra bambini e bambine. Fanno parte delle attività dei pionieri una serie di lavori manuali utili: per esempio per l'arricchimento della sede, per l'allestimento delle mostre e per la creazione di semplici oggetti e giocattoli. L'organizzazione propone ai pionieri maschi di dedicarsi magari al traforo, agli intarsi, agli intagli con il legno e il sughero e a lavoretti meccanici. Alle bambine di occuparsi di cucire bandiere, di farne le decorazioni, di cucire gli stemmi e di rammendare. Oltre che dalle esigenze dei diversi gruppi, si dice: "questo dipende dalla particolare struttura della nostra società, ma dipende anche dalle diverse aspirazioni dei maschi e delle bambine: le bambine, per esempio, ad un certo punto desidereranno attrezzare un laboratorio di cucito, mentre i maschi preferiranno impiantare un laboratorio di falegnameria…la divisione dei reparti non comporta una differenza dei principi educativi e dei programmi dell'Api, ma solo un particolare adattamento."

La conclusione di un'esperienza collettiva
Dopo più di un decennio di attività si maturò la decisione di sciogliere l'associazione. Va assunto come punto di divisione temporale nell'attività dell'associazione il biennio 1955-1956, poiché è a partire da questa data che si registrano cambiamenti organizzativi e di contenuto rilevanti che meritano di essere considerati. Lo sviluppo dell'Api fino alla metà degli anni cinquanta è essenzialmente fondato su un'unica linea di lavoro, che prevede l'attività dei reparti, dei gruppi, dei comandi. Ogni iniziativa, ogni manifestazione sono occasione di mobilitazione per i nuclei organizzativi. Con il 1956, anno del VII Consiglio, si ha un mutamento di indirizzo. Non si ha intenzione di soffermarsi nuovamente sulle strutture interne dell'Api, se non per dimostrare il suo avviarsi verso una fase di mutamento dovuta alle trasformazioni del mondo e della società che implicano una revisione stessa dei metodi educativi, dei rapporti adulti-ragazzi. Soprattutto dopo anni di attività costantemente rivolta ad educare e ricreare i ragazzi, dopo anni di ricerche e sperimentazioni, si giunge ad una fase in cui è necessario puntualizzare un programma di lavoro, sottolineando particolari tematiche e impegni da assumere. L'obiettivo dell'associazione era stato nei primi anni di lavoro quello di un reclutamento di massa, riuscire in altre parole a radunare il maggior numero di ragazzi possibile, togliendoli dalla strada, da condizioni famigliari difficili, da una scuola incompleta: era lo svolgimento di un'attività che presentava in alcuni casi aspetti assistenziali. A metà degli anni cinquanta si può cominciare a guardare con occhio critico al periodo trascorso; lo sviluppo dell'Api non è stato infatti quello sperato:, si avverte soprattutto un problema di crescita disomogenea sul territorio nazionale, un'impossibilità nel portare i contenuti Api e la sua organizzazione in tutte le regioni, le provincie, i comuni d'Italia, che significa appunto non essere riusciti a creare una vera organizzazione di massa. Quale soluzione per uscire da tale situazione di stasi? L'esperienza, i dibattiti, tutto quanto realizzato dall'Associazione Pionieri hanno per il movimento democratico un alto valore sia per i contenuti ideali che per il progetto di educazione che l'Api rappresenta. Non si può rinunciare al lavoro svolto, non si può buttare niente. Il primo provvedimento che l'Api si assume è allora quello di cambiare ottica di lavoro o meglio l'obiettivo. Si passa da una concezione quantitativa ad una concezione qualitativa, senza voler svuotare il lavoro degli anni precedenti di valore, impegno, significato, quanto piuttosto spostando la logica molto ambiziosa di un amplissimo proselitismo, che per anni è se non un obiettivo un problema per la crescita dell'Api, verso una logica di qualificazione delle attività.
Nei primi anni di lavoro i dirigenti erano in grado di organizzare manifestazioni di massa come i raduni patriottici, le giornate per la pace, i campeggi, gli incontri con i lavoratori e con i partigiani, esperienze che influivano probabilmente sulla sensibilità del ragazzo, ma che, a detta degli educatori, non riuscivano a formare la loro coscienza, perché in famiglia e a scuola spesso le cose andavano diversamente da come si svolgeva la vita nell'associazione. Non sempre i valori e i principi insegnati tra i pionieri trovavano un favorevole riscontro nella vita di tutti i giorni. Perciò, il nuovo obiettivo dell'associazione diventa la realizzazione di esperienze "qualificate", più utili per la formazione concreta dei ragazzi. I valori e i temi di fondo rimangono gli stessi: prima di tutto educare i futuri cittadini della Repubblica Italiana, l'attività sarà però rivolta sia alla conquista di più ragazzi che alla conquista di attività qualificate. Rimane sempre il problema di essere in grado di dare una solida educazione civica e costituzionale ai ragazzi, che divenga costume civile nel giovane e poi nell'adulto. Poiché dalle esperienze del periodo a metà degli anni cinquanta emerge che con i ragazzi non si può più lavorare come si era fatto fino allora, ciò che viene discusso sono le forme organizzative interne che l'Api aveva adottato e utilizzato. Le pattuglie, i reparti sembrano venir meno alla loro funzione di raggruppare i ragazzi e farli lavorare insieme; sembra che nel momento in cui l'attività finisce e l'impegno assunto è portato a temine, il gruppo si sciolga, non riesca più ad essere un momento di amicizia e conoscenza, di associazione: il gruppo pattuglia o reparto vive solo finché funziona come circolo di attività. È da questa considerazione che scaturisce l'idea di qualificare l'attività pratica, di renderla più tecnica, di fare dell'attività l'impegno maggiore, perché è l'unico modo per tenere insieme i ragazzi. I reparti e le altre strutture interne diverranno quindi centri di lavoro pratico e culturale, nel rispetto delle esigenze, degli interessi dei ragazzi. Questo discorso è legato ad un progetto più ampio. L'Api può qualificare il suo lavoro nel momento in cui le altre istituzioni di massa, siano esse i partiti o le altre associazioni democratiche degli adulti si dedicheranno a quelle attività ricreative, assistenziali che fino alla metà degli anni cinquanta sono sempre state all'ordine del giorno per i pionieri. Si riduce quindi il campo d'azione; dopo anni di lavoro si arriva ad una selezione dei settori in cui agire, per poter meglio operare e poter mantenere attivo lo sviluppo numerico dell'Api. Si profila una nuova linea di lavoro che ha come momenti chiave la necessità di dare maggior stabilità all'Api nei suoi programmi e ai suoi dirigenti, e l'esigenza di una svolta qualitativa che prevede anche un miglior lavoro di preparazione dei quadri. Si è fatto cenno precedentemente ai seminari di tre giorni o dei corsi dell'associazione per i suoi dirigenti. Dalla fine degli anni cinquanta l'Api ha trovato un momento di contatto costruttivo con i Cemea, i centri di esercitazioni ai metodi dell'educazione attiva. Sono organismi che operano per un aggiornamento pedagogico, tecnico, metodologico degli educatori. I dirigenti Api partecipano sempre più frequentemente agli stages organizzati dai Cemea per confrontare positivamente tecniche ed esperienze di lavoro. Possono così affiancare ulteriori strumenti di lavoro ad alcune novità che l'associazione aveva già avviato; ad esempio la pubblicazione di "Esperienze Educative", una rivista che diverrà momento di dibattito, di incontro e di aggiornamento poiché ricca di articoli, di dispense, di indicazioni bibliografiche di brani tratti da testi pedagogici.
Non sempre è sufficiente infatti la buona volontà degli operatori, quella spinta di cambiamento che animava i primi educatori dei pionieri. Non solo perché l'entusiasmo per una società nuova e di stampo socialista si è andato affievolendo, ma perché il mondo è cambiato. Diventa fondamentale riflettere su quanto l'evoluzione scientifica, economica, quanto il progresso incida sull'evoluzione dell'Api e sulle nuove difficoltà che incontra. Non si tratta più infatti dei primi anni di lavoro e di entusiasmo per la crescita della Repubblica italiana, imperniata sui valori di una Costituzione democratica; si vive piuttosto in una fase di disillusione, dovuta alla reale situazione politica, un paese governato dalla Dc, alle problematiche economiche ancora vive, e a una società che subisce sempre più il fascino per modelli culturali americani di progresso, di boom economico, di comodità, di beni superflui. È soprattutto una nuova visione della vita importata dagli Usa che si scontra con un programma educativo come quello dell'Api. In che termini? Il messaggio americano di prosperità accessibile e di benessere hanno una chiara influenza sulla società italiana, determinano il suo avvio a una fase di maggior industrializzazione e di consumismo. La sinistra aveva per tutti gli anni cinquanta avuto un atteggiamento antitetico verso i modelli culturali giunti dall'America: sul piano ideologico lo scontro era accesissimo, i contatti degli Stati Uniti con la Democrazia Cristiana, il rigido anticomunismo degli Usa, l'influenza americana sull'economia italiana con gli aiuti del piano Marshall avevano portato a rifiutare qualsiasi simbolo, oggetto, prodotto appartenente a quella cultura. Inevitabilmente però gli anni cinquanta, ma soprattutto sessanta, rappresentano il boom economico: in Italia arrivano la televisione e la moda dello scooter. Del resto anche il progresso tecnico-scientifico ha fatto la sua strada, nuovi mezzi di comunicazione e maggior industrializzazione sono realtà ben diverse da quelle vissute alla fine della seconda guerra mondiale. La vita non è più la stessa, anche per i ragazzi. Le loro esigenze infatti sono nuove e diverse: i giochi di una volta non bastano più ad entusiasmarli e si ricollega a questa problematica la necessità di qualificare l'attività dell'Api. Gli alti ideali a cui l'opera dei pionieri si ispira rimangono validi e attuali, una solida coscienza civica per un cittadino consapevole ed impegnato, ma bisogna fare i conti con le novità. Ci sono ancora i ragazzi lavoratori (braccianti, artigiani, apprendisti), sintomo di una società e di un paese ancora arretrati, ma ci sono anche i sintomi della modernizzazione, dell'industrializzazione di una parte del paese.
La crescita economica ha come presupposto il lavoro umano, uno dei principi su cui l'Api improntava molti dei suoi programmi. Come nei primi anni di attività, così al IX consiglio, tenuto nel 1958, la valorizzazione del lavoro dell'uomo rimane alla base dell'educazione dei pionieri. Per gli anni seguenti lavoro e futuro cittadino sono ancora due occasioni di impegno.
Quale può essere in questi nuovi anni la caratteristica principale dell'Api che la differenzi dalle altre associazioni? Nell'Api si legano ancora i grandi contenuti ideali dell'educazione socialista e soprattutto democratica con esperimenti e tecniche pedagogiche, l'Api è l'incontro tra i valori e la pratica, uniti insieme per l'educazione del ragazzo. Vi è una costante e reale attenzione al mondo circostante, che deriva proprio dai valori e dai principi della morale Api, volta ad insegnare il senso di responsabilità civile e sociale in quelli che saranno gli adulti del domani. Educazione patriottica, amicizia, solidarietà, interesse per il lavoro e i lavoratori, contribuiscono a crescere il futuro cittadino della Repubblica e si fissano per tutta l'esperienza dell'Api come i tratti dominanti, senza riuscire a mutare, a tenere il passo con la società.
Considerare la realtà circostante implica per i dirigenti una consapevolezza delle difficili condizioni politiche del paese e ancora una volta della scuola italiana. La Chiesa di Pio XII e l'attivismo dell'Azione Cattolica hanno fomentato il più duro accanimento verso le forze della sinistra; nonostante la laicità proclamata dalla Costituzione, hanno agito per penetrare nella società italiana, nei problemi organizzativi, educativi, politici di uno Stato laico.
Dopo anni di lotta del movimento democratico per ottenere una scuola migliore, un'istruzione estesa ed obbligatoria, dopo anni di rivendicazioni, di impegno per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo problema, alla fine degli anni cinquanta la Dc comincia a preoccuparsi del settore educativo, presentando il piano Fanfani. L'interpretazione che la sinistra ne dà, compresi i dirigenti Api, è di un progetto che non raccoglie la spinta innovativa del movimento popolare, bensì quella di una classe dirigente che non vuole troppi cambiamenti. Il piano Fanfani non prevede infatti l'istituzione della scuola dell'obbligo uguale per tutti fino ai quattordici anni, ma una scuola che dopo i dieci anni discrimini gli studenti e permetta di proseguire gli studi solo con il sistema delle borse di studio per merito. Inoltre, la divisione di classe esistente nello stato italiano con la scuola media, gli avviamenti e le post-elementari verrà mantenuta e consolidata dal progetto Fanfani. La sinistra ritiene che l'istruzione obbligatoria riguardi tutti i giovani. Il problema non è solo di stampo educativo pedagogico, bensì politico; l'Api dunque si deve impegnare in questa battaglia politica culturale assieme a tutto il movimento operaio e democratico per ottenere un rinnovamento dei contenuti e dei sistemi scolastici. La riforma della scuola è l'obiettivo e la strada da percorrere. I rapporti tra politica ed educazione sono sempre all'ordine del giorno nei progetti dell'associazione, così come la partecipazione dei ragazzi alle grandi battaglie per la pace e l'emancipazione.
Attraverso l'analisi dei programmi Api si giunge al 1958, l'anno in cui si compiono i dieci anni di vita dell'Associazione Pionieri. Più precisamente si celebrano i decennali ufficiali dell'Api, ma nelle varie province come Reggio Emilia o Bologna si erano già tenute le celebrazioni, poiché la frammentarietà con cui sorse il movimento dei pionieri italiani negli anni che vanno dal 1947 al 1951 rendeva impossibile una larga e unitaria celebrazione del decennale. Quella del '58 è comunque un'occasione di autoesame dell'opera educativa compiuta, un'occasione per fare un bilancio di lavoro. Il successo maggiore è sicuramente quello di aver impedito un completo monopolio clericale nel settore educativo e di aver saputo raccogliere quell'entusiasmo seguito alla guerra di liberazione, di aver saputo legare i gruppi spontaneamente formatisi, dando loro una direzione, un orientamento, collegandoli al mondo degli adulti. Sono stati dieci anni di lotta politica per contrastare l'offensiva clericale e imporre un nuovo tipo di educazione, nel rispetto della personalità del bambino e dei valori costituzionali. Maggiore importanza viene assumendo l'esperienza Api se si considera che "l‘organizzazione è del tutto libera e volontaria, priva di mezzi, spesso di sedi proprie e di attrezzature capaci di interessare e attrarre i ragazzi." Per tutto il periodo di esistenza dell'associazione pionieri, gli ideali e gli strumenti di lavoro sono rimasti sempre molto simili.
Alla fine degli anni cinquanta l'esperienza Api va ad esaurirsi. Non si tratta propriamente di un'estinzione, perché dal punto di vista numerico l'organizzazione era ancora consistente; è il significato di un'attività come quella dei pionieri a perdere di importanza. Non è semplice spiegare perché. Non è sufficiente dire che le altre organizzazioni come l'Udi si assunsero progressivamente compiti, come quelli assistenziali, che erano dell'Api, svuotando quest‘ultima di importanza. Vi sono motivazioni più profonde che hanno portato allo scioglimento dei pionieri. Cerchiamo di vederle. In un incontro tenutosi a Bologna nel mese di giugno del 1959 si stabilì, per decisone della direzione del Pci, di rinunciare ad una direzione nazionale dell'Associazione Pionieri d'Italia. Questa decisione comportò lo scioglimento degli organismi nazionali. Non tutti, fra cui il segretario Pagliarini, furono d'accordo sulla decisione: anni di lavoro e di impegno in campo politico ed educativo non potevano essere cancellati così. Non era pensabile infatti l'ipotesi di annullare totalmente i risultati raggiunti, soprattutto perché rappresentavano un momento di crescita e di rinnovamento nel panorama educativo italiano. Di conseguenza non si poteva rinunciare così facilmente al significato dell'associazione e alla sua esistenza. Quale l'obiettivo di una simile decisione? Si vuole contribuire allo sviluppo di una maggiore varietà di forme di lavoro e di organizzazione, alla creazione di un movimento di ragazzi più largo ed esteso. Il contenuto di un lavoro più che decennale non andrà distrutto e disperso, sarà la forma ad essere differente. Si annulla così l'aspetto nazionale dell'associazione, che ha avuto uno sviluppo effettivamente limitato a varie provincie, per sciogliere quell'unica formula organizzativa che conduceva ad un carattere di anomalia e di schematismo. L'Api non è stata in grado di crescere come tutte le altre organizzazioni di sinistra - la Fgci, l'Udi, le cooperative e i sindacati - e non ha saputo probabilmente rispondere adeguatamente a tutte le esigenze dei ragazzi. Non si rinuncia allora alle concezioni educative sperimentate, ma si prospetta invece un diverso progetto di lavoro, mirante a coinvolgere i ragazzi non solo su un piano ideale, ma soprattutto pratico. Nello stesso tempo sciogliere la direzione nazionale non implica porre in discussione tutte quelle organizzazioni locali, provinciali dei pionieri che funzionano e hanno una solida base. Questi nuclei operativi resteranno e si svilupperanno in consonanza ai nuovi progetti educativi, continuando ad assolvere la loro funzione di raggruppamento e di educazione dei ragazzi.
Sembra che tra le tante motivazioni, tra cui ricordiamo la mancanza di mezzi e i limitati risultati numerici, vi siamo due fatti da considerare per lo scioglimento dei pionieri: il progetto per una riforma della scuola, che si sarebbe concretizzata nel 1962, e l'ipotesi di un governo di centro-sinistra che cominciava a prospettarsi. Il maturare del problema della riforma scolastica anche negli ambienti della Dc, la battaglia in corso in quegli anni per la creazione di scuole materne statali e per l'adeguamento dei vari istituti scolastici ed extrascolastici alle esigenze moderne e alle norme costituzionali da parte della sinistra, spostarono l'attenzione generale per i problemi educativi sulla scuola pubblica. Siamo al passaggio dall'ideologia dell'anti-scuola (l'Api si era sempre battuta per cambiare quest'istituzione e per integrare, supplire, contrastare la sua impostazione, le sue carenze e insufficienze) a quella della riforma della scuola, che distinguerà la sinistra negli anni sessanta. Una scuola pluralista e laica, la cui centralità venne evidenziata maggiormente dalle due aree ideologicamente contendenti, che la considerarono il luogo migliore per dare la formazione di base al cittadino.
Mentre il Pci si rivolse ad un campo più ampio che non la singola azione dell'Api, la Democrazia Cristiana, in particolare la corrente morotea, avendo intrapreso il progetto per un governo di centro-sinistra, si trovava a dover mutare la sua stessa politica nel settore della scuola e dell'educazione. Maggior valore bisognava attribuire alle questioni poste dalla sinistra, che già dal '55 aveva dato per esempio vita ad una rivista specifica "Riforma della scuola" e si avviarono quindi le discussioni per la riforma, per la lotta all'analfabetismo, per un impegno finanziario nell'edilizia scolastica che verrà concretizzato con il piano decennale '59-'69. Da parte comunista è possibile forse una pari sensibilità all'ipotesi del centro-sinistra e quindi una maggior accondiscendenza ad eliminare quelle attività, come l'Api, ancora segnate da un violento scontro con il mondo cattolico e prerogativa di un progetto comunista. Del resto, per la sinistra, la possibilità di realizzare nel campo dell'istruzione e dell'educazione una riforma della scuola capace di proporre un insegnamento unico e uguale per tutti dai sei ai quattordici anni, delle strutture para-inter-post scolastiche, fondando tutto ciò su un'idea nuova, laica, basata sui principi di giustizia, di tolleranza ideologica, di democrazia, ispirata alla Costituzione Repubblicana, non poteva essere che la concretizzazione di alcuni propri obiettivi; ogni elemento di attrito con i cattolici doveva essere eliminato. Del resto l'Api era stata sempre caratterizzata da motivazioni politiche e ideologiche, aveva fatto parte di uno dei due blocchi in cui l'Italia degli anni cinquanta era divisa; e nel 1960 si considerò concluso sia quel periodo che quell'esperienza. La situazione politica che si avviava lentamente all'esperienza governativa del centro-sinistra, e la fine del periodo della guerra fredda, ponevano anche al Pci il problema della modernizzazione e di una nuova visione del rapporto adulti-ragazzi. L'abbandono dell'esperienza Api, caratterizzatasi sempre come attività di tipo extra-scolastico, si può forse leggere come un risultato raggiunto a livello istituzionale.
Secondo Carlo Pagliarini, da allora, giusto o no che fosse, quell'atto segnò l'inizio di una stagione che ancora non si è conclusa e che caratterizza la sinistra e il mondo laico italiani per un loro sostanziale disimpegno rispetto a forme di organizzazione e autoeducazione dei ragazzi. Dal nostro punto di vista, il progetto Api fu abbandonato perché considerato settario e di parte, perché nei progetti della sinistra la scuola avrebbe supplito anche alla funzione dell'Api. Sicuramente l'abbandono di un progetto di associazionismo per ragazzi come quello dei pionieri ha segnato la perdita di una comunicazione diretta con i ragazzi da parte della sinistra. Questo processo di cambiamento nei rapporti tra adulti e giovani testimonia l'evoluzione dei rapporti generazionali tra un decennio e l'altro, il passaggio dei tempi e i cambiamenti di costumi come nel caso della militanza. Si attenuano l'attivismo che aveva distinto gli anni cinquanta, la partecipazione politica, e la stessa frequentazione di luoghi come le Case del Popolo, sedi di una socialità ricreativa e politica, ma grandi centri di aggregazione. Secondo Giorgio Triani, il ruolo delle Case del Popolo muta con l'arrivo degli anni sessanta: "Non più cuore e rappresentazione anche fisica del potere popolare, non più centro di elaborazione politica, non più risposta totale ai bisogni dei lavoratori, esse si trovano ad essere ridotte al rango di semplici luoghi d'incontro frequentati da una popolazione la cui età media si è notevolmente alzata e al cui interno i giovani calano vistosamente. Le cause della frattura generazionale, che impediscono il ricambio di idee e uomini, sono molteplici, ma soprattutto riconducibili alla fine – avvenuta ufficialmente nel 1960 – del movimento giovanile organizzato nell'Api, che era sorto nell'immediato dopoguerra e aveva trovato la sua sede naturale nelle Case del popolo".
Non tralasciamo dunque il fatto che l'Api avesse rappresentato un'esperienza di militanza per genitori, lavoratori, e operatori, che fosse stata anche luogo di vita politica. Per la sinistra italiana aveva avuto più significati: era stata un'occasione per affermare il diritto di difendere la vita dei giovanissimi, per aprire le loro coscienze agli ideali della giustizia, della fratellanza, del lavoro; era stata motivo di lotta e di lavoro per dare alle famiglie dei lavoratori quell'assistenza prevista dalle leggi costituzionali; era stata la contrapposizione alla secolare e monopolizzatrice azione delle forze cattoliche per una propria linea e forma educativa; era stata infine un momento di aiuto ai ragazzi nella comprensione delle lotte condotte dai genitori.
Con la conclusione dell'Api, occasione di lavoro politico, pratico e di contatto con i ragazzi, terminò l'unica iniziativa avviata dalla sinistra italiana nel settore infantile. Contemporaneamente continuò l'attività di studio e sperimentazione pedagogica con riviste come quella fondata nel 1960 da Ada Marchesini Gobetti "Il giornale dei genitori", strumento di battaglia educativa, propagatore di idee e temi ispirati a principi democratici. Iniziò un nuovo mercato editoriale e culturale, dovuto sia allo sviluppo dei mass-media che al mutamento della società, con la pubblicazione delle opere di Gianni Rodari presso l'editore Einaudi e uno sviluppo più ampio per tutti gli anni sessanta della letteratura di sinistra per l'infanzia.


