| Omnia Sunt Communia |
| | L'Associazione Pionieri d'Italia (1) L'A.P.I, l'Associazione dei Pionieri d'Italia, nasce dopo "La lotta di Liberazione Nazionale", nel 1950 ha un proprio organo di stampa settimanale "Il PIONIERE", un vero giornale per i ragazzi, diverso da tutti gli altri, usciva ogni domenica ed era diretto da Dina Rinaldi, cesserà le pubblicazioni nel maggio del 1962 e, con esso, di lì a pochi anni l'Associazione dei Pionieri cesserà ogni attività: bisogna infatti annotare il periodo che intercorre dalla cessazione della pubblicazione del Pioniere a quella in cui sorse l'Associazione degli Amici del Pioniere dell'Unità (dal 1963 al 1966 il giornale rinacque come "il Pioniere dell'Unità", usciva come inserto gratuito del quotidiano comunista l'Unità ogni giovedì). L'associazione è strutturata in circoli, è possibile però aderire anche individualmente ove non sussistano le condizioni per riunirsi in circoli, riunisce tutti i ragazzi e le bambine d'Italia fino all'età di quindici anni, i Pionieri si distinguono perché portano al collo un fazzoletto rosso ornato dal tricolore nazionale. I Pionieri d'Italia saranno conosciuti oltre la cerchia dell'organizzazione comunista (P.C.I) nel 1951 in occasione dell'alluvione del Polesine. Sorsero infatti le "staffette della solidarietà" organizzate dai Pionieri, che raccolsero denaro e indumenti per gli alluvionati. Da quella prima gara di solidarietà, che accomunò ragazzi e ragazze di ogni città d'Italia, le iniziative di solidarietà si ripeterono nei modi e nelle forme più diverse. Nel 1953 e 1954, quando i lavoratori delle grandi fabbriche scesero in sciopero, i ragazzi dell'A.P.I e i lettori del Pioniere, organizzarono raccolte di viveri in favore degli operai della S. Giorgio di Genova, della Breda di Milano, dei cantieri di Marghera. Poi i Pionieri del nord aprirono una campagna di sottoscrizione in favore dei Pionieri del sud e fu anche grazie a questo se a Napoli, Bari, Taranto, Foggia, Salerno e Palermo sorsero nuovi reparti di Pionieri. Nel 1957, diecimila ragazzi italiani inviarono le loro "cartoline d'amicizia" a James e David, i due ragazzi negri d'America, puniti perché avevano giocato con una bambina bianca; così come l'espressero agli eroici coniugi Rosenberg, ingiustamente condannati alla sedia elettrica. E, ancora, nel 1960, i Pionieri espressero ininterrottamente la loro solidarietà ai ragazzi e ai patrioti algerini. A queste tappe, altre se ne aggiunsero: concorsi su temi dedicati alla pace, al lavoro, alla scienza, manifestazioni in onore del Primo e Secondo Risorgimento; tornei sportivi; feste di fine anno e del ritorno a scuola; la creazione di giornaletti scolastici e di circolo, la creazione delle "staffette del Pioniere" che dettero, sempre, un grande e prezioso contributo alla diffusione del giornale fra gli amici e i compagni di scuola. L'Associazione dei Pionieri assieme al Pioniere è stata una grande conquista, ma genitori ed educatori, pur apprezzandola, non l'hanno pienamente difesa e arricchita di nuovi slanci e coscienti aiuti che avrebbero di certo contribuito a continuare in questa impresa fino ai giorni nostri. L'Associazione dei Pionieri d'Italia e il Pioniere, sono state le uniche organizzazioni che abbiano fatto conoscere e diffuso gli ideali antifascisti e dei lavoratori tra i ragazzi, le sole che abbiano chiamato i ragazzi ad essere partecipi della storia che essi, vivevano, giorno per giorno, con i loro genitori; di essere partecipi delle lotte aspre e generose condotte dalla parte migliore dell'umanità per la pace e la giustizia umana. Essere stato Pioniere è quindi motivo di profondo orgoglio ancor oggi per molti ragazzi di ieri.I prossimi documenti sono lunghetti, quindi metto lo spoiler. Il primo è una ricerca della Dott.ssa Michela Marchioro; il secondo è un articolo sulle associazioni giovanili comuniste, sempre dallo stesso sito; il terzo è un capitolo proveniente da un libro che si commenta da sè ( La maschera e il volto: verità su l'opera antireligiosa del P.C.I.), che pur essendo fazioso ed intriso di retorica cattolica è pur sempre un documento interessante, poichè ci permette di capire le posizioni della DC e del clero nei confronti dell'Associazione Pionieri d'Italia. "Nascita e sviluppo", a cura della Dott.ssa Michela Marchioro (2) La storia dell'esperienza associativa dell'Associazione Pionieri d'Italia (Api), è strettamente legata al contesto storico in cui si sviluppò, gli anni cinquanta. Nel clima particolare di un'Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, che sceglie di essere Repubblica con il referendum del 2 Giugno 1946 e che riprende la sua vita democratica dopo il ventennio fascista, la storia dell'Api si intreccia alla speranza di democrazia e rinnovamento sentita in quel periodo da parte della popolazione. L'Api si può considerare come una sostanziale novità nel panorama educativo per l'infanzia. Il quadro storico-politico in cui si sviluppò è quello di un paese liberatosi dall'occupante nazista e dallo stesso fascismo con l'intervento degli anglo-americani e con la guerra partigiana. Un'Italia in cui le due maggiori forze politiche, la Democrazia Cristiana di De Gasperi e il Partito Comunista Italiano di Togliatti, riproposero il modello internazionale di conflitto tra le grandi potenze: americana e sovietica. Un'Italia in cui la Chiesa cattolica aveva assunto un ruolo preponderante e il confronto politico si delineava come scontro tra un mondo cattolico-democristiano e uno schieramento socialcomunista. Per meglio inquadrare la novità rappresentata dall'Api occorre sottolineare che, dopo il crollo della Gioventù italiana del Littorio e la fine della guerra, la maggior parte delle associazioni e delle iniziative per i ragazzi erano state di matrice cattolica. Immediata fu dunque l'opposizione verso l'intraprendenza della sinistra nel settore giovanile. Il "sistema" creatosi attorno al Partito Comunista fondato sui valori di solidarietà, di democrazia, di uguaglianza, di partecipazione, di pace, di giustizia sociale è il terreno in cui cominciò la storia dei pionieri. È in questo decennio che la politica del partito è finalizzata alla diffusione capillare dei propri valori e ideali e che si assiste al proliferare di "organismi di massa": associazioni di amicizia con l'Urss, circoli sportivi, ricreativi, circoli di teatro, case del popolo, Unione donne italiane (Udi), associazione dei reduci partigiani