Editoriale tracco dall'Almanacco, a cura di Marco Fincardi (3)


SPOILER (click to view)
Il problema non è identificare il fenomeno come un rigurgito di medioevo. Nelle parrocchie, diverse persone da un parte e dall'altra possono averlo vissuto in quei termini. Ma la dirigenza cattolica è quella che sta preparando una transizione della società italiana alla modernità industriale, che solo in parte e con enormi contraddizioni il fascismo ha percorso. E' quella classe dirigente che sta valutando quanto sia percorribile in Italia la strada dell'americanizzazione. Una prospettiva da cui i cattolici non sono particolarmente rassicurati. La società italiana di metà anni trenta li rassicurava molto di più; come molto di più poteva rassicurare buona parte delle gerarchie ecclesiastiche un assetto politico come quello corporativo, confessionale e illiberale dominante le società iberiche (Spagna e Portogallo). Ma dopo la guerra e il crollo del regime fascista rari sono quelli disposti a rivendicare coerentemente come proprio un simile modello di società. E' il ceto politico che si inserisce nelle comunicazioni di massa e colloquia in modo preferenziale con i ceti medi, che in breve tempo riesce ad egemonizzare culturalmente, e che attraverso il capillare e multifunzionale patronato della bonomiana riesce a stabilire un’ancora più salda egemonia sui contadini. Quanto serve il diavolo comunista che perverte i bambini? Il vecchio pretone e la suora ci possono credere; il fanatico clericale anche; ma a cosa mira questa campagna strumentale, per una dirigenza certo più disincantata, che crea e gonfia a tavolino il problema dell'associazionismo infantile di sinistra? C'è senza dubbio un voler gestire la transizione, e quindi la formazione di una o due generazioni in una situazione di monopolio delle coscienze, che per l'Italia non era certo una novità; si vuole integrare con l'associazionismo e la sociabilità cattolico-parrocchiale (associazioni + catechismo + oratorio) con l'uso monopolistico dei mass-media da parte dei governi centristi; si vogliono sperimentare modelli scolastici nuovi e ad orientamento più o meno velatamente confessionale, e per farlo -cosa essenziale - occorre crearsi un assoluto monopolio degli educatori, isolando quelli eterodossi, e screditando o affondando istituzioni educative antagoniste o solo concorrenti (colonie, tempo libero, associazioni, scuole per l'infanzia, non solo della sinistra, ma anche dei protestanti). A parte qualche sacca di resistenza regionale, nell'area di maggior radicamento delle culture rosse, l'operazione sostanzialmente riesce, fino a quando, negli anni sessanta, è l'emergere delle generazioni allevate in questo sistema educativo a sfuggire di mano e a dare una spinta decisiva a mettere in crisi tale sistema.

Il nostro interesse per le associazioni dei pionieri e falchi rossi è nato da studi intrapresi sulla provincia reggiana. A seguito di ricerche - sostenute dall'Istituto Marani, assieme all' Istituto Gramsci, Spi-Cgil e Coop Nordemilia - per valutare quanto l'immagine idealizzata della società socialista avesse condizionato culture politiche, identità collettive e comportamenti collettivi in questa provincia. Ci siamo accorti che un aspetto non irrilevante della proposizione di modelli identitari sovietici in Emilia era una pronunciata attenzione alla creazione di moderni servizi educativo-ricreativi destinati a bambini e ragazzi. Tra questi, l’avvio di una consistente rete associativa per i ragazzi.
La concentrazione di reparti e stormi di pionieri e falchi rossi in una determinata area geografica - per quanto ancora da valutare con dati quantitativi più completi - appare di rilevante interesse. Tantopiù che la loro presenza e originalità, nell’Italia della Ricostruzione, si rileva particolarmente nel Reggiano e nel Bolognese, dove contemporaneamente sono stati presenti i reparti italiani più numerosi ed efficienti dei Giovani Esploratori aderenti al CNGEI: la più elitaria associazione scoutistica laica, collegata al movimento internazionale promosso da Robert Baden-Powel, ricostituita in Italia nel 1945, col sostegno di ambienti azionisti e liberali, dopo un lungo incorporamento coatto nell’Opera Balilla. Leggendo documenti dell'epoca e ascoltando testimonianze, ci siamo presto resi conto che, in realtà, tra il modello sovietico idealizzato e i suoi adattamenti all'ambiente emiliano, le differenze erano notevoli. Ma un approfondimento della questione risultava molto difficile, per la completa assenza di un bibliografia organica di studi sull'argomento, non solo a livello locale.
Inoltre, in un primo tempo non è stato facile avere testimoni disposti a narrare le vicende di associazioni che erano già state disciolte da alcuni decenni. Le prime testimonianze - lo ricordiamo - sono state raccolte mentre i grandi partiti della sinistra, tagliati non pochi ponti col loro passato, stavano attraversando vicende laceranti per la memoria dei loro militanti. Il travaglio che ha attraversato negli anni novanta i partiti storici della sinistra reggiana ha portato inoltre al trasferimento delle loro sedi, e reso a lungo impraticabili i loro archivi. Un tentativo di allargare gli studi fuori dall'ambito locale, ci ha posto di fronte ad una constatazione: da parte dei partiti comunista e socialista, c'era stata una evidente rimozione delle esperienze associative infantili a cui ci stavamo interessando. Eppure, si trattava di organismi che avevano avuto adesioni di massa: 150.000 aderenti sul piano nazionale, ma essenzialmente concentrati nell'Emilia; nella pianura reggiana e bolognese in particolare. Se a Reggio ne avevamo trovato numerose tracce - per quanto confuse - nella memoria collettiva, ciò era dovuto all’eccezionale dimensione che il fenomeno aveva avuto localmente. Reggio ne era anzi stato il centro diffusore per l'intera Italia, portando i giovani dirigenti dei gruppi scoutistici di sinistra, fioriti poco dopo la liberazione, a dirigere le associazioni nazionali dei pionieri (A.P.I.) e falchi rossi (A.F.R.I.).
Ma se dagli anni settanta a Reggio - pure notoriamente centro all'avanguardia per gli studi e le sperimentazioni pedagogiche per l'infanzia - era mancata totalmente una riflessione su questa vicenda, a livello nazionale la letteratura che si occupasse dell'argomento andava ben poco oltre. C'erano poche fugaci testimonianze d’ex dirigenti dell'A.P.I. imbarazzati e risentiti per aver assistito all'affondamento di un progetto e di un'attività militante in cui avevano creduto profondamente, con un totale coinvolgimento esistenziale ed emotivo. Testimonianze che in genere emergevano nel rievocare la figura intellettuale di Gianni Rodari: il più attivo e celebre pubblicista che avesse investito fino in fondo la propria attività intellettuale nel far vivere quella vasta aggregazione democratica e laica per i bambini che erano le associazioni qui in questione. Non conservavano una memoria “pubblica” di pionieri e falchi rossi nemmeno i circoli laici e democratici che nel dopoguerra avevano trovato spazi di riflessione, riviste, e un pubblico attento alle loro elaborazioni, proprio e soprattutto partendo da queste esperienze associative dei giovanissimi. Molti di loro ne hanno conservato a lungo un appassionato ricordo privato; ma pareva quasi si trattasse di un argomento tabù, imbarazzante per qualcuno, e a cui era negata qualunque attualità. Solo nella seconda metà degli anni ottanta erano apparsi su riviste storiche un breve saggio di Andrea Colasio, poi uno di Marco Barbanti, in cui si studiava l'integralismo clericale, a partire da accurate ricostruzioni del processo di Pozzonovo: evento che negli anni cinquanta aveva messo a rumore la stampa nazionale: la più clamorosa montatura politico-giudiziaria messa in piedi per diffamare i gruppi aderenti all'A.P.I. L'episodio di Pozzonovo appariva emblematico di un'epoca contrassegnata da una drastica intolleranza verso ogni manifestarsi di culture e momenti di socializzazione laici, soprattutto nel settore infantile. Ma proprio queste iniziative di socializzazione promosse dalla sinistra continuavano ad essere circondate da un silenzio reticente, benché‚ diversi momenti di riflessione pedagogica e di qualificanti produzioni per l'infanzia negli ambienti progressisti risultassero incentivati o direttamente promossi proprio dalla diffusione di pionieri e falchi rossi. A parte i loro giornali - molto difficilmente reperibili nelle biblioteche pubbliche e negli stessi archivi di partito - la documentazione più facilmente rintracciabile su pionieri e falchi rossi sembrava proprio la pubblicistica cattolica, occasionata dalla campagna intollerante nei loro confronti e dal decreto del Sant'Uffizio che estendeva a questi bambini i decreti di scomunica verso comunisti e socialisti. Su questo particolare soggetto, i fondi archivistici ecclesiastici parevano molto meglio conservati e forniti - oltre che in certi casi più accessibili alla ricerca - di quanto non lo fossero i laici archivi di partito.
Due tesi di laurea - una discussa nel 1980 e una nel 1989 - che ricostruissero rispettivamente la vicenda dei falchi rossi e dei pionieri, ci hanno permesso di allargare finalmente la prospettiva delle nostre conoscenze. E' per questo che ora riteniamo importante pubblicarne qui due ampie sintesi e rielaborazioni delle due autrici, per le utili e originali informazioni che il loro paziente meticoloso lavoro di ricerca può fornire. Costanza Staccoli Castracane e Michela Marchioro hanno incontrato nella loro ricerca per la tesi tutti gli ostacoli che abbiamo ora descritto. Altri studenti avevano iniziato analoghe ricerche, abbandonando il lavoro proprio per le consistenti difficoltà nel reperire una serie di documenti tali da dare consistenza scientifica alle loro tesi di laurea. Del resto - in anni un cui l’interesse per la storia sociale era largamente sopraffatto da quello per la storia politica - solo le sezioni giovanili dei partiti avevano fino ad allora interessato gli studiosi: non la descrizione di gruppi di ragazzini, la cui funzione essenziale non era la militanza, ma al più - agli occhi degli stessi organizzatori - quello di far maturare ludicamente e culturalmente il senso di appartenenza a una sociabilità classista, fortemente ispirata ai valori resistenziali della sinistra. Nemmeno gli aspiranti della Gioventù italiana d’Azione cattolica, in quegli anni, avrebbero potuto apparire un argomento che potesse ambire ad una rilevanza storiografica. La descrizione delle vicende delle due associazioni infantili della sinistra che apparivano in queste due tesi non manifestavano sempre un freddo distacco dai documenti studiati; e questo coinvolgimento emotivo di due studentesse degli anni ottanta nell'indagare su una vicenda che le generazioni immediatamente precedenti si sono sforzate di relegare nell'oblio, informa su quanti aspetti attualizzabili mostri invece la riflessione sull'argomento. Quegli studi sono nati in un ciclo di manifesta crescente incomunicabilità tra i linguaggi e i valori della società adulta e quelli del mondo giovanile. Erano gli anni successivi alle rigide schematizzazioni di Alberto Asor Rosa sull’esistenza in Italia - specialmente in rapporto a simili questioni generazionali - addirittura di due contrapposte società. Ora - alla fine degli anni novanta - in una fase storica di generale ripensamento e di aperta stridente crisi del rapporto tra i giovanissimi e le altre generazioni, oltre che di totale ridefinizione del rapporto tra organizzazioni politiche e società, la sensibilità a simili problemi si è ulteriormente modificata, accresciuta, raffinata. La focalizzazione del nostro interesse sul soggetto delle loro passate ricerche e il loro stesso attivo coinvolgimento nel nostro gruppo di lavoro, ci permette di proporre un taglio diverso alle precedenti elaborazioni delle ricerche compiute, qui riviste dalle stesse autrici nell’ottica di differenti nodi concettuali, di stringente attualità.
La parte più consistente della documentazione, le due giovani studiose l'hanno consultata presso ex dirigenti nazionali di pionieri, falchi rossi e associazioni sportive fiancheggiatrici: persone oggi perlopiù residenti a Roma, ma tutte originarie dalla provincia reggiana. Il fatto che le fonti siano state reperite in archivi personali - appartenenti a soggetti che si erano identificati a fondo con le associazioni che avevano costruito - e in misura molto minore negli archivi istituzionali della sinistra, è un’ulteriore testimonianza di quanto la scomparsa di due associazioni possa essere stata vissuta come un fatto traumatico, e proprio per questo sia rimasta a lungo circondata da silenzi. Si tratta chiaramente di rimozioni che hanno attraversato le storie di alcune generazioni di militanti - oltre che dei numerosi bambini e ragazzi che avevano partecipato alle attività dell'A.P.I. e dell'A.F.R.I. Ma oggi - nel drastico generale rivolgimento di mentalità e ideologie avvenuto nella sinistra, e prima ancora nella secca perdita di credibilità delle intolleranze confessionali - appaiono meno condizionanti che nel passato. Soprattutto a contatto con una crescente curiosità della storiografia europea verso le esperienze socializzanti dei giovani, che negli ultimi anni sta producendo una saggistica notevole, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Proprio i movimenti di tipo scoutistico e le esperienze di educazione attiva che hanno cercato un contatto vivo tra i ragazzi, la natura, e l’elaborazione di idee di libertà e autonomia, sembrano oggi particolarmente interessare storici e pedagogisti attenti alle associazioni giovanili del nostro secolo.
Nel nostro progetto, avevamo riservato uno spazio anche a uno studio sul C.N.G.E.I.: l’associazionismo scoutistico laico, la cui esistenza appariva notevolmente meno condizionata da motivazioni ideologiche, rispetto all’A.P.I. all’A.F.R.I. e alla stessa A.S.C.I. cattolica. Problemi di pronta reperibilità di archivi e testimonianze, e di tempi editoriali, lo hanno momentaneamente impedito. E’ comunque una temporanea lacuna, che la nostra rivista intenderebbe prossimamente colmare.
I non numerosi studi sull’associazionismo giovanile finora avviati in Italia prendono in considerazione essenzialmente l'ambiente cattolico; in qualche caso inquadrandolo con le dovute scansioni storiche; altre volte sfumandolo in indistinte tradizioni storiche del nostro paese, senza coglierne aspetti di modernità che ne fanno un fenomeno strettamente connesso a questo secolo che si sta concludendo. Da pochissimo è stata avviata una seria storia delle forme di socializzazione e dei condizionamenti culturali nati in concomitanza con la diffusione dell'oratorio, negli ultimi sei, sette od otto decenni. Precedentemente, parecchi tra gli stessi storici tendevano ingenuamente a far propri i luoghi comuni che da tempo considerano tradizionale una simile struttura ricreativa, ritenendola legata quasi indissolubilmente ad un’antica istituzione come la parrocchia. Non si scorgeva quanto una tale struttura ricreativa fosse assolutamente peculiare del nostro secolo, della sua tendenza a considerare problematicamente il disciplinamento della gioventù nella società di massa, e soprattutto di una società italiana che dalla fine degli anni venti - all’esterno della famiglia e della comunità di vicinato - aveva compresso o eliminato ogni spazio di socializzazione infantile e giovanile non strutturato dal potere centrale o dal clero.
Riguardo poi a un altro fondamentale momento di sistematica propagazione e inquadramento ideologico dell'associazionismo giovanile nel nostro secolo, quello massicciamente promosso dal regime fascista, abbiamo un unico studio sull'Opera Balilla. All’infuori di poche e non approfondite ricerche dei pedagogisti, mancano completamente studi che abbiano efficacemente affrontato - in ambiti territoriali necessariamente circoscritti - la problematica degli effetti sociali e culturali della diffusione di massa di balilla e avanguardisti. Ancora agli inizi - seppure con un avvio decisamente incoraggiante - sono gli studi sull'associazionismo sportivo, benché‚ sia ancora ridotta la messa a fuoco dei decisivi cambiamenti di comportamenti e mentalità che il fenomeno ha prodotto tra i più giovani. Tra i nuovi campi che si aprono oggi alla storia sociale, ancora insufficientemente indagati - almeno in Italia, eccezion fatta per il periodo fascista - restano i progetti sociali complessivi che nel passato recente hanno guidato tutte queste forme di associazionismo giovanile. E assolutamente poco indagate sono gli indebolimenti dell'iniziativa laica in questo campo e il progressivo venire meno di suoi spazi peculiari: situazione che caratterizza decisamente la situazione italiana dal primo dopoguerra; ma in modo esasperato quella del secondo dopoguerra. Anche da questo punto di vista, abbiamo cercato di non rimuovere dal nostro campo d’interesse l’ingombrante eredità culturale che - alle associazioni dei giovanissimi e ai loro organizzatori - lasciavano l’O.N.B. e la G.I.L.: un lascito del passato che senza dubbio la sinistra, gli antifascisti moderati e i cattolici hanno cercato di rendere inoffensivo nella cultura giovanile, ma che indubbiamente ha lasciato tracce e condizionato parzialmente le successive prassi associative. Dal punto di vista dell’istruzione religiosa, quella di balilla e avanguardisti era un’educazione ibrida: da un lato portava a inculcare la religione laica dello stato-partito e di una patria interamente proiettata sulla figura del duce; dall’altro prevedeva la presenza di cappellani da affiancare ai reparti: una novità nell’educazione dell’Italia unita, dopo che la riforma Gentile aveva appena imposto il ritorno del catechismo cattolico nelle scuole elementari. Il sorprendente venire meno della cultura laica borghese in Italia, e le esitazioni e contraddizioni del movimento operaio nel subentrarle nel campo dell'educazione infantile, pongono tuttora corposi e irrisolti interrogativi per gli storici e per chiunque si interroghi sulle tendenze culturali della società italiana di questo secolo. Soprattutto oggi, considerando quanto i processi di secolarizzazione abbiano rivoluzionato il rapporto tra la società italiana e le istituzioni religiose, riducendo notevolmente spazi e rappresentatività sociale del confessionalismo integralista cattolico, e quanto paradossalmente stentino i valori laici a tradursi in concrete iniziative civili. Basti pensare, a questo proposito, quanto carente sia l’iniziativa laica nell’elaborare i valori e orientare gli interventi del volontariato dei giovani o per i giovani; specialmente nel campo dell’assistenza sociale (tendenzialmente meno in quelli culturali e ambientali). Proprio le associazioni e fondazioni più attive nell’intervento sui problemi del disagio giovanile sono di ispirazione visibilmente cattolica; specialmente in settori (vedi la reintegrazione sociale dei tossicodipendenti) in cui l’assistenza pubblica ha dimostrato clamorose incapacità di adeguare il proprio apparato. E nel momento in cui la politica governativa - pur facendo i conti con i giusti vincoli posti dalla nostra costituzione repubblicana - tende a ridisegnare gli ambiti istituzionali dell’istruzione pubblica e di quella privata, la cultura e l’associazionismo laici appaiono ampiamente impreparati ad affrontare la concorrenza delle strutture ad indirizzo confessionale, che pure sono in visibile difficoltà a competere sul piano qualitativo e della modernità con le attuali strutture educative
dello stato e degli enti locali.
Altra fondamentale questione storiografica che affrontiamo e su cui elaboriamo originali materiali di riflessione, mentre sull’argomento è in corso un vivace dibattito tra gli storici - è se nel dopoguerra i processi di modernizzazione della società italiana siano stati sollecitati in maggiore misura dall’apparato pubblico statale o piuttosto da mobilitazioni collettive - con forti motivazioni ideologiche - che hanno creato attorno ai partiti di massa un consistente apparato di servizi per la società civile. Secondo alcuni, la riproposizione di apparati politici della sinistra o dei cattolici che come il Partito fascista rispondessero direttamente alle esigenze associative e assistenziali delle località e dei propri sostenitori, avrebbe contribuito a snazionalizzare gli italiani e a indebolire il senso dello stato. Secondo altri storici, proprio questo genere di mobilitazioni - dopo un ventennio di intruppamento autoritario e massificazione passiva prodotti dal fascismo - sarebbe invece stato fondamentale per ricreare un senso della cittadinanza, basato sul diretto impegno civile delle comunità locali. Nel nostro caso, non solo la continua ma non pedante insistenza dell’A.P.I. e dell’A.F.R.I. sul civismo e sui valori della patria repubblicana, della costituzione e della pace ha costituito una forma di acculturazione ai valori democratici e a pratiche di autogestione basilari nell’acquisizione del senso di cittadinanza; ma le stessi pratiche (in buona parte frustrate da un apparato scolastico manipolato da personale conformisticamente schierato con la DC) di queste associazioni per risultare integrative della scuola pubblica - nel tempo libero dei ragazzi - hanno definito un loro modo di operare che le rendeva tutt’altro che centrifughe e destrutturanti rispetto al senso della cosa pubblica, pur partendo da valori oppositivi a quelli dominanti negli anni del clericalismo di stato. La liquidazione di queste associazioni - tra il 1958 e il 1960 - in controtendenza rispetto alle scelte della sinistra europea - ha comportato un impoverimento delle attività ludico-didattiche per i giovanissimi e una riduzione degli spazi sociali e identità di gruppo laici loro riservati. La concentrazione esclusiva dell’impegno di pedagogisti e insegnanti democratici nella gestione statale dell’educazione pubblica - mentre si andava definendo la pur importante riforma della scuola media inferiore - ha dato, nel medio periodo, risultati modesti e notoriamente deludenti. La perdita di spazi come quelli costruiti da A.P.I. e A.F.R.I. ha intanto limitato la sociabilità dei giovanissimi alle sole opportunità fornite dall’oratorio parrocchiale o dall’espansione dell’industria del divertimento e delle mode commerciali: una situazione anomala in un’Europa dove i circoli ricreativi laici, foyer e biblioteche previsti espressamente per gli adolescenti, i campeggi e gli ostelli, erano divenuti nel frattempo parte integrante del costume dei ragazzi, dalla Francia alla Scandinavia, fino ai paesi balcanici e all’Unione sovietica, nelle città come nelle campagne, con la significativa eccezione delle società iberiche, fino agli anni settanta ingabbiate da regimi dittatoriali e clericali. La cultura laica, nell’Italia repubblicana, ha sostanzialmente finito per precludersi una funzione educativa al di fuori della scuola, se si fa eccezione per alcune apprezzabili ma disorganiche e discontinue iniziative rivolte ai giovanissimi dagli enti locali.
La nostra monografia ha come premesse due recenti articoli che hanno cercato di illustrare la vicenda nazionale dell’Associazione pionieri d’Italia e il rapporto tra modelli sovietici e tradizioni culturali delle reti associative emiliane . Qui, oltre a presentare l’originale studio di Costanza Staccoli Castracane sull’organizzazione nazionale dei falchi rossi, ci è sembrato opportuno documentare approfonditamente il radicamento territoriale dell’API e dell’AFRI nella provincia reggiana - con i contributi di Giorgio Boccolari e Giannetto Magnanini - e dei pionieri a Bologna, attraverso una breve riflessione di Michela Marchioro. Antonio Canovi, poi, documenta e valuta quali tracce la vita di queste associazioni abbia lasciato nella memoria dei loro organizzatori.
Importante c’è sembrato valutare - alla luce anche di esperienze educative positiviste e riformiste di inizio secolo, poi degli interventi verso la gioventù del regime mussoliniano e dei successivi programmi degli Alleati per defascistizzare le giovani generazioni - il vivace dibattito pedagogico degli intellettuali di sinistra che si sono aggregati attorno alle esperienze associative dei ragazzi, attraverso l’intervento di Lino Rossi. Michela Marchioro ha poi studiato le peculiarità di uno dei più originali giornalini per i ragazzi - “Il Pioniere” di Gianni Rodari - mettendole a confronto con i linguaggi e le tendenze culturali della stampa giovanile dell’epoca.
La riflessione di Patrizia Dogliani mostra un raffronto con associazioni di un paese socialista - la Repubblica democratica tedesca - dove i pionieri costituivano un’associazione di regime, strettamente e istituzionalmente complementare alla vita scolastica (come lo erano stati i balilla): una situazione opposta a quella dell’Italia nel dopoguerra, dove le associazioni dei pionieri vengono contrastate apertamente da autorità governative, polizia e magistratura, oltre che da una classe insegnante allora strettamente legata al clero. Per quanto mi riguarda, ho invece cercato di valutare le ragioni e gli effetti della campagna di denigrazione condotta contro i pionieri dall’episcopato emiliano, e di riflesso dai militanti cattolici italiani più integralisti.
Dalle esigenze della cultura laica di ripensare la propria presenza sociale, nascono dunque la nostra riflessione storica e questa iniziativa editoriale, che abbozza a grandi linee e propone ai lettori una prima analisi delle due più consistenti associazioni ricreativo-culturali aconfessionali esistite in Italia. A chi in passato è stato partecipe di tali esperienze, e a chi oggi riflette sugli spazi per un’educazione attiva, che abbia gli stessi ragazzi come protagonisti, si rivolge il nostro lavoro.
La recentissima scomparsa di Carlo Pagliarini (il principale promotore della rete associativa dei Pionieri; poi, fino alla morte, responsabile nazionale del settore ragazzi dell’ARCI) ci ha ulteriormente motivati nel trarre un primo provvisorio bilancio storico su queste esperienze educative. Proprio dalle sue carte private - oltre che dai suoi consigli e incoraggiamenti, e da quelli del pure recentemente scomparso Pier Paolo D’Attorre (figlio di Piero, fondatore a Reggio Emilia dell’ASSI e dell’AFRI, la cui attività è qui ricostruita da Giorgio Boccolari) - sono partite le ricerche di Michela Marchioro, che hanno costituito un riferimento importante per il nostro lavoro. Alla memoria di quell’instancabile organizzatore di associazioni per i giovanissimi che è stato Pagliarini, e al noto storico e organizzatore di cultura che è stato Paolo D’Attorre, vorremmo dedicare le pagine di questa monografia.


Altri documenti nel prossimo post.

Ciò che fanno (4)


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PARTE TERZA -1
CIÒ CHE FANNO


È frequente da parte dei comunisti l'osservazione: — Non condannateci senza conoscerci. Non siamo stati ancora al potere; non abbiamo dato esperimento di noi stessi.
Purtroppo, per ciò che riguarda il loro programma antireligioso, non vi è bisogno di attendere oltre. Ciò che essi hanno compiuto in questi anni è quanto mai significativo. Son proprio i fatti che li smascherano e richiamano su di loro la condanna. Parlando degli uomini che si nascondono sotto il velo della menzogna, disse Gesù nel Vangelo: «Voi li riconoscerete dai loro frutti». L'anticristianesimo del P.C.I. è confermato in modo schiacciante dai frutti che la loro attività antireligiosa ha prodotto.

A) SCRISTIANIZZAZIONE DEI FANCIULLI E DEI GIOVANI

La cura principale del P. C. I. è rivolta verso i fanciulli e i giovani. Fra di essi particolarmente il Partito pensa di trovare i più generosi e audaci militanti.
Formati all'ideologia ed al metodo comunista prima ancora che una qualsiasi altra educazione ne abbia modellato l'animo, solo essi potranno formare i quadri sicuri ed efficienti dell'organizzazione.
Degli uomini che passano al Partito ad una certa età, dopo varie esperienze spirituali e intellettuali, non è opportuno fidarsi troppo. Vi è sempre il pericolo di deviazionismi. Per questo si vuol creare il tipo comunista fin dai primi anni.
L'aspetto più importante di tale educazione è naturalmente la lotta contro la religione.


Le direttive del comunismo internazionale


Su questo punto il comunismo italiano non fa altro che attuare le direttive che partono da Mosca e che son valide per tutte le nazioni.
Dalla Russia vengono orientamenti come questi: «Questa azione vuole da noi una particolare attenzione. Noi dobbiamo dare al fanciullo una concezione atea del mondo... Tale educazione deve incominciare il più presto possibile... Ciò che il fanciullo assimila nella più tenera età, serve di base a tutto il suo futuro sviluppo... Noi tutti sappiamo quanto sia difficile rieducare il fanciullo a scuola, quando vi arriva con abiti di pensiero religioso. È necessario prendere tutte le misure perché egli fin dall'infanzia assimili i concetti atei» .
«Noi evidentemente a un bambino di tre o quattro anni, non dimostreremo che Dio non esiste, ma con ogni nostro atteggiamento gli dimostreremo che non crediamo in alcun Dio e non ne attendiamo alcun aiuto» .
«La scuola attua l'educazione antireligiosa» .
Perciò «l'educazione comunista comprende obbligatoriamente la educazione antireligiosa» .

Ecco come un'educatrice sovietica espone la sua tattica:

«Io mi sono assunta il compito di educare gli assalitori in modo tale che possano diventare assalitori coscienti, e per essere ben preparati a lottare contro la religione a scuola, in casa e nelle strade.
Il lavoro incomincia dai fanciulli di nove anni: si raccontano loro
delle storie scelte a questo scopo.... Immediatamente essi si propongono di raccontare in altri gruppi ciò che hanno inteso, di lottare a casa per la soppressione della croce, di persuadere altri fanciulli ad agire allo stesso modo, di fare delle scritte antireligiose e di porle in diverse entrate della scuola e per la strada» .
Quale sia il dovere dei fanciulli iscritti all'associazione comunista, creata per essi, è così dichiarato da un autorevolissimo maestro russo:
«Il pioniere deve essere al primo posto fra quelli che lottano contro la religione. Deve essere dunque conoscitore di tutti i mali che essa produce: è vero discepolo di Lenin nella misura con la quale lotta contro di essa. Pioniere, in piedi per la lotta contro ogni religione, in piedi per abbattere la religione nella famiglia, nella scuola; non temere persecuzioni.
Esalta il tuo ateismo davanti agli adulti, anche davanti ai più istruiti» .
Ho riportato con abbondanza e precisione, perché si comprenda quali siano le direttive del comunismo russo, ed a quali principi debbano ispirarsi i comunisti italiani nella scristianizzazione della gioventù.
Lo strumento e l'organizzazione di cui si serve il P. C. I. per tale opera sono le Associazioni dei Pionieri Italiani (A. P. I.).


L'ASSOCIAZIONE PIONIERI D'ITALIA (A.P.I.)


L'organizzazione dei Pionieri fa parte del bagaglio che i comunisti delle diverse nazioni hanno ricevuto dalla Russia. Là, ove esiste il Partito comunista, funziona pure il movimento per l'educazione marxista dei fanciulli.
Il nome è identico per tutti i paesi; cambia solo la qualifica della nazione. Così in Italia si chiameranno Pionieri d'Italia, in Germania Pionieri tedeschi, in Francia Pionieri francesi, e cosi via.
Identico è il nome e lo stesso è il fine e il metodo della organizzazione.
Le A.P.I. raccolgono bimbi e bimbe dai 7 ai 14 anni . La sede centrale trovasi a Roma; alla periferia funzionano le sedi provinciali e comunali, il cui compito è quello di far sorgere l'associazione A.P.I. presso ogni cellula. La parola d'ordine della campagna annuale è questa: ogni cellula una sezione dei Pionieri. Già a questo momento, in molte parrocchie dell'Emilia e della Toscana, la maggior parte dei ragazzi è iscritta all'A.P.I.
Nell'ultimo Consiglio Nazionale dell'A.P.I., tenuto a Roma nel 1951, dalla direzione fu comunicato che gli iscritti avevano raggiunto la cifra di 171.000 .
Incaricate per il reclutamento, la sorveglianza e l'educazione dei pionieri sono le donne dell'U.D.I. (Unione Donne Italiane) e le ragazze dell'A.R.I. (Associazione Ragazze Italiane).
Il centro nazionale cura la pubblicazione di un settimanale illustrato per gli iscritti alle A.P.I., che all'inizio portava il titolo «Noi ragazzi» ed ora si denomina «Pioniere». Il settimanale che, in occasione di feste dell'Unità ed in altre circostanze, è diffuso fra tutti i ragazzi, ha raggiunto negli ultimi tempi una tiratura considerevole.
Il movimento delle A.P.I. cerca di scimmiottare l'organizzazione degli Aspiranti di Azione Cattolica e il metodo scautistico degli Esploratori Cattolici.
I Pionieri hanno anch'essi una «Promessa», i cui principii sono espressi in 5 punti.
Come sempre, anche per ciò che riguarda la stampa e l'educazione «pionieristica» è da distinguere, nell'opera dei comunisti, la maschera e il volto. Negli scritti ufficiali e nell'apparato esteriore non si dimostra con chiarezza il vero scopo cui tendono le A.P.I.. Che anzi generalmente sono indicate mete ideali bellissime. Questo vien fatto per scopi ben evidenti; la vera formazione integrale si svolge in altra sede. È esempio tipico di tale doppiezza la «promessa», stampata sul retro della tesserina dei Pionieri. È così concepita: «Prometto di studiare con profitto e volontà - di aiutare i miei compagni di scuola - di amare e rispettare i miei genitori, di aiutare la mia famiglia nelle difficoltà della vita - di essere amico di tutti i ragazzi, di organizzare con loro attività sportive, ricreative, culturali - di amare i lavoratori e di essere sempre di aiuto agli oppressi e a coloro che più soffrono - di amare la pace e la Patria che voglio libera e felice».
Su «La Lotta» (21-XII-1951), settimanale della Federazione del P.C.I. di Bologna, un dirigente qualificato dell'A.P.I. dice:
«La Patria, il lavoro, la pace: ecco i nostri ideali educativi».
Naturalmente non v'è bisogno di fare un processo all'intenzioni per concludere che vengono usate le concezioni più belle e più sante per raggiungere scopi del tutto opposti.