Anpi. L'Api, pur rientrando idealmente in questo universo di sinistra, costituisce a nostro avviso un caso a parte, sia per essere stata successivamente rimossa dalla memoria ufficiale degli anni cinquanta, dimenticata non solo in quanto rappresentativa di un capitolo particolare della storia sociale, quella dell'infanzia, ma forse anche perché esperienza in cui ravvisare alcuni limiti di tipo organizzativo e pedagogico. Spesso l'Api è stata considerata un'esperienza settaria, una mera occasione d'indottrinamento ideologico, nonostante le sue origini autonome dal partito comunista. L'attribuzione di un carattere spontaneo, di autonomia almeno iniziale dal Pci, riporta alla storia dei primi nuclei originari dell'associazione. Il movimento si sviluppò in primo luogo nelle zone dell'Italia settentrionale e in Toscana, in particolare nelle province emiliane di Reggio e Bologna. Le esperienze di questi primi nuclei costituiranno la base di quell'organizzazione nazionale che si svilupperà lungo un decennio. I primi gruppi avevano nomi diversi: "Piccoli Garibaldini", "Speranze d'Italia", "Giovani Esploratori". Il nucleo promotore dell'associazione nazionale fu quello di Reggio Emilia, con il nome di "Associazione giovani esploratori" (Age), denominazione modificata quando confluì nella nascente Associazione Pionieri d'Italia. Nel '49 dopo una serie di contatti tra i giovani fondatori reggiani e il Partito Comunista Italiano, alcuni esponenti dei nuclei reggiani si recarono a Roma per ufficializzare l'organizzazione nazionale. Segretario dell'Api dalla sua fondazione allo scioglimento nel sessanta fu Carlo Pagliarini, figura che per più di un decennio fu il principale promotore e il portavoce ufficiale della linea dell'associazione. Reggiano di origine, si trasferì giovanissimo a Roma, dopo aver preso parte alla Resistenza. Con lui arrivò a Roma il grande progetto di poter sviluppare ad un livello più ampio ed uniforme un'associazione fino allora caratterizzata dall'attività frammentaria di singoli gruppi locali. Nelle campagne, nelle periferie, attorno alle Case del Popolo, alle cooperative si coinvolgevano i ragazzi, in attività ricreative all'aperto, dopo l'orario della scuola. La vicenda che più li affascinava e li accomunava era l'evocazione di fatti e personaggi leggendari della lotta partigiana, combattuta con durezza in quell'area geografica. Gli ideali, i valori, gli schemi organizzativi erano per alcuni aspetti ripresi (reparti, stormi, staffette) e la lotta partigiana diveniva la principale fonte d'attrazione per i ragazzi. L'attivismo e la volontà di alcuni giovani non aveva quindi atteso l'iniziativa del Pci, si erano organizzati nella provincia autonomamente, fino al contatto con il partito di Roma. Queste prime esperienze associative, inizialmente disgiunte da un preciso disegno pedagogico-politico, diedero avvio alla prima rete associativa per ragazzi costituita dalla sinistra nel secondo dopoguerra, assumendo una rilevante importanza ai fini della comprensione di quello spirito collettivo e di partecipazione che animava i militanti del Pci. È solo dal '49, anno ufficiale della fondazione dell'Api, che il progetto di un'estensione nazionale comincia a svilupparsi concretamente, con la seria intenzione di essere struttura di promozione e coordinamento, servizio educativo-ricreativo per i bambini, figli della classe contadina e operaia. La creazione di un'associazione in cui trasmettere i valori di un'"educazione democratica", contrapposta all'indottrinamento di regime impartito per oltre un ventennio ai giovani italiani, orientata ad un'idea di rinnovamento della società fondata sui valori resistenziali e della democrazia, rientrava in un più generale progetto di rinnovamento della società attuato dai partiti della sinistra. I primi anni dell'Api furono di grande sperimentazione. Ricordiamo che Pagliarini, appoggiato inizialmente in modo non diretto e ufficiale dal Pci, potè sviluppare l'associazione facendo affidamento, proprio a livello locale, sulle attività e la disponibilità delle Case del Popolo, degli attivisti di ogni paese, provincia e città che si riconoscevano nei programmi e nei valori di questa nuova associazione. Le esperienze dei campeggi reggiani tra cui la famosa "Repubblica dei Ragazzi", una sorta di campeggio autogestito che riproduceva il mondo degli adulti, servirono per comprendere immediatamente i limiti di alcuni progetti e per programmare e dunque definire gli obiettivi da raggiungere. Per ottenere una diffusione nazionale e per essere un'associazione di reale supporto per le famiglie italiane, si rendeva necessario pianificare con continuità l'attività dei giovani pionieri, durante tutto l'anno scolastico, e non limitarsi al solo periodo estivo, quello delle escursioni e dei campeggi. Nonostante l'impegno dei volontari, dei genitori e dei dirigenti, nel settore dell'associazionismo giovanile l'Api non riuscì mai ad eguagliare la capillarità della presenza cattolica raccolta intorno alle parrocchie. Il movimento di sinistra non raggiunse mai alti numeri di aderenti. L'associazione fu caratterizzata da un'espansione disomogenea. La consistenza numerica dei pionieri si misura sulla base del tesseramento annuale. Alla fine del novembre 1950 gli iscritti sono 97.330, i Falchi Rossi – la struttura parallela costituita dal Psi - 26.000. Alla fine del '51 si contano 148.000 pionieri e 33.000 falchi rossi. Le tessere diffuse ufficialmente sono circa 150.000 così distribuite: 80.450 nell'Italia settentrionale (l'Emilia è al primo posto con 51.000 tesserati); 21.580 nell'Italia meridionale. Il 1951 è l'anno in cui si registra anche un rafforzamento del gruppo dirigente: funzionari, attivisti e molti giovani iniziano a dedicarsi esclusivamente al lavoro dell'associazione. Anche nel Meridione – a Taranto, Bari, Napoli, Reggio Calabria e Pescara – si registra una partecipazione più attiva. I dati numerici riportati per il 1951 sono desunti dagli Atti del III Consiglio nazionale e risultano però discordanti da quelli riportati in un saggio del 1968 in cui si annota che nel 1950 gli iscritti erano circa 97.075, concentrati per il 50% in una sola regione, l'Emilia; nel '53 circa 70.000 con 400 sezioni. Altre fonti (anticomuniste) attribuivano all'organizzazione 200.000 iscritti con 10.000 gruppi di attività e 3.000 capireparto. Nel 1954 gli iscritti all'Api sono 142.000 e gli iscritti ai Falchi rossi 15.000. L'Api raggiunse una punta massima di circa 150.000 pionieri. Lo stesso Enrico Berlinguer, allora giovane segretario della Fgci, il movimento giovanile del Pci, rilevò l'assenza dell'Api in intere province e regioni d'Italia. L'Api era infatti : "(…) l'organizzazione dei ragazzi emiliani, toscani, dei ragazzi milanesi, torinesi, genovesi e di altre province; ma non è, per esempio, l'organizzazione dei ragazzi meridionali, siciliani, veneti."