Come attirano ed educano i ragazzi


Il reclutamento vien fatto nei modi tradizionali coi quali si avvicinano i ragazzi.
Giuochi, feste e divertimenti vengono organizzati per loro dentro o nelle vicinanze delle cellule e delle Case del Popolo. I ragazzi imparano a conoscere l'ambiente comunista. I più disposti vengono in seguito invitati ad iscriversi alla associazione dei Pionieri. Gli iscritti diventano in breve tempo degli apostoli dell'idea e dei conquistatori.
Riceve ambiti premi il pioniere che riesce a conquistare il maggior numero di ragazzi.
Le donne dell'U.D.I. talvolta girano casa per casa per reclutare nuovi elementi. Ai genitori che, pur essendo comunisti, sono riluttanti ad affidare ad esse i propri figli, le udine fanno un sensato ragionamento: «Se non vengono da noi, non possono crescere con le nostre idee».
Costituita la sezione, ha inizio l'attività, che si svolge in due direzioni: un compito ricreativo, ed uno scopo formativo. La ricreazione, come si è detto, ha un fine di agganciamento. Serve per attirare i ragazzi e tenerli legati all'associazione.
Di qual genere sia la formazione è presto detto.
«Alla maniera comunista», proprio come rispose quella madre di Camposanto (Modena) all'aspirante di Azione Cattolica che andò a portare l'invito della «tre giorni» per il suo ragazzo. La madre strappò l'invito e disse testualmente: «Mio figlio voglio che cresca alla maniera comunista» .
Il crescere alla maniera comunista comporta un insegnamento e una educazione che, come è naturale, non hanno gran che a vedere con la dottrina e la morale cristiana. A Fusignano (siamo nella bassa Romagna) il dirigente del P.C.I. e l'organizzatrice dell'U.D.I., parlando per la prima volta dell'Associazione Pionieri in una grande riunione di bimbi, dissero testualmente: «Noi vi insegneremo altre cose che non vi insegnano i preti».
Fra le «altre cose» che vengono insegnate tengono il primo posto l'abitudine alla promiscuità e il disprezzo della religione. Questi due punti costituiscono come il binario su cui si svolge il metodo educativo dell'A.P.I..
Si parte dalla promiscuità per giungere a togliere nell'animo dei bimbi e delle bimbe il senso del pudore.
Dicono ai Pionieri: «I preti vi proibiscono di stare insieme con le bambine, noi no».
La promiscuità è talvolta spinta fino all'organizzazione di balli fra ragazzi e bimbe. La documentazione non manca. A Faenza, in corso Mazzini, nella sede del P.S.I., nel gennaio 1948, venne organizzato un ballo fra bimbi e bambine. L'etichetta che copriva la serata era: «Concorso di bellezza fra bambini».
Il 19 febbraio, alle ore 14,30 nella sala della Società Operaia di Via Castello a Castelnuovo Rangone (Modena), venivano sorpresi in una festa da ballo 31 minorenni, la cui età andava dai 4 ai 16 anni.
Nella pretura di Modena, giace la denuncia a carico del comunista Dino Marinello, dell'Alleanza giovanile e dirigente dell'A.P.I., che aveva organizzato tale trattenimento. Nella borgata di Cerbaiola (comune di Empoli), la sera del 21 febbraio, nella cellula comunista si ballava a luci spente: piccoli e grandi, pionieri e sindacalisti. I carabinieri del luogo hanno denunciato i responsabili.
Spento nell'animo dei ragazzi il naturale senso del pudore, è facile il passaggio al disprezzo della religione. Su questo punto il metodo educativo dell'A.P.I. non è altro che l'applicazione della tattica comunista nei riguardi della lotta antireligiosa.
Con un'azione graduale i bimbi vengono condotti alla noncuranza, al disprezzo, all'odio verso la religione. Il termine ideale è di formare degli atei militanti. Com'è naturale, questi fini non sono apertamente confessati dai dirigenti comunisti, ma sono chiaramente confermati dall'esperienza.
Ad esempio, ai bimbi viene insegnato che il pioniere non deve andare in Chiesa. Un episodio. È successo a Rossetta (frazione del comune di Alfonsine).
Era morto un fanciullo. La maestra accompagnò gli scolari al corteo funebre che fece sosta in Chiesa. Prese a caso per mano un bimbo fermatosi su la soglia della Chiesa e se lo condusse davanti all'altare. L'indomani la maestra si ebbe un forte rabbuffo dal padre: «Mio figlio non può andare in chiesa. È un pioniere», disse.
Quel genitore si chiama Federico Mazzotti, capo propaganda della sezione comunista .
Presso la Stazione dei Carabinieri di Borgo Panigale (periferia di Bologna) sono depositate le confessioni di quattro bimbe, dell'età di 8 o 9 anni, che parteciparono a qualche riunione dell'A.P.I..

Esse suonano così:

«Io un giorno sono andata dai piumieri e delle bimbe mi hanno detto che Gesù non c'era e che ci ha creato Stalin».

La bimba Lenzi Adriana di Bruno (taccio l'indirizzo) ha confidato:
«Mi hanno chiesto chi ci ha creato. Io tutta franca ho detto: ci ha creato Dio; ma loro mi hanno detto: no, bambina; ci ha creato Stalin».

Altra bimba attesta:
«La prima volta si ha fatto divertire molto alla palla, alle carti, al pallone; invece la seconda volta si ha dato le caramelle e si ha radunate tutti e si ha fatto imparare le bestemmie contro Dio. Si ha imparato la dottrina di Stalin».


I frutti dell’educazione «pionieristica»: fatti e documenti


È ben facile immaginare quali conseguenze derivino da tali insegnamenti. Disgraziatamente i semi gettati nell'anima dei fanciulli accestiscono con facilità e producono frutti tristissimi.
Già fin d'ora, e siamo quasi all'inizio di un'opera tanto deleteria, si può misurare la grandezza del male che sta maturando.
Serva a questo scopo la documentazione, che, conforme al nostro metodo, riportiamo senza commenti.
Per ovvie ragioni non riferiamo ogni volta nomi di persone e circostanze dettagliate di luogo o di tempo; ma ci assumiamo ogni responsabilità di quanto riferito perché si tratta di cose rigorosamente accertate.

In una parrocchia della periferia di Ravenna, ove trovasi un giovane parroco, Don Valgimigli, una sera tre bimbe si recano in Chiesa assieme. Due bimbe sono aspiranti dell'Azione Cattolica; l'altra, di nome Alves Paganelli, è la figlia del capocellula locale e iscritta all'A.P.I.. Tutte e tre s'inginocchiano innanzi a un Cristo morto, collocato sotto la mensa dell'altare. Due bimbe pregano; poi, chinandosi, baciano il volto di Gesù. La terza, la figlia del capocellula, s'inchina anche lei e sputa in faccia al Cristo. Le due amiche, meravigliate, le domandano perché abbia fatto così. Ella risponde: «Tanto, il Signore non esiste».

A Piumazzo, Comune del modenese, durante la spiegazione del catechismo da parte del parroco, un gruppetto di ragazzi, con fare sufficiente e insolente, affermò: «Ma noi non ci crediamo in Dio».

Le croci di una «Via Crucis» eretta lungo una strada di campagna a Pitigliano, Comune di San Giustino (Perugia), furono spezzate e deturpate tutte, la sera del 26 marzo 1950, da due ragazzi comunisti: Angelo Pellegrini e Marcello Sensi.

A Crespellano (Bologna) una giovane maestra delle elementari, all'inizio del mese di maggio, raccomandò alle scolare di portare qualche fiore innanzi all'immagine della Madonna. Si alzò una bimba di terza elementare e disse: «Davanti alla Madonna io ci metto il vaso da notte».

In un paesello dell'Emilia, chiamato «la piccola Russia», nel novembre del 1947 si svolgevano le sacre missioni. Per le intimidazioni dei soliti caporioni, pochissima gente si recava ad ascoltare le prediche. Uno dei missionari iniziò un giro di evangelizzazione nei luoghi più lontani dalla Chiesa. Attorniato da alcuni bambini, un giorno ebbe a dire che in quella località sarebbe stata costruita una Chiesa. Un bimbo rispose al missionario: «Provateci! La butteremo giù, mattone per mattone!».

A Spino d'Adda (Cremona), diocesi di Lodi, nell'estate del 1949, i rossi, a spese del Comune, organizzarono una colonia per bambini. Il settimanale comunista «Lotta di popolo», descrivendo la vita felice in colonia, al canto di «Bandiera rossa» e degli inni democratici, annotava fra l'altre cose: «Uno di questi ragazzi ha detto che lui con una buona squadra non andrà a dottrina, perché quella non gli riempie la pancia».

A Pieve di Cento (Bologna), un ragazzo iscritto all'A.P.I., presente alla conversazione di un gruppo di donne che parlavano del Papa, ebbe a dire:
«Piuttosto che incontrarmi e vedere il Papa, preferisco cavarmi gli occhi con le mie mani ed essere cieco per tutta la vita».

Tenendo lezione di religione in una scuola elementare, Don Tartarini, parroco di Corticella, nella periferia di Bologna, fece la domanda: «Chi è il Papa?». S'alzò un pioniere a rispondere: «È quell'uomo che vuole la guerra».

Ad Argenta (Ferrara) il 30 maggio 1951, poco prima del mezzogiorno cinque ragazzi profanarono orribilmente una chiesetta dedicata alla B. Vergine.
Abbattuta la porta, infransero ed incendiarono il tabernacolo, decapitando la statua della Madonna e il Crocefisso. I candelieri e le tovaglie furono gettate sul lastricato centrale. Poi, con gesto nefando, lordarono tutti gli oggetti sacri e principalmente l'altare.
I ragazzi sono stati denunciati a piede libero al Tribunale dei Minorenni di Bologna. Si chiamano: Remo Masini e Giovanni Chendi di 14 anni, Angelo Brigoni di 13, Giuseppe Conti e Romano Fusi di 12 anni. Tutti iscritti all'A.P.I..

A Poggetto di S. Pietro in Casale (Bologna), il 28 dicembre 1951, festa dei SS. Innocenti, il Parroco aveva indetto una funzione religiosa pei bimbi. Mentre il Sacerdote accennava alle insidie tese ai fanciulli da certa stampa «a fumetti» e da compagni cattivi, un ragazzo di 11 anni, iscritto alle A.P.I., ebbe ad esclamare pubblicamente: «Queste son tutte fole; noi sappiamo da chi dobbiamo essere educati; loro ci insegnano bene».

A Cavaglio di Agogna (Novara) nelle feste natalizie del 1951, durante una processione eucaristica, un gruppetto di cinque ragazzi, dai 10 ai 13 anni, tenne un contegno sfacciatamente irriverente e provocatorio, con pose superiori alla loro età, le quali rivelano evidentemente un insegnamento ricevuto da adulti. I ragazzi, dopo aver insultato ad alta voce, dandogli del traditore, un ragazzo che fu già nelle file dell'A.P.I. e che passava in processione tra i ragazzi dell'Associazione Giovanile Cattolica, presero a schiamazzare provocantemente. Alcuni di essi addirittura fecero una sassaiola, in modo che qualche sasso andò a finire anche presso il baldacchino del Santissimo Sacramento.

Qui, sul mio tavolo, tengo l'originale, con tanto di firma e di località, di esercitazioni scritte, fatte da ragazzi e bimbe su gli 11 e 12 anni, tutti iscritti all'A.P.I.. Chiunque li legga non può che sentirsi stringere il cuore da una profonda angoscia.
Non si pensi che essi scrissero così perché suggeriva loro qualche persona più anziana; tali esercitazioni furono svolte in breve ora e in locale separato.

Ne riporto qualcuna.

Il primo gruppo è la risposta ad una domanda così formulata: «Di’ le ragioni per cui credi o non credi in Dio».
«Io in Dio non ci credo perché non l'ò mai visto».
F. C.

«Io credo che esista un Dio perché se non esistesse un Creatore nessuna vita sarebbe possibile sulla terra e nemmeno ci sarebbero corpi se non esistesse un creatore.
Ma io chiedo: dove è nato questo Dio?
In fine io non credo nei preti perché vogliono emettere un Dio che non si sa se esista o non esista
».
G. A.

«Io non credo all'esistenza di Dio per la semplice ragione che non l'ho mai visto. Dio esisteva nei tempi antichi e predicava l'uguaglianza per tutti, e a quelli che non gli garbava l'uguaglianza l'hanno ucciso. Se esistesse un Dio, un essere supremo, padrone assoluto di una giustizia divina non permetterebbe né delitti, né guerra; né. odi fra fratelli e fratelli e punirebbe chi fa tanto male ai colpevoli. Io credo solamente a ciò che vedo e che tocco».
G. S.

«Io non credo in una cosa spirituale e perciò in Dio, ma credo nel materialismo di Marx e Engels. Perchè il materialismo è una cosa praticata da tutti e mentre lo spiritualismo non è praticato e non è evidente.
Io una volta se vedo Dio a fare cose ancora, come dicono i credenti, mi persuaderei. Nel mio piccolo congegno preferisco una cosa materiale non spirituale; una cosa spirituale potrà anche essere una bugia, perché non si vede ma il materialismo è praticato ed evidente.
Io preferisco la linea materiale non spirituale, e perciò non credo in Dio.
Potranno far dameno di venire a spiegare, per me è una cosa inutile e impossibile incredibile
».
M. F.

«Io non credo nel spiritualismo quindi non credo nemmeno in Dio. Ma però credo nel materialismo; cioè in uomini specialmente:
— Lenin, Togliatti e l'assemblea delle sue file. Ed ho molta fede in loro, cioè ci credo. Ma non in Dio. Non ci credo. Voi volete afforzarmi a credere ma però non mi convincete. Basta
».
P. V.

Ragazzi e bimbe della stessa età cosi commentavano in iscritto il passaggio della Madonna Pellegrina nel loro paese:

«Quando è passata la madonna pellegrina vi era poca gente, quella gente criticavano i comunisti. La madonna era fatta di gesso di pinta di vari colori, faceva ridere la gente. Quelli che vi erano dietro cantava la dotrina di Cristo. In quel giorno anno imprigionato un uomo. Quella è la grazia che à fatto la madonna».
A. V.

«Quando è passata la madonna pellegrina per la mia strada, c'era no poche persone. La madonna era dipinta in una tela. Le persone avevano dei lumi in mano e cantavano. C'erano delle vecchie che per cantare facevano delle bocche che facevano ridere. La madonna era su di un camion, e il prete diceva: «ecco che passa la madonna pellegrina: «Ma io dico che era poco pellegrina perché la trasportavano. Avevano accese delle panadelle, e c'erano delle persone povere che quando vedevano le panadelle dicevano: se le avessimo noi quel le panadelle, a pensare che bruciano per una madonna dipinta in un pezzo di carta. Vicino a me c'erano delle persone che avevano comperato tante lampadine, a pensare che costano così tanto. Però i preti si vede che hanno paura perché tengono dietro di loro la celere la quale uccide dei lavoratori innocenti che cercano lavoro perché De Gasperi non gliene dà».
R. G.

«Io la Madonna non l'ho mai vista, ma ne ho sentito parlare, che questa è dipinta su una tela e la portano in giro per le strade. Ed intorno vi sono tanti preti che cantano a squarciagola: Evviva Maria! Evviva Maria! Poi ho sentito dire anche che quelle persone che erano dietro alla Madonna Pellegrina ogni tanto dicevano: Vogliamo Pace! Pace! - Poi questa è tutta illuminata da lampade di tutti i colori, ed anche le case vicino alla strada erano tutte illuminate, con lampade che formavano la parola - Evviva Maria. Però la Madonna se voleva farci grazia poteva anche stare in chiesa senza portarla tanto per la strada e farla vedere a tutti. Siamo capaci anche noi di andare a trovare la Madonna in chiesa, senza che ce la sbattino sotto il naso, solo per fare mettere in prigione dei poveri lavoratori».
G. M.

«Alla sera di una Domenica là a Rossetta è passato la Madonna. Tutto era illuminato. Vicino a casa mia c'è una famiglia la quala aveva messo molti palloni illuminati in aria, le siepi erano ricoperte di fiorellini illuminate da lampade. Sulle finestre quasi tutte illuminate da lampade che formano un bellissimo W Maria.
C'erano molte persone con una candela accesa in mano che seguivano la processione facendo dei cori. Spargevano per la via mille fiori e fiorellini bianchi. Io però non aveva illuminato perché se Lei voleva vedere lume passava di giorno. Evviva Maria, Abbasso la celere che ammazza i poveri lavoratori! Quella sera a causa di mia zia si è messo in prigione un uomo.

C. E.

«Nella sera di un giovedì per la strada di Rossetta è passata la Madonna. Qualche famiglia aveva illuminato perché doveva passare la Madonna Pellegrina. La Madonna era seguita da persone le quali cantavano «Pace, pace» facendo cori. Io però ho visto che oltre ai cristiani la Madonna era seguita dai seguaci di Mussolini cioè i criminali fascisti i quali hanno fatto scatenare la guerra spargendo sangue e torturare i figli del popolo innocenti. Anche ora i fascisti cambiati di divisa col nome di celere continuano ad uccidere a più non posso i lavoratori i quali lottano per il loro pane.
Evviva Maria, Abbasso la celere
».
F. G.

Altri documenti che testimoniano come i fanciulli delle A.P.I. vengono educati al disprezzo e all'odio verso il Clero, provengono da un grosso centro della Romagna.
A Sant'Arcangelo, nel mese di febbraio di quest'anno, ad alcuni ragazzi di 11 e 12 anni sono state poste delle domande. Ad una, così enunciata:
— Si può essere cristiano e portare cattiveria verso il Papa e i preti? —, è stata data la risposta:
«La condizione più importante per essere vero cristiano è di amare Gesù. Sì, si può essere veri cristiani portando odio contro il Papa, i Preti e i Vescovi, basta amare Gesù fare buoni azione, perchè i Preti i Vescovi e il Papa ci insegnano a fare il male».

L'altra domanda: — Cos'è l'A.P.I.?

Risposte come questa: «L'A.P.I. è una associazione che aiuta il P.C.I. a essere più forte. L'A.P.I. è una associazione che dà la libertà la pace e il Lavoro. Essa aiuta i poveri, soccorre i bisognosi e i Preti un giorno immagino che la vorranno vedere deperire, ma l'A.P.I. non la vedranno mai deperire ma aumentare il cento per cento ogni giorno sotto la guida dei grandi A. Gramsci, P. Togliatti, Lenin, Nenni e Stalin ecc...».

Così hanno scritto ragazzi e bimbi. Di fronte a tanto male si resta perplessi e sbigottiti. Sì stanno avvelenando le sorgenti da cui dovranno sgorgare le acque della vita delle nuove generazioni.


LA FEDERAZIONE GIOVANILE COMUNISTA ITALIANA (F.G.C.I.)


Accanto all'A.P.I., l'organizzazione verso la quale in questi ultimi anni è rivolta la particolare attenzione del P.C.I., è la Federazione Giovanile Comunista Italiana.
Fu preceduta, come formula e struttura organizzativa, da altri esperimenti che non si sono dimostrati del tutto rispondenti allo scopo, quali l'Alleanza Giovanile, il Fronte della Gioventù, l'Associazione Ragazze Italiane.
Essi permangono tuttora, sotto la speciosa veste di organismi apolitici, come specchietti per allodole, per attirar giovani e ragazze al movimento comunista. Servono di richiamo e sono trampolino di lancio.
Il vero strumento per la formazione marxista della gioventù è in Italia la F.G.C.I..
Essa raccoglie i giovani dai 14 ai 21 anno .
Ha un settimanale proprio che si chiama «Pattuglia».
Le direttive per questo lavoro sono partite dall'alto e da persona qualificatissima.
L'On. Longo, Vice-Segretario Nazionale del P.C.I., su l'«Unità» (5 Aprile 1949), parlando delle forze giovanili constatava che «già nel 1947-48 l'afflusso di giovani al partito è diminuito». E questo per colpa delle organizzazioni giovanili cattoliche, nelle quali il P.C.I. «ha ora avversari agguerriti».
Di conseguenza l'on. Longo insisteva perchè si desse «un maggiore slancio e maggiori possibilità di iniziativa al movimento giovanile, creando la Federazione Giovanile Comunista, cioè l'organismo che deve raccogliere i giovani non solo sul piano di cellula, ma di sezione, di federazione e, infine, sul piano nazionale». Concludeva ammonendo di «rivolgersi ai giovanissimi, i giovani cioè dai 14 ai 18 anni che restavano finora esclusi dalle cellule comuniste», e verso i quali «l’organizzazione cattolica si indirizza invece con ogni cura».
In verità la propaganda comunista fra i giovani, da qualche tempo, si è fortemente intensificata; e può dirsi che in certe regioni buona parte della gioventù operaia, cosciente e attiva, o milita nel P.C.I. o è sotto l'influenza di organizzazioni paracomuniste. Ciò che spinge l'attività del partito in questa direzione è la consapevolezza che chi ha con sé oggi la gioventù lavoratrice, avrà dalla sua parte domani la classe operaia.


Metodi educativi


Direttiva generale all'azione è questa: la nuova educazione da impartire alla gioventù deve neutralizzare, anzi sostituire l'educazione morale e religiosa del cristianesimo. Lo scopo finale: formare i giovani ad una concezione materialistica della vita, temprandoli allo spirito di lotta e conducendoli all'ateismo militante..
I mezzi per tale educazione sono sempre gli stessi: spegnere nei giovani e nelle ragazze il senso morale, istillare la noncuranza e il disprezzo verso la religione.
Dimostrare che la F.G.C.I. risulta una scuola d'immoralità non è davvero difficile.
Alla base della vita interna e di ogni manifestazione esterna della F.G.C.I. sta un cameratismo assoluto fra giovani e ragazze; non si ha nessun riguardo affinchè la promiscuità non oltrepassi certi limiti, oltre i quali è aperta la via all'immoralità.
Come si può conciliare con la morale cristiana il fatto che non vi è manifestazione promossa da associazioni comuniste che non si concluda col ballo? Val poco che si parli di ballo «democratico» o «popolare» per contrapporlo ai balli delle classi aristocratiche. Quando il ballo diventa un metodo, pel quale si sfibra e si corrompe la gioventù, non vi è distinzione che regga. È certo che il P.C.I. è in questi ultimi anni il più tenace e perfetto organizzatore di feste da ballo: ma molti si domandano quale vantaggio da ciò ne derivi alla classe operaia e se sia questo il mezzo migliore per tutelare gli interessi della povera gente.
Ogni occasione poi è buona per l'elezione di una miss, di una reginetta, di una stellina. Dalle più grandi manifestazioni nazionali fino alla più modesta festa di cellula è un fiorire prodigioso di stelle e di reginette. Miss Unità, Miss Vie Nuove, Miss regionali, provinciali, comunali e paesane; Miss semina, Miss vendemmia, Miss Reggiane,
Miss primavera, ecc.... ecc....; si ha l'impressione di essere ad una
«fiera» in cui giudici qualificati selezionano i capi-bestiame e dove gli animali vengono stimati ed ammirati per l'unico pregio: il loro corpo. Manca in tale rassegna una «Miss vizio», e poi la sfilata sarebbe completa.
Il fatto che questo costume, tanto poco nobile, sia stato regalato all'Italia dalla civiltà americana, dovrebbe far pensare ai comunisti.
Che dire poi della cosa assolutamente nuova nelle tradizioni del popolo italiano, per cui, nelle grandi manifestazioni e parate del P.C.I., sfilano gruppi di ragazze che, calpestando ogni naturale senso di pudore, si presentano in pubblico seminude? Nelle ultime celebrazioni del 1° Maggio, della Festa Nazionale dell'Unità a Bologna, il 23 settembre 1951, tale indecoroso spettacolo raggiunse limiti insopportabili.
Per ciò che riguarda il problema religioso, l'educazione impartita ai giovani dai dirigenti comunisti è coerente con la linea marxista. La tattica è la stessa: all'inizio noncuranza della religione, per passare gradualmente al disprezzo dei ministri di Dio e al rifiuto delle verità rivelate.
Il punto d'arrivo: l'ateismo militante.


Alcuni documenti significativi


Confermano la licenziosità nei rapporti fra giovani e ragazze del P.C.I. e le tristi conseguenze che ne derivano, i fatti seguenti:

A Ronchi di Crevalcore (Bologna) si recò, in occasione di una festa religiosa, un sacerdote della diocesi bolognese. Costui potè avvicinare una diecina di giovani lavoratori sui 15-16 anni. Gli unici in tutto il paese che avevano partecipato alla processione. Entrati nel vivo della conversazione, i ragazzi ripeterono tutte le calunnie che la stampa e la propaganda comunista insinua contro i Sacerdoti e la Chiesa.
Circa la moralità, assicuravano che ognuno di loro aveva 3 o 4 ragazzine «compagne», con cui divertirsi: che si poteva andare a ballare due o tre volte la settimana, e che la vita era bella così, non come insegnano i preti. Interrogati se credevano in Dio e nella religione, risposero: «Nella religione ci crediamo, ma non in quella dei Preti».

Durante il Festival giovanile della Federazione Piacentina, svoltosi dal 14 al 17 luglio 1950, fu lanciata la sorpresa di una «quattro giorni di matrimonio simbolico fra i giovani». Un manifestino, diffuso fra la gioventù, avvertiva: «Il Sindaco del Villaggio rende noto che vi sarà pure l'Ufficio Matrimoni e Divorzi. Quattro giorni di pacchia quindi». E aggiungeva che il Sindaco avrebbe rilasciato alle giovani coppie improvvisate un «Certificato di Matrimonio», in cui è detto che i due giovani, «simbolicamente uniti in matrimonio» davanti al Sindaco stesso, si impegnano «sul loro onore di giovani... a trascorrere insieme quattro giorni di felicità».

L'odio che è sistematicamente iniettato nell'animo dei giovani, ne avvelena l'animo e difficilmente può essere sradicato.
Recentemente si recò a visitare il carcere ove sono detenuti gli uccisori del giovane martire Giuseppe Fanin un Ecc.mo Vescovo. Il mandante del delitto, Gino Bonfiglioli, già segretario della Federazione del P.C.I. di S. Giovanni in Persiceto, alle paterne parole del Vescovo non diede, alcuna risposta. Solo alla domanda se fosse pentito di ciò che aveva fatto, diede questa risposta: «Ho fatto ciò che dovevo fare, e sono contento».

Ha avuto vasta eco, suscitando profonda impressione, quanto è avvenuto a Ostina di Reggello (Firenze), alla vigilia delle elezioni amministrative del 10 giugno 1951.
Due giovani, sui 16 e 17 anni, appostati ad un angolo della casa, spararono brutalmente contro il parroco Don Emilio Servolini, colpendolo alla gola.
Trasportato all'ospedale, e riconosciuti gli attentatori, ha loro perdonato cristianamente.
I due ragazzi, Luciano Turini e Guido Maffei, che avevano agito per odio al prete, appartenenti a famiglie estremamente rosse, erano iscritti alla Federazione Giovanile Comunista Italiana.

A quale forma di ateismo cinico e conturbante si possa pervenire è dimostrato dai due fatti seguenti, in cui sono protagoniste due ragazze sui 20 anni.
Nel 1950, nella parrocchia di Viadagola di Granarolo (Bologna) si svolgeva la tradizionale processione del Corpus Domini. Le strade e le case lungo il percorso della processione erano parate a festa. A un certo punto tutto era disadorno. Se ne seppe presto il perchè.
La sera innanzi, la famiglia che stava in quei dintorni, invitata a preparar qualcosa, non volle intendere ragioni. Che anzi una figliola di 19 anni soggiunse: «Non c'è bisogno di preparare niente, noi l'altare per la Madonna e per il Signore l'abbiamo già preparato: c'è il letamaio».

In un paesetto del Comune di Castelfranco Emilia (Modena), nel 1949, era morente un giovane sui 25 anni. Lo assisteva negli ultimi momenti la sorella, iscritta al P.C.I. e segretaria dell'A.R.I.. Costei non lo abbandonava un istante, perchè non dovesse far chiamare il prete; e gli suggeriva le più obbrobriose bestemmie. Una ragazza, amica di famiglia, potè ascoltare le ultime parole che la sorella disse al fratello morente: «Se di là ti capita di incontrare Gesù Cristo, sputagli in faccia anche per me».

Non è senza un fremito di rivolta che la penna tramanda queste cose. Simili fatti documentano, con una eloquenza senza paragone, la vastità e la profondità del male che vien seminato e già matura in mezzo alla gioventù.


Ci sarebbero altri articoli ma non ricordo i siti, appena possibile li metterò. Chiudo con l'Inno della gioventù della pace e la Filastrocca del Pioniere.

Inno della gioventù dalla pace (5)(mp3)
SPOILER (click to view)
Sulle voci di guerra
sorge il canto dell'umanità
chiama tutta la terra
a quest'inno di fraternità
Giovinezza del mondo
il tuo coro fecondo
si leva unito
echeggia ardito
domanda libertà

Questa nostra voce non si spegnerà
durerà
crescerà
le menzogne non ci tradiranno più
gioventù gioventù
LA libertà sull'oscuro mondo brillerà

Questa nostra,,,

Apriremo le porte
al cammino della civiltà
vinceremo la morte
e perenne la pace sarà
Giovinezza del mondo
il tuo coro fecondo
si leva unito
echeggia ardito
domanda libertà

Questa nostra...

Filastrocca del Pioniere (6)
SPOILER (click to view)
Tratto dalla rivista "IL Pioniere"

"Che cos'è? Un carabiniere?
Un brigante col trombone?
Un ginnasta o un pizzardone?",
"Ma la smetta per piacere!
Lei non sa che sia il pioniere?
E' il giornale dei ragazzi, per il qual tutti andran pazzi.
Un giornale? Un giornalissimo,
per il mondo giovanissimo,
Lei potrà vederlo tosto: uscirà la fine d'agosto.
E se non è troppo distratto ora le spiego com'è fatto."
"Sarà dei soliti giornaletti,
con le parole nei fumetti...",
"Avrà i fumetti, questo è pacifico,
però sarà un giornale magnifico: sei romanzi d'avventure,
con bellissime figure
e ogni sorta di personaggi, pellerossa, indiani,
selvaggi,
bianchi, negri, così così, e perfino uomini di...".
"Che uomini?". " Ahi! Non mi strappi il braccio
perfino uomini di ghiaccio.
Foreste vergini città sepolte,
navi corsare a vele sciolte...
Per riposare di tanti strapazzi
ha personaggi buffi e pazzi: Candido, Sambo,
Cipollino,
Pero Pera che suona il violino,
Palatina e il sor Pomodoro
che tiene molto al suo decoro".
"io protesto, se lei permette
la cultura dove la mette?".
"Nel Pioniere, non abbia paura,
c'è posto anche per la cultura
La Storia d'Italia in poesia...".
"La storia in versi? Mamma mia!".
"Non c'è ragione di temere:
l'ha scritta Alberto Cavaliere.
Poi, spegata per filo e per segno,
ecco la scienza, tutta in disegno.
Poi lo sport: un manuale a fumetti
per diventar calciatori perfetti,
la vita di Coppi romanzata in otto puntate raccontata.
E dopo Coppi, naturalmente,
Bartali e tutta quell'altra gente".
"Quanta roba, poffarbacco!
Batterà tutti per distacco".
"Caro Signore, lei deve sapere
che proprio questo è un Pioniere il primo in tutto, il più coraggioso
il più giusto, il più generoso,
primo a scuola, già si sà,
e nell'amare la libertà".
"E quando arriva? Tardi o tosto?".
"Gliel'ho già detto: a fine agosto!".
 
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Nick 81
view post Posted on 6/8/2010, 11:30




L'inno dei Pionieri italiani e La marcia dei pionieri italiani

image

www.youtube.com/watch?v=3omNgdXBRME
www.youtube.com/watch?v=EGstjNQn7C0&feature=channel
 
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Omnia Sunt Communia
view post Posted on 6/8/2010, 11:35




Piccola pravda - il ventennio del Pioniere, di Francesco Manetti(1)


SPOILER (click to view)
(originariamente pensato per una grande rivista di critica, l’articolo apparve invece solo sul Notiziario GAF nuova serie 5 del maggio 1998, bollettino a bassissima tiratura, organo interno di un club di fumettomani fiorentini, che un tempo stampavano Exploit Comics; il Notiziario era curato da Leonardo Gori, oggi affermato romanziere di gialli italiani)

Se la parola scout fa venire in mente l'associazionismo giovanile d'ispirazione liberal-cattolica, il termine pioniere richiama subito il mondo della collettivizzazione minorile di stampo social-comunista. A qualcun altro scout e pioniere fanno invece balenare in testa la celebre definizione di "un branco di bambini vestiti da cretini guidati da un cretino vestito da bambino". Se il cosmo dei giovani boy-scout di matrice cristiana e occidentale si rifaceva - per esempio - al Vittorioso, l'universo dei piccoli esploratori di sovietica memoria aveva il suo vangelo a fumetti nel Pioniere.


Antefatto



Il 13 settembre del 1946 uscì il primo numero del settimanale Il Moschettiere, in formato giornale; si trattava di un periodico autonomo, non collegato ad alcuna testata "madre". Il Moschettiere, vero e proprio "pioniere del Pioniere", era pubblicato dalle Edizioni Astrea, con sede in Via Arenula 56 a Roma, a due passi dal Ministero di Grazia e Giustizia, controllato allora dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti. Sull'ebdomadario diretto da Angelo Talliaco, che andò avanti per almeno otto numeri nell'anno di uscita, vennero pubblicate storie di Cassani, Cipolloni, De Fiore, Grilli, Serban, Rebus, Lazzarini, Ferban, Fida, etc. Erano quelli mesi piuttosto turbolenti e gravidi d'incertezze: il vecchio regime mussoliniano era crollato e il nuovo regime democomunista si stava ancora facendo le ossa ("Battista l'ingenuo fascista" di Benito Jacovitti bene illustrava all'epoca gli sconvolgimenti non soltanto interiori creati dall'improvviso vuoto di potere che devastavano il cittadino comune, quell'Uomo Qualunque vittima di una finta libertà dopo una vera dittatura), forte dello schiacciante risultato positivo della Repubblica (54%) sulla Monarchia (46%) del 2 giugno 1946. Il giurista Enrico De Nicola era da poco capo provvisorio dello Stato e Alcide De Gasperi formava il secondo dei tanti governi di centrosinistra del dopoguerra (la catena fu interrotta, brevemente, da Silvio Berlusconi nel 1994). Erano anche i mesi delle vergognose trattative intercomuniste (fra Togliatti e Tito) sui brandelli del territorio ancora italiano nell'estremo nord-est del Paese, in quei paesaggi carsici imbottiti dagli slavi di corpi di uomini, donne e bambini legati insieme dal filo spinato.


Arriva il Pioniere



L'aria di Via Arenula fece crescere bene il foglio che, con il n° 25 del 1947, si trasformò nel Pioniere dei Ragazzi, pubblicato sempre dalle Edizioni Astrea. Dopo aver mutato periodicità (da settimanale a quindicinale) e assunto brevemente il nome di Noi Ragazzi, il periodico chiuse e riaprì presso un altro indirizzo e un altro editore assumendo finalmente un titolo di testata definitivo: Il Pioniere numero uno, ancora giornale autonomo, era datato 1° gennaio 1949. Il nuovo Pionere, come si è prima accennato, non era più pubblicato dalla Astrea, ma dalla Casa Editrice A.P.I. (la sigla è l'acronimo dell'Associazione Pionieri d'Italia, l'organizzazione scoutistica legata agli ambienti comunisti) con sede in Via delle Zoccolette 30: l'A.P.I. si sposterà successivamente in Via Arenula 41 e poi in Via Napoli 51, sempre e comunque nella Città Eterna.

A un certo punto il nome della casa editrice e quello del giornalino coincideranno in Pioniere. In questo periodo di vita del "Settimanale dei Ragazzi d'Italia" il direttore è una donna, Dina Rinaldi, che porta avanti la testata per 14 annate, fino al n° 19 del 20 maggio 1962. La direttrice si occupava anche di rispondere alle lettere dei ragazzi con la rubrica Ufficio Postale. Secondo Leonardo Becciu (autore del libro Il Fumetto in Italia), lo spazio dedicato alle missive del pubblico e l'Angolo di Gianni Rodari, una specie di editoriale, "sono la parte più ideologizzata del giornale". Becciu ricorda che sul n° 13 del febbraio '62 apparve una lettera di un ragazzo fiorentino che si lamentava del divieto del suo professore d'italiano di portare il Pioniere a scuola perché "è un giornale socialcomunista"; la direttrice, consolando il giovane ferito nell'onore, risponde che "il Pioniere è innanzitutto un giornale antifascista e democratico" e come tale aveva diritto di entrare nelle scuole come tutti gli altri periodici concorrenti.

Il vittimismo e la mania di persecuzione che trasudano da molte pagine del Pioniere fanno quasi pensare che il fascismo non sia mai tramontato: i continui appelli agli ideali della Resistenza (con romanzi a puntate e fumetti), gli insistenti richiami alla verità, alla pace, alla democrazia, al progresso e l'incessante rivolgersi ai lettori come alla migliore gioventù italiana non contribuiscono certo a rendere gradito il periodico fuori dalla ristretta cerchia dei figli dei simpatizzanti. E la concorrenza dell'AVE poteva vantare uno staff di autori sicuramente più valido. Ci fu poi, durante tutto il ventennio del Pioniere, una celebrazione ripetuta e martellante di Garibaldi e delle imprese garibaldine, viste come profetiche della Resistenza al nazifascismo: non dimentichiamoci che l'effigie dell'Eroe dei Due Mondi era stata scelta dai socialcomunisti per farne il simbolo del Fronte Democratico Popolare, il raggruppamento di sinistra che si era presentato alle elezioni politiche del 1948. Il Candido affrontò con efficacia questo problema, la settimana successiva alla sconfitta di quello che Guareschi ironicamente chiamava il Fro-de o Fro-de-pop, per creare un'assonanza con il Minculpop: "E Garibaldi che fine ha fatto? L'ultima volta è stato visto venerdì sera, che ancora i frontisti lo portavano in giro per i paesi e per le città, adorno di bandiere e illuminato di lampioncini: vogliamo dire l'ultima volta che l'abbiamo visto in buon arnese e onorato da coloro che per tre mesi s'erano giovati della sua immagine per la campagna elettorale, perché sui muri, solo che tu esca a far quattro passi, puoi vederlo ancora, ma già stinto dalla pioggia e dal sole, sfregiato, strappato, pendente, agitato dal vento come uno straccio sporco, e i portinai lo raschiano con lo scalpello, i ragazzi si divertono a disegnargli sul naso gli occhiali o in bocca la pipa e ciò senza il minimo scrupolo di mancar di rispetto a quello che per gli anziani e gli uomini maturi è ancora l'Eroe dei due Mondi, è ancora il difensore della Repubblica romana, è ancora il leggendario condottiero dei Mille, ma per i ragazzi, ma per i cento e centomila giovani poco versati nelle storie patrie di chi è questa faccia barbuta che i comunisti, continuamente disegnandola e dipingendola durante tre mesi secondo i loro gusti, ha finito col rendere patibolare? E' la strana faccia d'uno sconosciuto presa a prestito per la campagna elettorale da gente che con lui non aveva nulla a che fare, e scelta forse per quel caratteristico cappello a tronco di cono rovesciato sul quale, insieme alla gran barba e ai capelli lunghi, si contava forse per attirar l'attenzione, e probabilmente anche per quella camicia il cui colore, casualmente coincidendo con quello della bandiera sovietica, era sembrato efficacemente propagandistico. Povero eroe dei due mondi, povero cavaliere dell'ideale, che tutta la vita ha dedicato alla difesa della libertà, e un bel giorno lo strappano al riposo di Caprera e lo mostrano a quella parte di italiani poco o punto memori di lui, come l'alleato di Stalin, l'alleato di Gottwald, il compagno degli impiccatori di Petkov e quasi gli danno in moglie, al posto di Anita, quell'Anna Pauker ch'è rimasta libera avendo ucciso il marito. Questo e non altro è, per la nuova generazione, quel generale Garibaldi alle cui gesta, noi, ragazzi chini sugli ingenui testi di storia dei primi anni di ginnasio, ci commovemmo ed esaltammo. Ed oggi, perché anche i nostri figli alla lettura di quelle gesta si commuovano e si esaltino, perché i nostri figli non rechino più alla nostra giovinezza l'offesa di credere un brigante o un delinquente quegli che fu l'eroe d'una storia per noi meravigliosa e gentile come una favola, proponiamo che il prossimo due di giugno, ch'è l'anniversario della morte di Garibaldi, una scelta rappresentanza di italiani di tutte le regioni si rechi in pellegrinaggio a Caprera per riconsacrare, in devoto raccoglimento intorno a quella tomba, e con un nobile discorso pronunciato non più da un Sem Benelli ma da chi ne sia degno, la sconsacrata memoria di un grande personaggio della nostra storia, il cui ricordo, ora che l'Italia ha ritrovato la via della libertà, abbiamo il dovere di restituire purificato ai nostri figli".