L'Organizzazione interna Pagliarini in un incontro che ho avuto con lui nel 1992, affermò che lo sviluppo dei pionieri è stato possibile perché vi era una grande fiducia nel nuovo tipo di attività che si intraprendeva. Fiducia riscontrabile nel rapporto diretto ragazzo-adulto, fiducia che si nutriva dell'energia, della creatività, dello slancio e dell'entusiasmo dei giovanissimi e degli stessi operatori. L'associazione infatti, dopo le primissime esperienze emiliane, si caratterizzò presto come costituita da dirigenti e ragazzi. Si tratta ora di analizzare la sua articolazione interna. Cominciamo dai ragazzi: i pionieri. Base dell'Api è il reparto. L'ammirazione per alcuni aspetti della vita militare, in questo caso la lotta partigiana vissuta negli stessi paesi, ha influenzato l'impostazione strutturale dell'Api, nonostante la sua aspirazione alla pace. Il reparto esercita il suo fascino, ha lo scopo di aggregare i ragazzi che vivono nella stessa località di un comune, può sorgere in un quartiere di città, in una frazione, in un rione. Il reparto è un organismo che cerca l'appoggio delle organizzazioni democratiche esistenti sul territorio. Strutture sindacali locali, Udi, Case del Popolo hanno il compito sociale e politico di seguire nella sua espansione l'Api e quindi di coinvolgere i reparti dei giovani pionieri. I reparti sono distinti per sesso: "l'Api ritiene che le esigenze dei maschi e delle bambine, in relazione alla loro formazione ed alla loro attività, siano tali da esigere una diversa organizzazione, una diversa direzione (maschile per i reparti maschili, femminile per i reparti femminili) e un diverso orientamento di particolari iniziative.". Vi sono però alcune attività che prevedono la collaborazione di bambine e bambini, si tratta delle gite, delle ricerche, delle celebrazioni pubbliche. Gli stessi programmi educativi non sono diversi tra maschi e femmine, cambia sostanzialmente il tipo di attività da svolgere. I reparti possono avere delle unità sottomultiple, soprattutto quando i suoi membri superano il numero di quattordici. Si possono allora organizzare i gruppi per età, e all'interno degli stessi gruppi si possono dividere le attività in modo che ogni pioniere abbia un compito-lavoro specifico in cui applicarsi. "Si badi bene però: non a seconda delle attività di origine, non a seconda della categoria sociale a cui appartengono i ragazzi, dividendo studenti da lavoratori, ragazzi di origine operaia da ragazzi di altri ceti, come si fa nell'Azione Cattolica; bensì a seconda dell'attività particolare che i ragazzi si sono scelta nel reparto." Si avranno così il gruppo dei falegnami e quello della filodrammatica; quello del ricamo e quello della decorazione. Il reparto dunque è distinto, vi aderiscono pionieri maschi o femmine, le attività saranno talvolta distinte in base al sesso, ma ciò non toglie che " (…) il reparto offre occasione alle bambine di dedicarsi a queste attività, mentre insegna loro a non vedere solo questo lato della vita. Perché noi vogliamo che le bambine crescano donne attive e coraggiose, capaci di iniziative, pronte a prendere il loro posto nella società democratica". Altra convinzione dell'Api sull'educazione da impartire alle bambine è "(…) noi dobbiamo portare fra le bambine anche lo sport, le attività all'aria aperta, i giochi, una serie di attività che i tradizionalisti ritengono -sbagliando- che siano riservate ai soli ragazzi." I ragazzi del reparto, attraverso un'elezione democratica da parte dell'assemblea plenaria dei pionieri, si danno un comando, sotto la supervisione naturalmente di un educatore. Si eleggono cinque membri che avranno compiti quali: l'inquadramento, la stampa, il tesoro, lo sport e le attività ricreative. I ragazzi, per lo spirito di competizione che li caratterizza, ambiranno ad avere quelle cariche: è, infatti, un grande onore appartenere al gruppo del comando, non per l'autorità di cui si è investiti, ma per la responsabilità che ci si assume, per l'impegno che si accetta verso gli altri, i quali saranno sempre attenti ad osservare, ed eventualmente criticare, il lavoro svolto dai comandi e non dovranno avere il timore di rivendicare le loro opinioni e il loro pensiero agli altri tesserati. Bisogna pertanto instaurare un sistema di lavoro e di attività che educhi il ragazzo al senso di collettività, al rispetto e al confronto con i propri compagni. Attraverso questo tipo di struttura organizzativa, l'Api aspira ad abituare i giovani fin dai primi momenti della loro vita di gruppo, all'esercizio della democrazia, della critica e dell'autocritica. In questo modo si spera di crescere uomini responsabili verso sé stessi e verso la società. Questo tipo di suddivisione interna riprende per alcuni aspetti quella delle formazioni partigiane durante la lotta di liberazione. Non bisogna dimenticare che gli stessi gruppi e reparti locali dei pionieri scelgono un nome-simbolo (quello di un patriota, di uno scienziato, di un eroe), hanno distintivi, cuciono bandiere, triangolari quelle dei reparti con simboli colorati e un tricolore quella dell'associazione con al centro il distintivo Api e hanno parole d'ordine come "Avanti!" e "Verso la vita". Naturalmente si sottintende avanti per una patria dei lavoratori nella pace e nella libertà, avanti nello studio e nel lavoro per divenire i migliori ed essere di guida a tutti i ragazzi d'Italia, avanti per una forte e grande Associazione Pionieri d'Italia. I pionieri hanno addirittura un saluto dai connotati militari, si tratta di portare la mano destra all'altezza del sopracciglio destro, col pollice alla tempia e le dita unite, e di salutare poi al modo classico gridando "Avanti!". Le dita unite indicherebbero l'unione fraterna dei popoli dei cinque continenti, la mano in avanti indicherebbe la decisione di essere sempre tra i primi e di esempio per gli altri. Insomma, dal reparto alle piccole staffette che diffondono il giornale "Il Pioniere", tutto sembra ricordare le formazioni partigiane, ma ben