Tra i fumetti di punta del Pioniere pre-Unità (ricordiamo Pif, Placido e Muso, Cipollino, etc.) sicuramente il più noto (anche oltre i confini nazionali) è Chiodino, opera dello scrittore Marcello Argilli (per i testi) e del pittore fiorentino Vinicio Berti (per i disegni). Chiodino è la trasposizione in chiave progressista della fiaba di Collodi: come Pinocchio anche Chiodino è un ragazzo che non è fatto di carne. Costruito in robusto ferro dallo scienziato Pilucca lo troviamo insieme alla sorella Perlina ad arginare i mali del mondo occidentale: condizioni di lavoro disumane, mancanza di alloggi, miseria, razzismo, schiavismo, colonialismo, sfruttamento e così via. Verso la metà degli anni Cinquanta il Pioniere può far conto anche su due supplementi: l'Albo Cipollino (con Arlecchino & Pulcinella e Cipollino) e l'Albo Gabbiano Rosso (con l'omonimo personaggio di Onesti).

Interessante notare come fin dall'inizio il Pioniere avesse come linea strategica editoriale primaria quella di offrire una sponda laica al cattolico Vittorioso. Anche il fatto di uscire la domenica assumeva un significato simbolico oltre che di strategia di mercato: il Vittorioso veniva acquistato anche dalle rastrelliere della stampa "buona" installate nelle chiese nei pressi dell'entrata o vicino alle acquasantiere; il Pioniere, come ricorda anche Franco Fossati nel suo Fumetto (Mondadori, 1992), "era diffuso attraverso le Case del Popolo e le cellule di partito più che dai giornalai". Non è difficile immaginarsi un paesino di provincia, dove il beghino acquista il Vittorioso in chiesa dopo la messa della domenica mattina e il comunista compra il Pioniere dopo aver bevuto un caffè nella locale Casa del Popolo.

Pioniere contro Vittorioso, dunque. Il tramonto degli anni Quaranta è infatti testimone di un enorme attrito fra le forze sociali, politiche e religiose che fanno riferimento al Vaticano e il PCI: siamo lontanissimi dai tentativi di "compromesso storico" e dall'esperienza cattocomunista. Nel 1948 il Fronte Democratico Popolare dei social-comunisti, la Democrazia Cristiana e altri partiti si scontrarono nelle importanti elezioni primaverili che avrebbero deciso il futuro dell'Italia: o con il blocco occidentale o sotto l'Unione Sovietica. All'indomani dei risultati, che sancirono la vittoria delle forze liberali, sulla stampa anticomunista si ironizza sulla delusione degli sconfitti. Guareschi sul Candido del 25 aprile è ancora una volta la penna più acuta: "Piove e la carta straccia dei manifesti ellettorali naviga nelle pozzanghere che il 'soffio di poesia' del sindaco Greppi ha gelosamente conservate alla grande Milano assieme alla Galleria scoperchiata. Oggi è venerdì e si sa tutto, sulle elezioni. Si sa perfino, e lo ha detto l'ex Migliore, che gli americani avevano minacciato di lanciare bombe atomiche sulle regioni italiane che avessero votato per il Fro-de. (L'Emilia è salva per miracolo). (…) Piove a Milano e la piazza davanti all'Unità è stata abbandonata anche dai frontagni più tenaci. Ma ancora uno resiste appoggiato al palo di cemento della bandiera, col bavero alzato, stretto nel pastrano fradicio aspetta ancora che l'altoparlante dell'Unità improvvisamente dia la notizia che il Fronte ha vinto. (…) Il mondo pazzo del dopoguerra sta finendo. Rimangono ancora i mitra nascosti, ma salteranno fuori. Il tempo dei pistoleros è finito: il 18 aprile è finita l'Italia provvisoria."

In quello stesso anno, il 14 luglio, Antonio Pallante spara a Palmiro Togliatti. Potrebbe essere l'ora della riscossa per i perdenti ed ecco come il tragico momento viene raccontato nel Diario d'Italia della De Agostini (1994): "Si assiste ovunque all'organizzarsi di manifestazioni popolari. le camere del lavoro, soprattutto dell'Italia settentrionale, proclamano lo sciopero generale. Alcune fabbriche sono occupate dagli operai. Gruppi di ex partigiani imbracciano le armi e presidiano punti strategici ed edifici pubblici. In molte località si registrano gravi scontri tra dimostranti e forze dell'ordine. (…) Umberto Terracini presenta una mozione di sfiducia nei confronti del governo, indicato come responsabile politico e morale dell'attentato." Come mai non scoppiò una seconda guerra civile? Nel gennaio del 1998 lo studioso e giornalista Eugenio Corti, commentando l'uscita in Francia del Livre Noir du Communisme (un saggio sui crimini commessi dalle dittature socialcomuniste in tutto il mondo, dal 1917 a oggi), dopo aver snocciolato mattanze di milioni di morti (in URSS, Cina, Cambogia, Corea del Nord, Vietnam, Europa dell'Est, Africa, Afghanistan), riflette: "Si sente talora affermare che i comunisti italiani non erano al corrente di questi massacri e non li sospettavano neppure. E' un'affermazione del tutto insostenibile se si pensa che negli anni intorno al 1937 su 300 comunisti italiani rifugiatisi in Russia per sottrarsi al fascismo, la polizia di Stalin ne ha eliminati ben 200. (Ai rifugiati comunisti di altre nazionalità andò anche peggio: i polacchi per esempio furono annientati quasi tutti, e anche Togliatti fu, suo malgrado, per la posizione che occupava nel Comintern, costretto a collaborare a questo sterminio). Secondo lo scrivente fu precisamente l'esperienza di tali folli eccidi a determinare poi Togliatti, una volta tornato in Italia nel 1944, a non scatenare anche da noi la rivoluzione." E può darsi che il proposito fosse ancora vivo quattro anni dopo: fu infatti lo stesso capo del PCI a calmare gli animi più bollenti fra i dirigenti, gli iscritti e i simpatizzanti del partito, impedendo guai gravissimi.

Nel 1949 viene affisso nelle Chiese un Avviso Sacro, direttamente ispirato dalla Santa Sede: "Fa Peccato Mortale e non può essere assolto chi è iscritto al Partito Comunista; chi ne fa propaganda in qualsiasi modo; chi vota per esso e per i suoi candidati; chi scrive, legge o diffonde la stampa comunista; chi rimane nelle organizzazioni comuniste (Camera del Lavoro, Federterra, Fronte della Gioventù, CGIL, UDI, API, ecc.). E' Scomunicato e Apostata chi, iscritto al partito Comunista, ne accetta la dottrina atea e anticristiana; chi la difende e chi la diffonde. Queste sanzioni sono estese anche a quei partiti che fanno causa comune con il comunismo. Chi, in confessione, tace tali colpe fa sacrilegio: può essere assolto chi, sinceramente pentito, rinuncia alle sue false posizioni. Il Signore illumini e richiami tutti i fedeli alla difesa della Fede e all'unità della Chiesa, essendo in pericolo la loro eterna salvezza." E l'API citata nel bando ecclesiastico è proprio l'API del Pioniere. (I toni caricati del manifesto oggi fanno sorridere, ma in quegli anni la retorica paternalistica era un vizio piuttosto generalizzato. Alla vigilia delle elezioni del 1948 l'Avanti, sfoggiando il caratteristico stellone con Garibaldi, scrive in prima pagina: "Oggi si vince. Compagni, spiegate al vento le vostre bandiere, levate alti i vostri canti di vittoria, accendete i vostri fuochi di gioia. L'alba di un nuovo giorno sta per spuntare"). Altra fonte di contrasti fu l'entrata dell'Italia nella NATO nel 1949.

Anche gli anni Cinquanta vedono sprizzar scintille tra rossi e bianchi. Il 2 luglio del 1950 De Gasperi denuncia il pericolo di una "quinta colonna" comunista che opererebbe in Italia perseguendo interessi sovietici; per tutta risposta Bruno Pontecorvo, uno dei "ragazzi di Via Panisperna", fugge in URSS, dove contribuirà alla costruzione della bomba all'idrogeno. Nel 1952 Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, tenta invano di creare una prima coalizione politica di centrodestra, aprendo a MSI e monarchici, per ostacolare nelle amministrative romane la sinistra, riunitasi nel Blocco del Popolo; nel giugno dello stesso anno la corrispondente della Pravda a Roma, Olha Cecetkina, viene espulsa dal Paese per aver scritto falsità sulla situazione italiana. Nel 1953 muore Stalin e il 9 marzo i lavoratori aderenti alla CGIL si astengono dal lavoro per venti minuti; è l'anno degli scontri parlamentari tra governativi e opposizione socialcomunista sulla cosiddetta "legge truffa", che avrebbe dovuto introdurre un primo accenno di maggioritario nel sistema elettorale italiano; è l'anno del dibattito su Trieste, che spacca in due la sinistra. Ed è in quest'anno che si gettano le basi per la corruzione politica, per la lottizzazione e per tutto ciò che esploderà quaranta anni dopo con Tangentopoli: nasce l'ENI di Enrico Mattei. Un altro forte centro di potere viene fondato nel 1954, il 3 gennaio: la RAI inizia a trasmettere.

Qualcosa comincia a rompersi nell'accordo tacito tra maggioranza silenziosa e potere: Giovannino Guareschi, uno dei maggiori artefici della vittoria contro il Fronto, viene processato, condannato e arrestato in seguito a una querela per diffamazione presentata da Alcide De Gasperi (riguardo al bombardamento alleato delle città italiane), che muore in agosto. Nel 1956 si tiene a Mosca il XX congresso del PCUS dove Krusciov denuncia i crimini di Stalin e il "culto della personalità"; nello stesso anno l'Armata Rossa reprime il tentativo ungherese di rivoluzione liberale. Togliatti è incerto sul da farsi: il conservatorismo stalinista del PCI di allora e l'approvazione dell'invasione dell'Ungheria (l'Unità vede la rivolta contro la dittatura un "putsch controrivoluzionario") provocheranno disordini e proteste anche all'interno della stessa sinistra, che perderà numerosi intellettuali. Ancora nel 1957 resiste il veto ecclesiastico nei confronti dei partiti di sinistra: l'Osservatore Romano è contrario a ogni tentativo di apertura verso il PSI, di ispirazione classista e marxista. Con il 1960 e il IX congresso del PCI, si avvia una nuova era di distensione: i comunisti italiani rinunceranno i parte alle loro posizioni ciecamente filosovietiche e si concentreranno soprattutto sui problemi interni (scuola, occupazione, regioni, nazionalizzazioni, etc.)


Ospite dell'Unità


Dopo una breve sospensione delle pubblicazioni, il vecchio periodico dell'API muore come rivista autonoma, e rinasce il 13 giugno 1963 trasfigurato nel Pioniere dell'Unità, inserto per ragazzi del quotidiano comunista, organo di partito fondato da Antonio Gramsci, continuando ad apparire tutti i giovedì fino al n° 49 del 29 dicembre 1966 (anno IV): in quello stesso periodo scompare l'altra famosa testata per giovani, quella del versante "religioso" e "bianco", Il Vittorioso, ed è già in fin di vita Il Giorno dei Ragazzi, supplemento laico a fumetti del quotidiano dell'ENI. E' il tramonto di un'era, si chiude l'epoca del tentativo di inquadramento minorile in quello o in quell'altro schieramento politico-sociale attraverso il didascalismo e il paternalismo a fumetti.

Gli anni del Pioniere dell'Unità vedono un susseguirsi di aperture reciproche fra Occidente ed Est socialista; anche i toni delle polemiche si fanno meno aspri. Nel 1963 un momento di distensione fra i due blocchi è rappresentato dall'incontro fra Giovanni XXIII e Rada e Aleksej Adzubej, questi ultimi due figlia e genero (oltre che direttore delle Izvestia) di Nikita Krusciov; il Papa contribuisce al dialogo fra i popoli con l'Enciclica Pacem in Terris, promulgata due mesi prima di morire. Nell'agosto dello stesso anno, a Mosca, l'Italia e altri trentuno paesi firmano il patto di "non proliferazione delle armi atomiche, promosso da USA, URSS e Gran Bretagna. Padre Ernesto Balducci degli Scolopi si avvicina a certe tesi della sinistra, scrivendo a favore della obiezione di coscienza al servizio militare. La morte di Palmiro Togliatti, avvenuta a Yalta il 21 agosto del 1964, scuote la sinistra italiana: gli succede Luigi Longo alla segreteria del partito. Nel 1965 la proposta di Amendola di riunificare PCI e PSI provoca le ire del Kommunist, rivista del PCUS; in quello stesso, in ottobre, il Partito Comunista scoprirà le "correnti" al suo interno, che diventeranno ben evudenti l'anno successivo, in occasione dell'XI congresso. Con gli Oscar della Mondadori inizia l'era della lettura a basso costo e alla portata di tutti. La contestazione studentesca, che scoppierà due anni dopo, comincia a farsi sentire in Italia nel 1966 con La Zanzara, il giornalino del Liceo Parini di Milano, che pubblica un'inchiesta sul comportamento sessuale degli scolari. In quell'anno la FIAT di Gianni Agnelli firma un accordo con l'URSS per la costruzione a Togliattigrad di uno stabilimento automobilistico: la cortina si incrina anche dal punto di vista commerciale. In ottobre Paolo VI rivolge un appello pubblico per la pace nel mondo, a partire dal Vietnam.

Vediamo adesso, attraverso l'analisi di alcuni numeri dell'ultima annata del Pioniere (uscita quando il direttore responsabile dell'Unità era Ibio Paolucci), con l'inserto settimanale al suo massimo splendore, di capire come funzionasse il meccanismo di coinvolgimento dei piccoli lettori (con giochi e altri attività) e quali fossero le letture (a fumetti e non) scelte dalla redazione per lo svago del giovane pubblico.


a) Epifania progressista

Sul primo numero dell'anno Dario Fo appare come padrino della Befana dell'Unità 1966 "per i figli dei lavoratori dei cotonifici Valle Susa, chiusi da otto mesi per la vergognosa condotta dei proprietari" e in una lettera ricorda che "ogni anno la redazione dell'Unità di Torino mette in cantiere una befana con i fiocchi: sono quasi duemila pacchi ogni volta. Si sono susseguiti padrini e madrine illustri: Franco parenti, Carla Gravina, Ornella Vanoni, e mia moglie Franca. Stavolta è toccato a me. Ho accettato con entusiasmo, e insieme anche con rabbia perché, se le cose andassero come dovrebbero, se non ci fossero tante ingiustizie sociali, se a tutti fosse dato un lavoro, di befane di questo tipo non ci sarebbe più necessità". Gianni Rodari, nella poesia "Alla Befana", rimprovera la vecchietta per non fermarsi in tutte le case dei bimbi buoni (è sottinteso che si ferma in tutte le case dei bimbi buoni ricchi). Nel "Gioco della Befana" (una sorta di Gioco dell'Oca) cadere sulla casella 35 ("Sei una staffetta del Pioniere") fa avanzare di 8 punti.


b) Scienza al servizio del Popolo

"Il padre dei razzi", nel primo capitolo della "Storia della missilistica", è un russo condannato a morte al tempo degli Zar. "Due parole sulla Luna" è invece un inno all'astronautica sovietica (più volte missili, sonde, moduli lunari e satelliti targati URSS verranno celebrati dal Pioniere, soprattutto a partire dal numero 31 dell'11 agosto 1966, con l'apertura della rubrica "I prodigiosi missili sovietici"). "L'avventurosa storia dell'uomo" celebra la Scienza come una divinità trionfante e dedica grande spazio alla trasformazione artificiale dell'ambiente e dell'uomo; fra i suoi eroi ci sono naturalmente Darwin e gli altri evoluzionisti. Sul n° 40 del 13 ottobre i lettori del Pioniere si lamentano della scuola italiana così com'è; uno di loro, il fiorentino Sergio Rinaldelli, sogna "la scuola della scienza eterna", dove "gli studenti sono automi", e gli insegnanti sono "macchine perfettissime", in un domani dove "tutta la popolazione è ormai potenziata, tutto funziona per automazione, l'uomo che esce da questa scuola ha ragione su tutta la natura e su tutti i mali della sua generazione, è l'uomo del futuro che ha trasformato se stesso e si è reso possibile ogni cosa." La lezioncina è stata imparata alla perfezione.


c) Cattivi maestri e cattivi genitori

Sul n° 1 del 6 gennaio 1966 la rubrica delle lettere ospita lo sfogo di un ragazzino tormentato da una maestra anticomunista la quale sostiene che nei paesi socialisti si lavora anche di notte. Più avanti si invita i lettori a denunciare i genitori cattivi (e ci vengono in mente i piccoli mostri delatori in Cina, in Cambogia, in Vietnam): "Anche le persone più buone del mondo qualche volta sbagliano o per lo meno può sembrare che abbiano sbagliato. Almeno una volta vi sarà accaduto di ritenere che vostro padre o vostra madre abbiano avuto torto nei vostri riguardi. Appunto questo dovete raccontare, di Quella volta che ha avuto torto… Dovete cioè descrivere brevemente un fatto o una discussione in cui vi è sembrato che il giudizio o l'atteggiamento dei vari genitori (o di uno di essi) quella volta non era giusto e che perciò vi ha fatto soffrire. Parlatene sinceramente. Questo non significa mancare di rispetto a vostro padre o a vostra madre, ma solo dire la verità, ciò che sentite, che pensate onestamente. La verità, infatti, non è mai offensiva. Anzi, si dice soprattutto tra coloro che si vogliono bene, e a nessuno si vuole bene come al proprio papà e alla propria mamma." Il ritornello della "verità" era spesso ripetuto sulle pagine del Pioniere, era quasi una "fissa" dei redattori. Forse avevano in mente la Pravda, ma forse non conoscevano la barzelletta che già allora circolava in URSS: "Ci sono poche Izvestia nella Pravda e poca Pravda nelle Izvestia". Pravda e Izvestia erano i due giornali più importanti dell'Unione Sovietica e i loro nomi significavano, rispettivamente, Verità e Notizie.


d) Vacanze spartane e impegnate

Le vacanze dei piccoli Pionieri devono essere sempre "proletarie" e all'insegna del risparmio e della collettivizzazione (preferibilmente inquadrati in villaggi, colonie e campeggi d'oltrecortina senza i genitori). Spesso si incoraggiano i ragazzi a lunghe gite in bicicletta per tutta la Penisola; sul n° 35 dell'8 settembre 1966 ecco il resoconto del Pioniere Stefano Cingoli di un viaggio in roulotte da Roma a Mosca attraverso i Paesi socialisti. La raccolta dei bollini del Pioniere permette di partecipare a un concorso a premi con bellissimi regali (un libro di Togliatti, un modellino dello Sputnik…), tra cui "un soggiorno gratuito per circa 15 giorni in uno dei bellissimi campeggi per Pionieri organizzati nei Paesi socialisti, valevole per due persone". Un caro amico, sceneggiatore professionista, ci ha parlato più volte (e ne ha tratto anche un bellissimo "reportage della memoria" per una pubblicazione locale toscana) di una sua disavventura giovanile in uno di questi "campeggi" in Cecoslovacchia, un'esperienza paramilitare allucinante; ma Paolo Graldi, sul n° 37 del 22 settembre 1966, autore di "Vacanze sul fiume - L'avventura di 19 pionieri, in viaggio con tende e barche" nello stessa nazione è di diverso avviso edipinge un quadretto idilliaco: chi ha ragione? Un altro concorso, pubblicato sul n° 24 del 16 giugno, permette di vincere un soggiorno nel villaggio turistico dell'ARCI se si indovina cosa significa la "misteriosa" sigla.