sappiamo che, nella realtà, i gruppi dei pionieri si riunivano per non stare soli mentre i genitori erano al lavoro, per studiare insieme con l'aiuto di un educatore, per giocare in strada, soprattutto per stare insieme. I giovani dirigenti sono le figure chiave per comprendere il funzionamento dell'associazione. Sono loro, infatti, ad avere un rapporto diretto sia con i bambini sia con le famiglie. Il loro ruolo di educatori li rende esempio e modello per i ragazzi. Ogni parola, ogni azione, ogni gioco svolto con i ragazzi deve essere un momento di educazione. È soprattutto su questo terreno che si misura la responsabilità del dirigente. Il dirigente infatti " (…) deve guadagnarsi la stima dei genitori, degli educatori, dei maestri e di tutta la popolazione, egli deve cioè rendersi degno con la sua condotta e per la sua attitudine di sostenere la responsabilità di educatore che gli è affidata". Poiché l'operatore è un educatore Api, un educatore di tipo nuovo, e dal momento che raramente si tratta di persone che hanno avuto la possibilità di studiare o che comunque hanno conoscenze di tipo pedagogico limitate, compito dei dirigenti è impegnarsi nello studio, acquisire metodi educativi, migliorare le proprie conoscenze personali. Si studierà soprattutto il materiale pubblicato periodicamente dall'Api e quello di pedagogisti quali Lombardo Radice, Dina Bertoni Jovine o un classico della pedagogia sovietica come Makarenko. Chi lavora nell'Api lavora per l'Api, per il successo dell'associazione e per la realizzazione di un grande progetto educativo di formazione dei ragazzi e di crescita della democrazia. Aggiornarsi sarà dunque all'ordine del giorno, partecipare a convegni, ai raduni, ai momenti di incontro e confronto con altri dirigenti, partecipare alle "tre-giorni", corsi rapidi e sintetici per la formazione degli educatori con lezioni teoriche e pratiche: questo sarà il compito di ogni buon educatore e dirigente. Ma chi sceglie i dirigenti? E perché questi si avvicinano al mondo dell'Api? Se il dirigente rappresenta un modello per i ragazzi, deve essere una persona in grado di trasmettere i principi fondanti dell'Api, dunque ideologicamente vicino alle posizioni dell'Api, e nello stesso tempo deve essere una persona in grado di stare con i bambini, di sapersi rapportare a loro. La sua personalità, il suo atteggiamento verso la realtà verranno recepiti dai bambini e dunque "a dirigere un reparto di pionieri deve essere chiamato un elemento che con il suo contegno personale e la sua attività abbia dimostrato di essere degno di educare i ragazzi nello spirito della democrazia, e capace di migliorarsi continuamente." Gli operatori saranno per lo più anche loro giovani, per un miglior rapporto con il ragazzo e perché più facilmente potranno avere tre doti fondamentali: essere animatori, essere entusiasti, essere organizzatori. Il contributo degli adulti però, e in particolare delle donne, non va dimenticato. I compiti saranno diversi: all'organizzazione delle attività pratiche e manuali vi saranno gli adulti e le donne, all'organizzazione dei reparti e delle attività sportive ed escursionistiche i giovani. Abbiamo affermato in precedenza che l'Api non ha avuto un pieno sviluppo nazionale. Non raggiunse soprattutto le dimensioni dei pionieri sovietici o d'altri paesi dell'Est. L'influenza sovietica sul tipo di organizzazione e su alcuni programmi d'intrattenimento è stata rilevante. La differenza essenziale tra i nostri pionieri e quelli sovietici è ravvisabile nell'ufficialità di stato dei secondi. In uno stato-partito i bambini erano tutti pionieri, l'organizzazione per l'infanzia era parallela e collegata a quella scolastica. Obiettivi, programmi di lavoro della scuola e delle attività extrascolastiche erano affini per non dire coincidenti. Al contrario della realtà italiana in cui i pionieri erano simbolo di un "mondo comunista", erano osteggiati dalle forze cattoliche ed erano considerati da alcune forze politiche ai limiti della legalità. La differenza numerica tra i pionieri italiani e quelli sovietici risulta evidente dai seguenti numeri: in Urss si contano 75.000 iscritti nel 1923, 4 milioni nel 1931, e addirittura 7 milioni nel 1936. Negli atti dei convegni dell'associazione italiana si trovano forti e frequenti richiami alla pedagogia sovietica e alle letture consigliate ai dirigenti dell'organizzazione italiana per accrescere le proprie conoscenze e trarre spunto nell'organizzare i pionieri. Le visite ufficiali che periodicamente i dirigenti Api effettuavano in Unione Sovietica furono occasioni per confrontare il modello italiano con quello sovietico, sicuramente idealizzato e inseguito dai tanti giovani che lavoravano all'interno dell'Api. Lo stesso Pagliarini, però, che partecipò a quei soggiorni, ne ricorda la sostanziale differenza. I pionieri dell'Urss, istituiti dal Pcus, erano l'attuazione di un concreto e reale programma di educazione della popolazione, mirato non solo alla costruzione dell'individuo, ma soprattutto al suo indottrinamento ideologico. L'organizzazione dei pionieri sovietici era di stampo statuale, pensata dagli adulti per impartire un'educazione nazionale omogenea per la formazione nazionale e socialista delle giovani generazioni. Se in Urss la gioventù era organizzata su principi e logiche totalitarie, in Italia i pionieri sono nati dopo la caduta di un regime dittatoriale e appartengono alla realtà di un'Italia democratica. La visione che ne hanno i cattolici è ben lontana dalle idee di Pagliarini: "Tra il bagaglio che i comunisti delle diverse nazioni hanno ricevuto dalla Russia ci sta anche l'organizzazione dei pionieri, cambia solo la qualifica della nazione, per il resto anche le virgole sono lasciate al loro posto. Vuol dire che in Italia si chiameranno pionieri d'Italia, in Ungheria pionieri magiari, in Germania pionieri tedeschi. Ed eccovi una grande organizzazione internazionale! Sotto i diversi paralleli la stessa bandiera, lo stesso schieramento, la stessa organizzazione. Domani a un cenno può diventare corpo unico. Tutt'altro che umoristica la realtà." Compito del pioniere italiano è quello di divenire un buon cittadino della democrazia. La formazione di una nuova generazione, non di piccoli militanti politici, quanto piuttosto di ragazzi coscienti e partecipi delle realtà in cui vivono è l'obiettivo. Un buon cittadino della Repubblica che conosca il valore dei concetti di democrazia e di libertà, a questo fine l'Api agisce: "(…) concorrendo così ad inserire la figura del ragazzo moderno in ogni manifestazione della vita sociale, politica e culturale del nostro paese." Scopo degli educatori Api è dunque educare, coinvolgendo i ragazzi in un tipo di attività collettive per abituarli alla convivenza, al confronto con gli altri attraverso il gioco, la gioia dello stare insieme, mantenendo sempre una linea sostanzialmente laica. I valori cui i pionieri sono educati sono quelli della fratellanza, dell'amicizia, della solidarietà, ma non solo. Riportiamo il testo della promessa del pioniere del 1955:
Prometto Di essere leale e rispettare la parola data Di studiare con amore Di aiutare la mia famiglia Di amare il lavoro e i lavoratori Di cercare di diffondere la verità Di amare la mia Patria, la pace, i popoli di tutta la terra Di amare la natura, rispettare gli animali e le piante Di aiutare i bambini, i vecchi, i sofferenti Di superare con coraggio ogni difficoltà Di portare ovunque serenità e gioia
Percezione dell'Api nella società Gli organizzatori si rendono conto ben presto che è necessario entrare in contatto con le famiglie. Proprio perchè l'Api ha un ruolo intermediario tra ragazzo-famiglia-scuola-società. Bisogna ottenerne l'approvazione e la stima, bisogna lavorare verso i genitori che non sono abituati all'idea di affidare i bambini a organizzazioni laiche. L'organizzazione si estenderà se la famiglia accetterà i principi dell'Api. Dina Rinaldi, altra figura di spicco tra gli organizzatori dell'associazione e ideatrice con Gianni Rodari della rivista "Il Pioniere" si pronunciò così durante il IV Consiglio nazionale: "Diremo però che la mancanza di una tradizione democratica di vita collettiva e l'assenza nel nostro paese di serie e laiche istituzioni ricreative e post-scolastiche per ragazzi, fanno sì che la famiglia italiana mantenga un atteggiamento di riserbo e a volte di diffidenza verso quelle forme di vita associativa che non si identificavano con la scuola o con l'oratorio." Alcuni anni dopo, nella fase di maggior espansione dell'organizzazione, la stessa Rinaldi scrive "Constatiamo che da parte di famiglie che sono in modo più o meno legate alle organizzazioni democratiche, vi è indifferenza se non resistenza a mandare i propri figli nell'Api, nei Falchi Rossi, o in istituzioni popolari." Le motivazioni che frenano i genitori nel mandare i bambini con i pionieri sono facilmente intuibili. Prima di tutto un senso comune generalizzato riteneva che l'educazione fosse un compito proprio della Chiesa cattolica o delle singole famiglie. In secondo luogo va ricordato che gli anni del fascismo non erano lontani nella memoria degli italiani. Già il regime di Mussolini si era preoccupato di tesserare i bambini e di impegnarli nel tempo libero; diventava difficile per chi aveva vissuto quei decenni pensare ad una nuova organizzazione che, seppur fondata su principi di libertà, di pace, di democrazia, intendeva ancora una volta occuparsi dei ragazzi, radunarli, avviarli verso altri ideali per la costruzione della patria con una nuova divisa indosso. Non per tutti dunque l'Api, nonostante i valori insegnati ai pionieri fossero gli stessi che animavano lo spirito di tutte le associazioni di sinistra, rappresentava la concretizzazione di un modello di vita vicino ai propri ideali e alle proprie speranze. Tra i valori e gli ideali dei pionieri vi è quello della fratellanza: valore che supera l'appartenenza a qualsiasi associazione. Infatti che i bambini siano tesserati Api o no, non devono esistere barriere soprattutto di tipo ideologico: "Chi tenta di dividere i ragazzi tra di loro, di farne dei precoci nemici, compie opera contraria alle necessità di un'educazione democratica". Il riferimento è indubbiamente ai precedenti fascisti, ma anche ai cattolici. Mentre l'educatore laico e democratico educa alla fratellanza, contro la discriminazione di ceto o di regionalità, con l'obiettivo di una fraternità nazionale all'insegna di una coscienza nazionale unica, l'atteggiamento degli educatori cattolici delle parrocchie o di molti insegnanti della scuola pubblica osteggia i piccoli pionieri. Considerando la posizione dell'Api sulla questione dell'educazione religiosa, bisogna ricordare che né nello statuto ufficiale, né nella promessa del pioniere, né nelle pagine del settimanale per ragazzi "Il Pioniere" è riportato un qualsiasi accenno alla religione. I bambini, di qualunque classe sociale, ricevevano un'educazione di matrice cattolica attraverso la scuola e gli oratori. Con l'Api si ripresenta la possibilità di un'educazione non religiosa. La consapevolezza di una religiosità radicata nella tradizione italiana induceva, qualunque fosse la provenienza dei bambini, a rispettare le scelte delle singole famiglie. I pionieri non ricevono da parte dei propri educatori divieti di avvicinarsi ai sacramenti o l'invito a non professare la fede cattolica. Nonostante si rivendichi il diritto di educare i ragazzi ad una visione di vita fondata non sulla fede cristiana, quanto piuttosto sulla fede nel progresso e nella scienza. Affermiamo allora che l'Api, pur essendo nei suoi principi e ideali un'associazione laica aconfessionale, ha sempre ritenuto di affidare il problema dell'educazione religiosa alla coscienza e alla volontà delle famiglie, senza per questo nascondere la propria posizione laica e condannare la campagna calunniosa avviata dalle forze clericali, e senza negare la possibilità di un eventuale dialogo per trovare una forma educativa in cui far convergere le posizioni degli educatori laici e di quelli cattolici. Il timore di perdere l'assoluta influenza su ragazzi e genitori condusse ad una dura campagna di diffamazione condotta dai cattolici e dalle strutture politiche della Democrazia Cristiana. Si trattava non solo di un problema religioso, quanto più di una questione di natura politica. L'additare all'operato dell'Api l'intento di scristianizzare l'infanzia italiana, creò un ulteriore spaccatura tra il mondo comunista e quello cattolico, che si attenuò solo dopo il 1955, quando cessò il violento bipolarismo implicito alla guerra fredda. Basti citare ad esempio le lettere pastorali datate 4 e 30 Maggio 1950, a cura dei vescovi della regione ecclesiastica flaminia ed emiliana: condanne rigidissime in risposta alla sempre maggiore attività dei pionieri nelle province emiliane e romagnole. Si denuncia l'associazione dei pionieri come il tentativo di pervertire i piccoli, sradicandone dall'anima ogni fede in Dio e svegliarne funesti istinti di sensualità. Ricordiamo anche il Monito del Santo Uffizio del 28 Luglio 1950, che scomunicava anche i collaboratori di associazioni come l'Api. Alle posizioni ecclesiastiche ufficiali seguì la pubblicazione di un libello di Don Lorenzo Bedeschi interamente dedicato all'Api, allora giornalista de "L'Avvenire d'Italia", con l'obiettivo di svelare quella che definisce l'azione nefanda dell'Api. L'opuscolo Dissacrano l'infanzia! I Pionieri d'Italia, pubblicato a Bologna, è il testo più eclatante d'accusa all'Api. Ebbe almeno tre edizioni e fu diffuso in quindicimila copie. Circa dieci anni fa ho intervistato Bedeschi: l'autore ha ricordato l'episodio come un'inchiesta di tipo giornalistico, commissionatagli come tante altre. Secondo Bedeschi quell'episodio va citato solo nel contesto della guerra fredda degli anni cinquanta. D'altronde, per la Chiesa il nemico era il comunismo, un'ideologia destabilizzatrice di equilibri tradizionali. L'Api, nonostante le sue rivendicazioni di fenomeno spontaneo e politicamente autonomo, apparteneva a quella fitta rete di associazioni riconducibili alla politica del Pci. I comunisti erano affascinati dal mito sovietico, i cattolici erano terrorizzati dai "rossi". Forse per Bedeschi anche il grave e noto episodio di Pozzonovo è da ricondurre a quel clima di odio degli anni cinquanta. Pozzonovo, paese della bassa padovana, per molti decenni noto per i moti popolari bracciantili dei suoi abitanti, fu il luogo da cui si originò un vero processo, i cui imputati, militanti e attivisti del Pci, furono chiamati a rispondere dei seguenti capi d'imputazione: associazione a delinquere, atti osceni continuati, spettacoli osceni, atti di libidine violenti continuati, violenza carnale continuata, sequestro di persona continuato aggravato, violenza privata continuata aggravata. Siamo nel cattolicissimo Veneto e le "vittime" sarebbero bambini, quasi tutti figli o nipoti di militanti comunisti. Il processo ebbe un alto valore politico, rappresentò uno dei più estremi tentativi delegittimazione da parte cattolica di tutti i valori e i principi dei partiti di sinistra. Testimoniarono a favore dell'Api alti esponenti della cultura di sinistra, Ada Gobetti e Concetto Marchesi. In un clima di fortissima tensione fu emessa la sentenza assolutoria con formula piena, ma non si prese alcun provvedimento verso quel clero che aveva calunniato fino a quel punto l'Api e i suoi dirigenti, trascinando bambini a testimoniare il falso in tribunale. Per l'Api, il successo fu quello di essere riconosciuta un'organizzazione associativa con scopi e fini rispettosi della legalità e della Costituzione. Il processo di Pozzonovo è la testimonianza concreta dei livelli drammatici di scontro tra Api e mondo cattolico.
Le attività pratiche Le prime attività promosse dall'Api sono quelle che contribuiscono allo sviluppo fisico del ragazzo: lo sport di gruppo, dal calcio alla pallavolo, i giochi sportivi, come la staffetta, i saggi ginnici organizzati periodicamente. L'educazione fisica, e in particolare il saggio ginnico, è per i pionieri un importante momento ludico di gruppo, utilizzato anche per rappresentare alti ideali o a commemorare avvenimenti storici (ad esempio il periodo risorgimentale o la lotta di liberazione). L'Api riprende l'idea del saggio ginnico, che aveva già caratterizzato l'Opera Nazionale Balilla, investendola di nuovi significati simbolici, come manifestazione di pace e libertà. In collaborazione con l'Unione italiana sport popolare (Uisp) si organizzarono le "olimpiadi" dei Piccoli Azzurri, una serie di giochi a cui parteciparono in più occasioni i ragazzi, non solo i pionieri. Oltre lo sport, basilare per la salute, si prevedono tra le attività di gruppo dei pionieri le escursioni in città per visitare monumenti, in campagna per approfondire le conoscenze sul mondo contadino, o nelle fabbriche, per mostrare i luoghi di lavoro dei padri. Le gite culturali, ricreative, esplorative, e nel periodo estivo i grandi campeggi che si diffusero in alternativa alle colonie, occupavano il tempo libero dei pionieri. Sempre con uno stesso obiettivo: dare contenuti a tutte le attività fisiche. L'attenzione rivolta sia al corpo che all'intelletto faceva sì che si organizzassero molte attività di tipo artistico culturale. I canti in coro, ad esempio, cui si riconosce la capacità di educare alla disciplina, alla fierezza, di far vincere la timidezza. I pionieri intoneranno canti a sfondo patriottico (Inno di Mameli, Inno di Garibaldi, canti partigiani), i canti dell'associazione (Inno del pioniere, Canzone del pioniere) e canti popolari o regionali. I pionieri si raccoglieranno attorno ai falò (in occasione di date da celebrare, o per alcune ricorrenze storiche, per ascoltare il "racconto intorno al fuoco". Narratori spesso i partigiani, in grado di affascinare i più giovani con il racconto delle loro avventure nel periodo bellico. Anche l'attività filodrammatica (recite, rappresentazioni, teatrini) esercitava il suo fascino. In Italia, dove le attività teatrali per ragazzi non erano diffuse, l'Api attingeva alla grande tradizione del teatro di massa sovietico. "Fare teatro" significa per i ragazzi entrare in un mondo fantastico, e a questo scopo gli operatori Api si impegnarono nella selezione di materiale straniero, nella creazione di testi nuovi, nella messa in scena di "riviste" interpretate dagli stessi pionieri. Marionette, burattini, mimi, recite (le brevi commedie rappresentate dai pionieri) e rappresentazioni di quadri viventi (scene avventurose tratte dal giornale "Il Pioniere" sono le attività teatrali in cui si impegnano i pionieri. L'Api dal 1951 al 1956 pubblica per i suoi dirigenti e capireparto la rivista "La Repubblica dei Ragazzi", e in seguito "Esperienze educative", rivista mensile per i dirigenti, dal 1957 al 1960. Consultando il materiale per gli educatori e le indicazioni del giornalino "Il Pioniere", si nota immediatamente la continua sollecitazione data ai reparti e ai dirigenti per la creazione di piccole biblioteche nelle sedi dei pionieri. Un'iniziativa sicuramente mirata a stimolare ed educare alla lettura individuale e a consentire la lettura collettiva di racconti e romanzi (soprattutto libri di viaggio o narrazioni di grandi imprese). Una buona raccolta di libri e della rivista "Il