d) Pionieri nel mondo

La colonnina "Corrispondenza" apparsa sul n° 5 del 2 febbraio 1966 è indicativa di una certa tendenza mentale al classismo, sconfinante spesso nel razzismo: i piccoli Pionieri italiani sono incitati a scrivere "ai ragazzi negri" negli Stati Uniti (perché solo ai ragazzi negri? e gli ispanici? gli ebrei? gli asiatici? gli irlandesi? quelli di origine italiana?) e "ai ragazzi sovietici", inviando loro "cartoline illustrate, libri sull'Italia, distintivi, francobolli italiani, immagini di personaggi della nostra storia: eroi del risorgimento, partigiani, scienziati" (e perché non imperatori romani, Papi, Re e condottieri? Non è storia d'Italia anche quella?). Sul n° 28 del 21 luglio 1966 appare un resoconto, corredato di tristi foto, sul "festival artistico dei Pionieri coreani", dove i bambini si esibiscono in "vari numeri di danza, canto e arte varia che riflettevano la vita felice dei Pionieri della Repubblica popolare coreana"; diversi numeri dopo ecco i Pionieri di Torino che cercano di imitare lo squallore dei teatrini dei loro omologhi asiatici. L'America esce fuori con le ossa rotte dalle pagine del Pioniere: stragi di indiani, vietnamiti e neri; nei Paesi socialisti trionfa la gioventù, la gioia, la pace, la verità, l'uguaglianza, la scienza al servizio dell'uomo.


e) Il Vietnam

Nell'angolo della posta numerose sono le lettere che invocano la pace in Vietnam (alle quali si offre una risposta collettiva con l'articolo "Perché si combatte in Vietnam" di Emilio Amadè, dove "combattente vietnamita" e "partigiano" sono sinonimi) e anche Atomino, la mascotte del giornale, sfoggia a più riprese cartelli "vietnamiti". Sul n° 12 del 24 marzo 1966 vengono premiate "Le dieci migliori poesie" e la prima fra le prime è "Un partigiano è morto" della romana Nicoletta Tiliacos: "Un partigiano è morto / sulla terra vietnamita. / Il suo pugno chiuso / sembra stringere ancora / l'ultimo istante di vita. / Sul petto, un rivolo di sangue, / rosso come la sua bandiera. / Il crudele nemico / ha stroncato la sua giovinezza. / Era solo un ragazzo, / Il suo cuore era aperto al mondo, / ma ha conosciuto fino in fondo / sacrifici, fatica e dolore. / Li ha conosciuti troppo presto. / Ai nostri occhi non sei più un ragazzo, / ora sei un uomo, un partigiano. / Il tuo sacrificio non sarà vano."


f) Atomino e gli altri fumetti del Pioniere dell'Unità

Atomino, che solitamente chiude il fascicolo in quarta di copertina è di sicuro il momento più rilassante e interessante del periodico: l'ultima annata del Pioniere si apre con la quinta puntata di "Atomino contro Brutik"; sul n° 22 del 3 giugno inizia "Atomino e il caro micino" che quindici giorni dopo raddoppia occupando anche la prima pagina in sostituzione del western progressista "L'ultima marcia" (un "cineromanzo a fumetti" ambientato nel Far-West dove i bianchi sono aguzzini in stile ufficiali delle SS e gli indiani sono sottoproletari sfruttati che rubano per non morire di fame; in tandem col fumetto, un box a pagina tre approfondisce storicamente la nascita illegittima degli Stati Uniti nel sangue di bisonti e pellerossa): con il numero 22 il Pioniere dedica molto più spazio al fumetto, sforbiciando la parte scritta, piuttosto pedante e politicizzata. A partire dal n° 26 del 30 giugno il fumetto di Atomino sarà affiancato da "I naufraghi dello spazio", avventura fantascientifica ambientata nel 2066.

"Atomino Show", dedicato alla musica pop e beat, che tante discussioni aveva suscitato fra i lettori (un articolo sulla trasmissione musicale Bandiera Gialla, apparso sul n° 13 del 31 marzo, scatena un dibattito tra i Pionieri sulla musica beat, fra chi sostiene che i "capelloni" sono dei falsi rivoluzionari, che contestano ma si riempiono le tasche di dollari o diventano Baronetti della Regina, e chi invece fa distinzione fra beat e beatnik e odia i Beatles perché sono ricchi ma allo stesso tempo li adora perché le loro canzoni sono belle), parte con il n° 30 del 4 agosto 1966 (c'è anche una storia autoconclusiva, "L'incontro fantastico" e un'altra, "Hanno rapito un bambino", compare sul n° 36 del 15 settembre) e cede momentaneamente gli onori della prima pagina col n° 33 del 25 agosto 1966 (prima puntata di "Ladri di mari", nuova avventura dei Pionieri dello Spazio, Maud, Rodion, Tsinlu e Tangha). Il n° 38 del 29 settembre ospita di Atomino soltanto un disegno gigante a pagina 8: in compenso ecco una storia completa, "Il samurai senza armatura".

Il personaggio di Berti ritorna, dopo una pausa di una settimana (per lasciare spazio a "Destinazione infinito", seguita, a partire dal n° 44 del 17 novembre, dalla "Strana fine del capitano Jork"), sul n° 40 del 13 ottobre, con "Atomino sul Pianeta Rosa", ultima avventura sul Pioniere dell'Unità. Quella del Pianeta Rosa è la storia di Atomino che più risente dell'ambiente ideologico che ne ospitava le avventure: il mondo visitato da Atomino e Smeraldina è dominato dal consumismo più sfrenato e da un Potere che impone alla gente di comprare le cose più inutili, di cambiar moda ogni giorno, di andare a casa e di dormire in ore preordinate; le letture di quel popolo alieno, solo all'apparenza felice, sono di pura evasione e del tutto inconsistenti; i fumetti hanno titoli inequivocabili (Il Satanico, Sadicone, Criminalik), chiarei parodie dei "neri" degli anni Sessanta (Satanik, Kriminal, Diabolik, Sadik: evidentemente il moralismo bigotto non fioriva soltanto in ambienti cattolici…); al cinema vengono proiettati solo film d'avventura e musical, dai titoli idioti e dalle trame leggere. Il Pianeta Rosa sembra l'Occidente corrotto e decadente descritto dalla Pravda dei bei tempi andati. Eppure su quel mondo lontano la scienza e l'automatismo, tanto glorificati nelle pagine interne del Pioniere, sono applicati alla massima potenza. Contraddizione o mancanza di idee chiare? "Atomino sul Pianeta Rosa" termina con la creazione di una "normale utopia": ai cinema tradizionali (che quasi nessuno frequenta più) si affiancano nuove sale dove si presentano solo intellettuali film d'arte; le edicole chiudono e aprono le librerie; a scuola i ragazzi cominciano a chiedersi il perché delle cose.

Se per l'antico Pioniere il primo della classe a fumetti era stato Chiodino, per il Pioniere dell'Unità sono dunque ancora le firme di Vinicio Berti (disegni) e Marcello Argilli a venire alla ribalta, stavolta con il personaggio di Atomino, che vive le sue avventure insieme a Smeraldina. Chiodino, fatto di ferro, era il campione ideale dell'idea progressista degli Anni Cinquanta: macchine gigantesche, ingranaggi, fucine, possenti dinamo, treni sbuffanti, in un fumoso panorama da realismo socialista. Atomino, figlio della fissione nucleare, nato da un cervello elettronico e figlio putativo di Zaccaria, ci porta per mano nell'epoca della guerra fredda e nelle fornaci di un nuovo tipo di energia, usata a fin di bene (il nemico Brutik vorrebbe sfruttare Atomino per farne bombe devastanti), in un mondo dove le decisioni più importanti sono prese dall'Accademia degli Scienziati.


g) Addio alle armi

Sulla prima pagina dell'ultimo numero del Pioniere campeggia un "Buon anno! Con gli auguri del Pioniere un arrivederci a presto". Il saluto di commiato pubblicato a pagina 3 è sintesi e paradigma della ingenua retorica del Pioniere, dell'ideologia che muoveva i suoi autori e del modo di porsi della sua redazione nei confronti del giovane pubblico: "Care lettrici, cari lettori, questo che avete in mano è l'ultimo numero del Pioniere dell'Unità. Da giovedì prossimo non troverete più tra le pagine dell'Unità il vostro giornalino. Ma questo non significa che il Pioniere scompare, che voi non avrete più una pubblicazione intitolata a questo nome bellissimo, tanto caro a migliaia e migliaia di ragazzi di ieri e di oggi. Come molti ricordano, il Pioniere è infatti uscito per molti anni come rivista settimanale, e poi, dal 13 giugno 1963, come supplemento dell'Unità. Ora, per molti complessi motivi che hanno origine dalla situazione generale della stampa adulta, siamo costretti con dispiacere a sospendere questa forma di pubblicazione del Pioniere. Anche voi vedevate benissimo i limiti del giornalino, così piccolo, con poche pagine, un solo colore. Quante lettere abbiamo ricevuto che sollecitavano ad aumentare le pagine. Otto paginette non vi bastavano, ne volevate di più, e questa era una grande prova di affetto e di stima, dimostrava quanto il Pioniere vi era caro, quanto lo sentivate vostro, diverso da tutti gli altri giornalini per ragazzi che affollano le edicole. E diverso lo era davvero: il solo giornalino che vi trattasse alla pari, da ragazzi che possono e debbono capire il mondo nel quale vivono, le cose belle e anche quelle brutte che vi accadono. Un giornalino che non vi considerava dei bambini da divertire e far sorridere, ma ragazzi che hanno bisogno dell'alimento più sano per crescere forti: la verità. E il Pioniere dell'Unità non poteva non essere diverso da tutte le altre pubblicazioni per ragazzi, essendo parte del più glorioso quotidiano d'Italia, l'Unità, il giornale dei lavoratori, dei vostri genitori, degli italiani che lottano per la democrazia, il socialismo, il progresso del nostro paese. Nessun altro giornalino, anche il più ricco di pagine e di colore, ha mai potuto vantare un pubblico come voi, lettori del Pioniere. Un pubblico di ragazzi e ragazze in gamba, seri, attenti e anche esigenti, che non legge per passatempo, ma per apprendere, per riflettere, per ritrovare sulle pagine del giornalino gli ideali che avete nei vostri cuori, gli ideali dei vostri genitori che lottano per un'Italia migliore. Tutti coloro che hanno lavorato per il Pioniere dell'Unità hanno sentito quanto era bello, entusiasmante scrivere o disegnare per ragazzi come voi: il vostro consenso, il vostro affetto, le migliaia di lettere che ci avete inviato con elogi, consigli preziosi, incoraggiamenti, proposte, sono stati la ricompensa migliore per il nostro lavoro. Il bilancio di tre anni e mezzo di vita del Pioniere dell'Unità è davvero positivo: in primo luogo grazie a voi che avete seguito il giornalino, lo avete diffuso, avete costituito Circoli di Amici del Pioniere e formato in tutta Italia una grande famiglia di ragazzi unita dagli stessi ideali. Da parte sua il Pioniere si è sempre sforzato di parlarvi nella maniera più sincera e moderna. Nelle sue pagine avete trovato un po' di tutto: la prima immagine che spicca è naturalmente quella simpaticissima di Atomino, che, con i disegni magistrali di Vinicio Berti, vi ha invitato a seguirlo nelle sue tante, mirabolanti avventure. L'avventurosa storia dell'uomo, gli articoli sulle ricerche scolastiche, le rubriche Italia 1966 e Alla scoperta del passato, vi hanno fornito tante idee e nozioni per ampliare le vostre conoscenze scientifiche e scolastiche. Ma è impossibile ricordare in poche righe tutti i servizi che hanno suscitato l'interesse dei lettori: dal romanzo di Gianni Rodari, Viva la Saponia, ai fumetti, alle novelle, ai servizi sui paesi stranieri, sui Pionieri di altre nazioni, alle fiabe, ai servizi scientifici. Chi ha conservato le collezioni del Pioniere dell'Unità si accorgerà, a sfogliarle, quale ricco patrimonio di idee e di informazioni vi è contenuto. Conservatele quelle collezioni: vi saranno utili per gli studi, vi ritroverete tante cose da rileggere proficuamente. La cessazione del Pioniere dell'Unità non significa la fine d'un discorso e d'un'amicizia che durano da tre anni e mezzo; non significa che non ci rivedremo più. Sappiamo che avete bisogno di un giornale come il Pioniere, che vi sia vicino nella più bella avventura che possano vivere dei ragazzi, quella di chi col cuore, con la mente e con le azioni partecipa alla grande lotta per la pace, la democrazia, il progresso, per tutto quello che di bello, giusto, nobile esiste nella vita. Avete cioè bisogno di un giornale che sia la vostra bandiera e il vostro specchio, come sempre è stato il Pioniere: un giornale diverso per ragazzi che sentono orgogliosamente di essere diversi, come lo sono tutti coloro che nella vita vogliono stare all'avanguardia, da attori e non da comparse, pensando e lottando senza rassegnarsi a fantasticare o a trastullarsi oziosamente. Questo giornale nuovo ci sarà, e nel più breve tempo possibile. Avrà una veste migliore, più adeguata ai vostri desideri e alle vostre aspettative: in esso ritroverete tutte le cose migliori che su queste pagine vi hanno entusiasmato in questi tre anni e mezzo. Perciò voi tutti che avete seguito con interesse e affetto il Pioniere dell'Unità, state tranquilli: il nostro non è un addio, ma un a rivederci. In attesa di questo prossimo appuntamento sulle pagine di un nuovo Pioniere, invitiamo tutti i lettori a scriverci, a inviarci pareri, consigli, proposte, perché, come sempre, il Pioniere risponda ai loro desideri e alle loro aspettative. Non separiamoci, quindi, conserviamo il nostro rapporto di confidenza e di reciproca collaborazione: scriveteci al solito indirizzo, e noi, vi risponderemo il giovedì in un angolo dell'Unità, o con lettere private. Ogni vostro suggerimento, ogni vostra proposta ci saranno utilissimi. Da parte nostra vi terremo informati sull'uscita e sulla fisionomia della nuova pubblicazione, che, come il vecchio Pioniere, come il Pioniere dell'Unità, sarà il più bello ed affettuoso legame con i ragazzi più in gamba d'Italia. Ciao, lettrici e lettori: arrivederci presto!"

E sotto la firma "la redazione del Pioniere" un appello rivolto ai Circoli degli Amici: "I Circoli degli Amici del Pioniere, che costituiscono la grande famiglia dei nostri lettori più assidui e organizzati, riceveranno presto comunicazioni più dettagliate. Intanto, in attesa della pubblicazione del nuovo Pioniere, conservino la loro organizzazione, continuino le loro attività. I Circoli di Pionieri che non si sono ancora collegati con i Circoli locali della Federazione Giovanile Comunista, lo facciano: riceveranno indicazioni, consigli, e, dove possibile, un appoggio concreto. A tutti i Circoli rivolgiamo il più vivo elogio del Pioniere per l'attività svolta a sostegno del giornalino, sia propagandandolo, sia diffondendo l'Unità. Continuino in questa opera: sarà il sistema migliore per appoggiare fin d'ora il loro nuovo giornale."

Parte dell'esperienza del Pioniere diventerà patrimonio, per un certo periodo, del periodico Noi Donne (di ispirazione comunista). In anni successivi si avranno ristampe di Atomino, fumetto indubbiamente valido e simpatico. Poi più niente. Il Pionere ha cessato per sempre di esplorare e lontani sono gli anni di Tango, di Cuore e di Atinù…

Il Vittorioso della Sinistra: "Il Pioniere" di Antonio Del Felice(2)


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Nel dopoguerra anche il partito comunista comprende che occorre, data l’importanza non secondaria assunta dal fumetto nell’educazione dei ragazzi (possibili futuri elettori), guardare con attenzione al fenomeno e pensare ad una pubblicazione, un giornalino, di carattere “laico di sinistra“ da contrapporre a quelli esistenti. In concorrenza alle testate storiche del “giornalinismo“ che hanno ripreso le pubblicazioni, in particolare al borghese “il Corriere dei piccoli“, figlio minore del “Corriere della sera“ e ancora di più al cattolico “il Vittorioso“, il rivale per antonomasia, nasce così “il Pioniere“, settimanale che prende il nome dall’organizzazione di tipo “scoutistico” A.P.I. – Associazione Pionieri d’Italia – che ricalca quella esistente in Unione Sovietica.
Il primo numero della nuova pubblicazione appare nelle edicole nell’ottobre 1949 e la sua diffusione avviene prevalentemente attraverso le sezioni del PCI e del PSI, nelle famiglie degli iscritti a quei partiti, così come alla porta delle chiese e negli oratori si può acquistare “il Vittorioso“.
Graficamente il modello, almeno agli inizi, è quello del principale antagonista con in più qualche pagina di storie quadrettate con le rime destinate ai più piccoli; così come l’uno è tenacemente anticomunista e filoccidentale, questo contrappone un certo antiamericanismo e una spiccata simpatia per l’URSS, in particolare per le conquiste spaziali di quel Paese. Principalmente però diffonde gli ideali della Resistenza ed è tenace alfiere dell’antifascismo. In particolare “il Pioniere“ vuole “…avvicinare le nuove generazioni alla storia d’Italia degli ultimi cinquant’anni, vista non attraverso la fumosa retorica nazionalista, ma da un’angolazione popolare, evitando toni pedanti e naturalistici “.
La testata ha un discreto successo (denuncia, a dieci anni dalla fondazione, una diffusione di 28 milioni di copie) e vanta collaboratori illustri, disegnatori come Raul Verdini, Vinicio Berti, Carlo Peroni… scrittori come Italo Calvino, Leonardo Sciascia, Marcello Argilli, Gianni Rodari… Quest’ultimo, in particolare, importante narratore per l’infanzia ed uno dei fondatori del giornale, che diresse per quasi dieci anni, fu uno dei primi intellettuali che cercò di fare accettare il fumetto, guardato con sospetto dai vecchi militanti della sinistra, così come anni prima l’operazione era riuscita con lungimiranza ai cattolici con “il Vittorioso”.
Fu impresa non facile che scatenò la protesta dei benpensanti del partito ed il fumetto, nei primi anni cinquanta, fu al centro di polemiche che coinvolsero lo stesso Togliatti.
Nel 1962 “il Pioniere“ cessa le pubblicazioni per diventare allegato dell’Unità fino al 1966 e successivamente inserto di “Noi Donne“.
I due “giornalini “ rivali scompaiono quindi in pratica assieme.