Pioniere" si trasforma in un'occasione per responsabilizzare il bambino alla distribuzione e al prestito di tale stampa. Le fatiche del giovane pioniere non sono ancora concluse. Oltre alle mille attività che lo impegnano nel gioco e nello studio, ve ne sono alcune che hanno un preciso scopo: si tratta del "grande gioco della conquista" e della "raccolta di finanziamenti". Nel primo caso l'obiettivo è il reclutamento di altri ragazzi, per cui i gruppi dei pionieri gareggiano per la conquista dei cortili, vero spazio di gioco e di aggregazione dei bambini. Un cortile è conquistato quando in esso vi sono uno o più pionieri. Nel secondo caso per denominare tutte le attività che hanno un fine di raccolta finanziaria si usa il termine di "caccia al tesoro". Questa caccia, aperta tutto l'anno, ha l'obiettivo di raccogliere con le proprie forze un po' dei mezzi di cui l'organizzazione ha bisogno per rimanere attiva. Si portano salvadanai nelle botteghe i cui proprietari acconsentono, sicuramente quelle delle cooperative, si procura denaro dalla vendita di prodotti degli orti e dagli allevamenti curati dai pionieri di campagna, si organizzano pesche e lotterie, e insomma ogni idea è buona per riuscire a raccogliere un po' di finanziamenti. Inoltre, attività specifiche di studio, come le inchieste organizzate dai pionieri. Con l'inchiesta si sviluppa il metodo della ricerca. L'inchiesta nasce dalla curiosità dei ragazzi che si rivolgono di loro iniziativa all'educatore o dall'idea dell'educatore stesso che vuole spiegare una realtà particolare. Un'inchiesta tipo è quella che riguarda lo sciopero dei lavoratori in una fabbrica o in una fornace. I ragazzi, appartenendo a famiglie di estrazione contadina ed operaia, sentono parlare dello sciopero in ambiente famigliare. È necessario che a sciopero e dimostrazioni concluse, i pionieri, guidati dai dirigenti Api, si rechino a visitare il luogo in cui si è svolto lo sciopero. Con la guida degli operai e dei tecnici potranno scoprire il funzionamento della fabbrica e comprendere le motivazioni della lotta dei lavoratori. A volte fanno un'inchiesta sulla natura, sulla città, sulla storia di un Comune, sugli eroi di un particolare periodo storico. Nel caso di uno sciopero, l'inchiesta ha un immediato richiamo politico. È spesso accaduto che i ragazzi, soprattutto più grandi, una volta compreso il significato dello sciopero, si siano organizzati per essere solidali ai lavoratori creando qualche volta imbarazzo tra gli stessi genitori e disappunto tra gli avversari politici, risoluti a tenere i ragazzi, bambini o adolescenti che siano, lontani dalle lotte politiche e sociali. Gianni Rodari consigliava "I ragazzi possono partecipare alla raccolta di fondi o di viveri per gli scioperanti, per i licenziati, per tutte le categorie di lavoratori in lotta. L'importante è che il ragazzo si renda utile senza danneggiare se stesso. È consigliabile far agire solo i ragazzi più grandi." Si è detto della distinzione di alcune attività tra bambini e bambine. Fanno parte delle attività dei pionieri una serie di lavori manuali utili: per esempio per l'arricchimento della sede, per l'allestimento delle mostre e per la creazione di semplici oggetti e giocattoli. L'organizzazione propone ai pionieri maschi di dedicarsi magari al traforo, agli intarsi, agli intagli con il legno e il sughero e a lavoretti meccanici. Alle bambine di occuparsi di cucire bandiere, di farne le decorazioni, di cucire gli stemmi e di rammendare. Oltre che dalle esigenze dei diversi gruppi, si dice: "questo dipende dalla particolare struttura della nostra società, ma dipende anche dalle diverse aspirazioni dei maschi e delle bambine: le bambine, per esempio, ad un certo punto desidereranno attrezzare un laboratorio di cucito, mentre i maschi preferiranno impiantare un laboratorio di falegnameria…la divisione dei reparti non comporta una differenza dei principi educativi e dei programmi dell'Api, ma solo un particolare adattamento."
La conclusione di un'esperienza collettiva Dopo più di un decennio di attività si maturò la decisione di sciogliere l'associazione. Va assunto come punto di divisione temporale nell'attività dell'associazione il biennio 1955-1956, poiché è a partire da questa data che si registrano cambiamenti organizzativi e di contenuto rilevanti che meritano di essere considerati. Lo sviluppo dell'Api fino alla metà degli anni cinquanta è essenzialmente fondato su un'unica linea di lavoro, che prevede l'attività dei reparti, dei gruppi, dei comandi. Ogni iniziativa, ogni manifestazione sono occasione di mobilitazione per i nuclei organizzativi. Con il 1956, anno del VII Consiglio, si ha un mutamento di indirizzo. Non si ha intenzione di soffermarsi nuovamente sulle strutture interne dell'Api, se non per dimostrare il suo avviarsi verso una fase di mutamento dovuta alle trasformazioni del mondo e della società che implicano una revisione stessa dei metodi educativi, dei rapporti adulti-ragazzi. Soprattutto dopo anni di attività costantemente rivolta ad educare e ricreare i ragazzi, dopo anni di ricerche e sperimentazioni, si giunge ad una fase in cui è necessario puntualizzare un programma di lavoro, sottolineando particolari tematiche e impegni da assumere. L'obiettivo dell'associazione era stato nei primi anni di lavoro quello di un reclutamento di massa, riuscire in altre parole a radunare il maggior numero di ragazzi possibile, togliendoli dalla strada, da condizioni famigliari difficili, da una scuola incompleta: era lo svolgimento di un'attività che presentava in alcuni casi aspetti assistenziali. A metà degli anni cinquanta si può cominciare a guardare con occhio critico al periodo trascorso; lo sviluppo dell'Api non è stato infatti quello sperato:, si avverte soprattutto un problema di crescita disomogenea sul territorio nazionale, un'impossibilità nel portare i contenuti Api e la sua organizzazione in tutte le regioni, le provincie, i comuni d'Italia, che significa appunto non essere riusciti a creare una vera organizzazione di massa. Quale soluzione per uscire da tale situazione di stasi? L'esperienza, i dibattiti, tutto quanto realizzato dall'Associazione Pionieri hanno per il movimento democratico un alto valore sia per i contenuti ideali che per il progetto di educazione che l'Api rappresenta. Non si può rinunciare al lavoro svolto, non si può buttare niente. Il primo provvedimento che l'Api si assume è allora quello di