Storia delle mie storie(3)

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Ho cominciato a scrivere per i bambini nel 1948 a Milano.
Avevo già 28 anni e lavoravo nella redazione dell’Unità. Redattore capo era Fidia Gambetti, e fu lui ad invitarmi a scrivere qualche pezzo allegro, divertente per il giornale della Domenica.
Doveva essere una specie di angolo umoristico. Io feci le mie prove e il risultato, lì per lì, mi parve sconsolante. Le mie storielle sembravano piuttosto adatte ai bambini che agli adulti. O forse erano quel tipo di storie che gli adulti leggono, e ci si divertono, ma per non confessare che le hanno lette volentieri, dicono: - Ma queste sono storie da bambini.
Gambetti e Ulisse decisero che la Domenica il giornale avrebbe pubblicato un angolo per i bambini, curato da me. In quell’angolo pubblicai le prime filastrocche, fatte un po’ per ischerzo . Le filastrocche piacquero. Cominciarono a scrivermi mamme e bambini, per chiedermene delle altre: "Fanne una per il mio papà che è tranviere", "Fanne una per il mio bambino che abita in uno scantinato".
Io facevo queste filastrocche e firmavo "Lino Picco". E per un paio d’anni andai avanti così, senza pensarci troppo. Però quel lavoro mi piaceva sempre di più. Tra l’altro, con la scusa che erano "cose per bambini", potevo farle come mi piacevano, potevo dire quel che avevo in mente nella maniera che più mi piaceva, potevo giocare con la fantasia.
Anche "Vie Nuove" cominciò a pubblicare abbastanza spesso le mie filastrocche. Prima che me ne fossi reso ben conto, ne avevo messe insieme un buon numero. Io non le avevo nemmeno ritagliate dal giornale. Quando nacque a Dina Rinaldi, (con la quale ero passato a dirigere "Il pioniere", di nuova fondazione) l’idea di farne un libretto, dovetti penare un po’ a metterle insieme. Si chiamò "Il libro delle filastrocche" ed ebbe abbastanza fortuna, perché in due anni, tra Roma e Firenze se ne fecero tre edizioni.
Intanto avevo preso sempre più sul serio il mio nuovo lavoro. Non l’avevo scelto, mi era capitato, aveva un po’ buttato per aria i miei programmi: ma giacché mi ci trovavo, valeva la pena di farlo bene, il meglio possibile.
Per "il Pioniere", insieme a Raul Verdini, avevamo inventato certi buffi personaggi, tutto un mondo di frutta e verdura: Cipollino, Pomodoro, il Principe Limone, eccetera. Quei personaggi mi piacevano: mi ricordavano i miei primi anni all’"Unità", quando lavoravo in cronaca, e mi occupavo di questioni alimentari, e ogni giorno facevo il giro dei mercati, guardavo i prezzi, e parlavo con commercianti e massaie, e scoprivo tanti problemi nella borsa della spesa della gente.
Presi un mese di vacanza, trovai ospitalità in casa di un bravo contadino di Gaggio di Piano, presso Modena, che sgombrò una stanza-granaio per mettermi un letto, la sezione del PCI mi prestò la sua macchina da scrivere, e cominciai a scrivere "Le avventure di Cipollino". Fu un mese bellissimo. Le figlie di Armando Malagodi - il contadino che mi ospitava - mi chiamavano la mattina presto: - Su, Gianni, che sei qua per lavorare, mica per dormire! Scrivevo quasi tutto il giorno, in camera, in cortile, o in cucina, con la macchina su una sedia, e intorno sempre un po’ di bambini a guardare quello che facevo. Quando arrivai a pagina cento, la moglie di Armando fece la "crescente" (la chiamano anche "il gnocco fritto"), Armando stappò delle belle bottiglie, insomma, festa per tutti.
Se ero stufo di Cipollino, o non sapevo come andare avanti, cambiavo mano e facevo qualche pezzo di una lunga filastrocca sui personaggi delle carte, che poi si chiamò "Le carte parlanti".
Dopo Cipollino venne "Gelsomino nel paese dei bugiardi", e poi tutti gli altri miei libri. Però debbo raccontare anche l’antefatto. L’antefatto è che prima, prima della guerra, avevo già incontrato il mondo dei bambini molto da vicino, come maestro di scuola. Non sarò stato un buon maestro, ero troppo giovane per esserlo, ma in quegli anni di scuola ho imparato molte cose, ho inventato molte storie (mi divertivo più a inventarle che a leggerle dai libri, quando i bambini volevano una favola); ho trovato anche dei buoni sistemi per inventare storie. Quelle cose poi le avevo quasi dimenticate. Poi, tornando a lavorare per i bambini, mi sono tornate in mente: ho rivissuto la mia esperienza di maestro. Mi sono anche rimesso a studiare, a interessarmi della scuola e dei suoi problemi, dei metodi di insegnamento, eccetera. Ora ho capito che, scrivere per i bambini (specie che i più piccoli, ai quali penso più spesso quando lavoro) è un’altra maniera di fare il maestro. Cerco di non essere un maestro noioso, ecc. ma spero che i bambini imparino qualcosa dalle mie storie e filastrocche. Mi basta che imparino a guardare il mondo con gli occhi ben aperti. Anche ridere è una maniera di imparare. Penso, inoltre, che le mie storie vadano bene anche per i grandi: almeno per i maestri e i genitori, che possono usarle come uno strumento per comunicare con i loro scolari e i figlioli.


L'Archivio di un Pioniere di Marco Fincardi, ricercatore dell'Università Cà Foscari di Venezia.(4)

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Gli archivi spesso nascono con un lavoro di ricerca alle spalle, come nel caso dell'acquisizione del Fondo della famiglia Pagliarini, da parte dell'Istituto Gramsci dell'Emilia Romagna. Fondo archivistico che già dal settembre 2005 è ordinato e inventariato, accessibile a tutti gli studiosi, ogni giorno dal lunedì al venerdì, nella sede di via Galliera a Bologna. All'acquisizione di questo materiale archivistico hanno contribuito alcune ricerche svolte nella nostra regione. C'è un lavoro precedente che ha un proprio percorso di approfondimento e riflessioni sulla storia dell'educazione nel dopoguerra e in particolare su un'associazione come quella fondata da Carlo Pagliarini: associzione che a lungo in Italia è stata un po' un'associazione «maledetta», viste le incredibili persecuzioni che ha dovuto subire. La sua vicenda era stata spesso rimossa, o sussurrata a bassa voce, dagli ex organizzatori ed aderenti, o da caerti accaniti detrattori. Una memoria dell'Associazione Pionieri d'Italia (l'API) è stata la creazione di Carlo Pagliarini, era fino allora vissuta a livello leggendario, talvolta raccontata in modo aneddotico, dopo la sua soppressione alla fine degli anni cinquanta. Se ne parlava, se ne aveva qualche stralcio di racconti, di memorie di ex quadri dell'associazione, da varie parti; ma poi era difficile ricostruire storicamente un percorso di un'esperienza che era stata un grande progetto educativo. Esistono diversi interventi sull'argomento di protagonisti di quadri periferici dell'organizzazione, ma non era mai stata tentata una valutazione storica, anche perché la vicenda dell'associazione si era chiusa presto e in modo traumatico, per una decisione maturata dai vertici della Federazione Giovanile del Partito Comunista, che aveva bloccato l'esperienza quando si è cominciata a profilare la possibilità di una svolta di centro-sinistra, perché l'API era imbarazzante nei rapporti con le gerarchie cattoliche. Il mondo cattolico aveva scritto abbondantemente sull'esperienza dei Pionieri, particolarmente da alcune realtà emiliane, toscane e a Milano, ma il suo nucleo propositivo e solido dell'API, e anche dei suoi accaniti detrattori clericali, era tra le province di Reggio e Bologna. Reggio in particolare era stata la fucina dei quadri che avevano costruito l'API e parallelamente anche l'Associazione dei Falchi Rossi, socialista. I gruppi giovanili di sinistra, nell'immediato dopoguerra avevano fondato l'Associazione giovani esploratori (AGE), che si era radicata molto bene nei diversi centri della provincia, sotto la direzione di Carlo Pagliarini. Da quel successo, diversi giovani dell'ex AGE furono chiamati a dirigere a livello nazionale l'API (gravitante attorno al PCI) e l'AFRI (gravitante sul PSI, in seguito federata all'API). Entrambi i circuiti associativi ebbero così un gruppo promotore reggiano, e i quadri reggiani erano stati i costruttori delle strutture nazionali di queste due esperienze parallele di uno stesso movimento, e negli anni cinquanta quasi convergenti. Come tante altre forme d'aggregazione costituite dalla sinistra italiana (come l'UISP e successivamente l'ARCI), questi circuiti associativi hanno avuto quadri emiliani, che come missionari andavano poi a costruire queste organizzazioni anche in ambito nazionale, o in lontane province periferiche. L'Emilia, più della Romagna, ha fornito a lungo dei quadri intermedi per le varie esperienze associativo-educative promosse in Italia. Nel suo massimo momento di espansione, l'API arrivò (compresa l'AFRI) a raccogliere 150.000 adesioni: molte meno di quelle desiderate da PCI e PSI, ben poche rispetto ai milioni di aspiranti dell'Azione cattolica, ma pur sempre tantissime adesioni, anche nel confronto con analoghi movimenti europei, oppure con lo scoutismo laico, o confessionale nell'Europa mediterranea.
L'API ha avuto però una vita difficilissima, perché circolavano opuscoli che criminalizzavano l'azione di questi giovani nella loro associazione. Innanzitutto dissacrano l'infanzia di don Lorenzo Bedeschi, autore in seguito sensibile al marxismo, e docente universitario di storia; durante la guerra era stato propagandista a seguito dell'esercito inglese, poi, tornato sacerdote, si è impegnato come propagandista dei comitati civici anticomunisti. Michela Marchioro (la prima che ha scritto una tesi di laurea sul giornalino Il Pioniere) ed in seguito io, abbiamo tentato più volte di intervistare il professor Bedeschi su questo opuscolo, ma lui – in modo reticente – si è sempre rifiutato di parlarne, dicendo che era un'inchiesta che gli avevano commissionato. L'opuscolo contiene una pesante sequenza di calunnie contro l'API e i suoi aderenti. Al pari di un altro testo prodotto in quegli anni dal francescano Tommaso Toschi, guida dei Frati volanti, i propagandisti del cardinale Lercaro, che scriveva l'opuscolo (in parte una ricopiatura di quello di Bedeschi, ma in parte con aggiunte originali) "La maschera e il volto. Verità sull'opera antireligiosa del Pci", dove si demonizzano i Pionieri e i loro organizzatori come Carlo Pagliarini. Questi due in particolar modo, assieme ad altri che aggiungevano poco a queste due pubblicazioni, sono opuscoli dove si leggono le cose più truci e turpi, dove si racconta che i comunisti davano le caramelle ai bambini per indottrinarli e istigarli ad ogni nequizia. Vi si raccontano cose terribili che già avevano una tradizione fuori d'Italia (ne riferiscono diversi spunti le opere di Wilhelm Reich, il celebre psicologo teorico della liberazione sessuale, che lavorò per alcuni anni con le organizzazioni austriache, tedesche e danesi della Kinderfreunde). Nel 1929, nell'Austria già in via di fascistizzazione, uscì un opuscolo del francescano Zirill Fischer, sulla Kinderfreunde e sui Falken (Falchi Rossi), dove si spiega come diventeranno tutti dei sifilitici i bambini mandati in queste organizzazioni socialdemocratiche di tipo parascoutistico, fondate da Felix Kanitz e Kurt Loewenstein. Ancora nell'Italia degli anni quaranta e cinquanta saranno queste le immagini demonizzanti evocate sugli scopi dell'API, in questi opuscoli prodotti dal clero emiliano. Vi si danno amene notizie su "olimpiadi della bestemmia", su orge pedofile e corsi con spinte esercitazioni pratiche di educazione sessuale, oppure su bambine portate per le strade delle città emiliane a "sfilare nude" (cioè abbigliate per gli esercizi ginnici, con pantaloncini e magliette a maniche corte, che per il clero dell'epoca erano appunto nudità scandalose). Si va ben più in profondità, dunque, dell'evocazione dei bambini mangiati dai comunisti. Rileggere questi opuscoli è come riprendere tutto l'immaginario della caccia alle streghe di quattro o cinque secoli prima, perché spesso contengono pseudo-notizie su bambini che andrebbero ad asportare le ostie in chiesa, fingendo di fare la comunione, per portarle nella sezione di partito; o bambini che verrebbero incaricati da adulti demoniaci di andare a sputare o orinare su oggetti sacri: esattamente le accuse surreali per cui erano perseguite dagli inquisitori le streghe che venivano bruciate nel '500; mentre le vicende – quando davvero si riferiscono a cose accadute e non prodotte da fantasie paranoidi o da subdole insinuazioni di qualche propagandista – sono in realtà piccoli gesti insofferenti e irriverenti verso il potere dispotico degli adulti: episodi per nulla dissimili da quelli che potremmo leggere nelle "Avventure di Tom Sawier" di Mark Twain o nel "Giornalino di Giamburrasca" di Vamba. Le informazioni falsate in questi opuscoli resero la vita difficilissima non solo a Pagliarini e Rodari, o a pedagogisti loro frequenti collaboratori come a Reggio Loris Malaguzzi o a Bologna Bruno Ciari, ma ai ragazzi e ragazze della FGCI e dell'ARI, e anche alle donne dell'UDI, che si prestavano ad organizzare le associazioni per bambini e ragazzi, e a un certo numero di insegnanti democratici, che n
on si facevano intimorire da campagne persecutorie.
Da qui nascevano le liste di proscrizione dagli spazi pubblici contro due persone indicate in Italia come il diavolo, che non erano tanto Palmiro Togliatti o per i giovani comunisti Enrico Berlinguer, ma semmai Gianni Rodari – direttore e curatore di giornalino di elevato livello qualitativo come "Il Pioniere", oltre che autore della popolarissima storia di Cipollino e di tanti altri racconti apparsi su quelle pagine – e Carlo Pagliarini, come dirigente dell'API. Esiste un decreto del Santo Uffizio che – assieme ai dirigenti dell'organizzazione – scomunicava i genitori che mandassero i loro figli nell'API; e potete immaginare quale potesse essere l'atteggiamento pubblico intollerante, in particolare delle autorità ecclesiastiche periferiche – vescovi e parroci – o del clero in genere, ma anche di molti funzionari di questura e stazioni di carabinieri, verso i Pionieri e i Falchi rossi, di cui il ministro degli Interni Mario Scelba cercava con ogni mezzo di ottenere la soppressione.
Come storici, abbiamo iniziato ad occuparci di queste vicende proprio attratti da questo tipo di persecuzioni. Le vicende più clamorose di intolleranza non riguardano tanto l'Emilia, ma piuttosto il tentativo fatto dalla sinistra a metà degli anni cinquanta di estendere la rete associativa dell'API nel Veneto clericale, dove il movimento operaio aveva una struttura fragilissima. Questo dopo che – dalla fine degli anni quaranta – varie organizzazioni di sinistra per ragazze e ragazzi, poi confluite nell'API di Pagliarini, già si erano in precedena profondamente radicate in Emilia, Romagna e Toscana. Sono stati soprattutto gli studiosi veneti, con diversi articoli negli anni '80, a seguire l'apice delle persecuzioni, con il celebre quanto pazzesco processo di Pozzonuovo, del 1955 (processo a cui è dedicata un'intera busta, nell'archivio di Pagliarini).
Monica Morini citava la Repubblica dei ragazzi sull'Appennino reggiano; teniamo conto che si è trattato di un progetto. La Repubblica dei ragazzi a Ligonchio è stata predisposta logisticamente da brigate di alcune centinaia di operai volontari, che hanno allestito tutte le strutture necessarie, perché l'esperienza si potesse avviare… ma il giorno dell'inaugurazione, su pressione del vescovo Beniamino Socche, il prefetto ha impedito che il campeggio di tutti i pionieri d'Italia si potesse avviare a Ligonchio, "per insufficienza di servizi igienici": un argomento del tutto pretestuoso. Tutti questi scontri con le autorità religiose non vengono mai da quella che poteva essere l'organizzazione parallela rivale, quindi potenzialmente antagonista, dell'Asci degli scout cattolici; ma vengono sempre dal clero e dai dirigenti dell'Azione Cattolica, senza che gli scout si lascino coinvolgere in queste polemiche virulente.
Nella seconda metà degli anni cinquanta, mentre si andava profilando l'ancora lontana prospettiva dei governi di centro-sinistra, la sinistra italiana cedette a questi ricatti e chiuse queste esperienze educative nazionali per i ragazzi (solo nei quartieri di Reggio e Bologna gruppi di Pionieri continuarono a esistere, fino agli anni settanta, non senza strascichi polemici interni al PCI; poi le loro sedi si trasformarono generalmente in circoli ARCI). A indebolire l'API pesò abbastanza anche una polemica interna alla sinistra più ortodossa, ancora fortemente venata di stalinismo, o semplicemente oberata da rigide prevenzioni culturali verso la modernità. La polemica nacque proprio da una figura politica d'origine reggiana, con alle spalle lo stesso Togliatti, che lanciò un pesante attacco all'Api, perché "Il Pioniere" aveva per breve tempo introdotto i fumetti, deprecati dai giornali ortodossi del partito come una forma culturalmente abbassante e violenta di comunicazione corrotta, di importazione americana.
Ma torniamo agli studi degli storici italiani (quasi sempre emiliano-romagnoli) su questi argomenti. Gli archivi dell'Azione Cattolica – già da una ventina d'anni aperti agli studiosi – sono stati attentamente studiati in una tesi di dottorato da Marco Barbanti, dove si sono ricavate moltissime informazioni sull'API, in un'epoca in cui la capillare organizzazione di massa di Luigi Gedda mirava al monopolio sull'educazione e gestione del tempo libero della gioventù, senza badare tanto ai mezzi per ottenere tale controllo confessionale totalizzante. Successivamente, dalla sua tesi di laurea che studiava il giornalino "Il Pioniere", Michela Marchioro ha tratto un articolo per la rivista dell'Istituto Storico della Resistenza di Reggio, "Ricerche storiche RS"; ed è stato questo l'inizio degli studi storici in Emilia. Dopo questo articolo della Marchioro, sulla rivista "L'Almanacco" dell'Istituto Marani è uscito un mio intervento su come i modelli educativi sovietici o tedeschi fossero ricaduti nell'esperienza educativa della sinistra emiliana del dopoguerra. Poi, ancora un numero dell'Almanacco è stato interamente dedicato alle associazioni dei Pionieri e dei Falchi Rossi in Italia, ma ponendo l'attenzione su come i due circuiti associativi giovanili fossero stati promossi proprio da una rete associativa emiliana. In quel fascicolo della rivista è ancora presente un articolo di Michela Marchioro sull'Associazione dell'API. Infine, è uscito questo studio dell'Istituto Gramsci sulle organizzazioni dei Pionieri e Falchi Rossi nel mondo, che copre in parte l'ambito europeo (a parte le importanti esperienze scandinave, che non ci è stato possibile studiare), ma con estensione anche le organizzazioni per l'infanzia della sinistra statunitense e le organizzazioni per l'infanzia in Cina e naturalmente nell'Unione Sovietica.
In questo caso la signora Pistoni, vedova Pagliarini, ci ha inviato un intervento rievocativo della figura di Carlo, che abbiamo inserito a chiusura del volume. Ed è stato questo il contatto che – sviluppando anche i rapporti intensi che c'erano stati all'inizio degli anni Novanta tra l'allora laureanda Michela Marchioro e Carlo Pagliarini stesso – ha permesso all'archivio regionale dell'Istituto Gramsci di acquisire il fondo documentario Pagliarini.
Il fondo consiste in una donazione originaria di ventuno buste, consegnata dalla famiglia. Le buste sono poi state inventariate e riordinate, pur mantenendo rigorosamente l'impostazione che già la famiglia aveva stabilito. Ora l'archivio consta di ventiquattro buste in cui si trovano anche collezioni di periodici di notevole interesse pedagogico già in precedenza disponibili all'Istituto Gramsci, quali la rivista "La Repubblica dei ragazzi", o il giornalino "Esperienze educative"; oppure, Il manuale del pioniere e altri originali manuali di attività ricreative. Ma si trovano comunque utili integrazioni utili a completare le collezioni di questi periodici. Troviamo poi pubblicazioni e scritti sparsi di Pagliarini: scambi di lettere, discorsi per convegni, atti di congressi; e inoltre rassegne stampa, che hanno riguardato la vita dell'Api, poi dell'Arci-Ragazzi. Questi materiali non coprono solo la vita dell'API, ma coprono un arco cronologico che giunge fino ai giorni nostri e non è ancora campo di studio degli storici, e riguarda la storia dell'Arci, o dei Cemea e del Movimento di cooperazione educativa, di varie forme italiane di quello che viene definito attivismo pedagogico. La storia delle strutture educative cresciuta con l'affermarsi dello stato sociale in Italia dagli anni '60 in poi, ancora la conosciamo pochissimo, e questo fondo di documenti è certamente uno dei percorsi che può permetterci di esplorarlo.
 
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Omnia Sunt Communia
view post Posted on 10/8/2010, 16:05




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3 replies since 6/8/2010, 10:10   1427 views
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