cambiare ottica di lavoro o meglio l'obiettivo. Si passa da una concezione quantitativa ad una concezione qualitativa, senza voler svuotare il lavoro degli anni precedenti di valore, impegno, significato, quanto piuttosto spostando la logica molto ambiziosa di un amplissimo proselitismo, che per anni è se non un obiettivo un problema per la crescita dell'Api, verso una logica di qualificazione delle attività. Nei primi anni di lavoro i dirigenti erano in grado di organizzare manifestazioni di massa come i raduni patriottici, le giornate per la pace, i campeggi, gli incontri con i lavoratori e con i partigiani, esperienze che influivano probabilmente sulla sensibilità del ragazzo, ma che, a detta degli educatori, non riuscivano a formare la loro coscienza, perché in famiglia e a scuola spesso le cose andavano diversamente da come si svolgeva la vita nell'associazione. Non sempre i valori e i principi insegnati tra i pionieri trovavano un favorevole riscontro nella vita di tutti i giorni. Perciò, il nuovo obiettivo dell'associazione diventa la realizzazione di esperienze "qualificate", più utili per la formazione concreta dei ragazzi. I valori e i temi di fondo rimangono gli stessi: prima di tutto educare i futuri cittadini della Repubblica Italiana, l'attività sarà però rivolta sia alla conquista di più ragazzi che alla conquista di attività qualificate. Rimane sempre il problema di essere in grado di dare una solida educazione civica e costituzionale ai ragazzi, che divenga costume civile nel giovane e poi nell'adulto. Poiché dalle esperienze del periodo a metà degli anni cinquanta emerge che con i ragazzi non si può più lavorare come si era fatto fino allora, ciò che viene discusso sono le forme organizzative interne che l'Api aveva adottato e utilizzato. Le pattuglie, i reparti sembrano venir meno alla loro funzione di raggruppare i ragazzi e farli lavorare insieme; sembra che nel momento in cui l'attività finisce e l'impegno assunto è portato a temine, il gruppo si sciolga, non riesca più ad essere un momento di amicizia e conoscenza, di associazione: il gruppo pattuglia o reparto vive solo finché funziona come circolo di attività. È da questa considerazione che scaturisce l'idea di qualificare l'attività pratica, di renderla più tecnica, di fare dell'attività l'impegno maggiore, perché è l'unico modo per tenere insieme i ragazzi. I reparti e le altre strutture interne diverranno quindi centri di lavoro pratico e culturale, nel rispetto delle esigenze, degli interessi dei ragazzi. Questo discorso è legato ad un progetto più ampio. L'Api può qualificare il suo lavoro nel momento in cui le altre istituzioni di massa, siano esse i partiti o le altre associazioni democratiche degli adulti si dedicheranno a quelle attività ricreative, assistenziali che fino alla metà degli anni cinquanta sono sempre state all'ordine del giorno per i pionieri. Si riduce quindi il campo d'azione; dopo anni di lavoro si arriva ad una selezione dei settori in cui agire, per poter meglio operare e poter mantenere attivo lo sviluppo numerico dell'Api. Si profila una nuova linea di lavoro che ha come momenti chiave la necessità di dare maggior stabilità all'Api nei suoi programmi e ai suoi dirigenti, e l'esigenza di una svolta qualitativa che prevede anche un miglior lavoro di preparazione dei quadri. Si è fatto cenno precedentemente ai seminari di tre giorni o dei corsi dell'associazione per i suoi dirigenti. Dalla fine degli anni cinquanta l'Api ha trovato un momento di contatto costruttivo con i Cemea, i centri di esercitazioni ai metodi dell'educazione attiva. Sono organismi che operano per un aggiornamento pedagogico, tecnico, metodologico degli educatori. I dirigenti Api partecipano sempre più frequentemente agli stages organizzati dai Cemea per confrontare positivamente tecniche ed esperienze di lavoro. Possono così affiancare ulteriori strumenti di lavoro ad alcune novità che l'associazione aveva già avviato; ad esempio la pubblicazione di "Esperienze Educative", una rivista che diverrà momento di dibattito, di incontro e di aggiornamento poiché ricca di articoli, di dispense, di indicazioni bibliografiche di brani tratti da testi pedagogici. Non sempre è sufficiente infatti la buona volontà degli operatori, quella spinta di cambiamento che animava i primi educatori dei pionieri. Non solo perché l'entusiasmo per una società nuova e di stampo socialista si è andato affievolendo, ma perché il mondo è cambiato. Diventa fondamentale riflettere su quanto l'evoluzione scientifica, economica, quanto il progresso incida sull'evoluzione dell'Api e sulle nuove difficoltà che incontra. Non si tratta più infatti dei primi anni di lavoro e di entusiasmo per la crescita della Repubblica italiana, imperniata sui valori di una Costituzione democratica; si vive piuttosto in una fase di disillusione, dovuta alla reale situazione politica, un paese governato dalla Dc, alle problematiche economiche ancora vive, e a una società che subisce sempre più il fascino per modelli culturali americani di progresso, di boom economico, di comodità, di beni superflui. È soprattutto una nuova visione della vita importata dagli Usa che si scontra con un programma educativo come quello dell'Api. In che termini? Il messaggio americano di prosperità accessibile e di benessere hanno una chiara influenza sulla società italiana, determinano il suo avvio a una fase di maggior industrializzazione e di consumismo. La sinistra aveva per tutti gli anni cinquanta avuto un atteggiamento antitetico verso i modelli culturali giunti dall'America: sul piano ideologico lo scontro era accesissimo, i contatti degli Stati Uniti con la Democrazia Cristiana, il rigido anticomunismo degli Usa, l'influenza americana sull'economia italiana con gli aiuti del piano Marshall avevano portato a rifiutare qualsiasi simbolo, oggetto, prodotto appartenente a quella cultura. Inevitabilmente però gli anni cinquanta, ma soprattutto sessanta, rappresentano il boom economico: in Italia arrivano la televisione e la moda dello scooter. Del resto anche il progresso tecnico-scientifico ha fatto la sua strada, nuovi mezzi di comunicazione e maggior industrializzazione sono realtà ben diverse da quelle vissute alla fine della seconda guerra mondiale. La vita non è più la stessa, anche per i ragazzi. Le loro esigenze infatti sono nuove e diverse: i giochi di una volta non bastano più ad entusiasmarli e si ricollega a questa problematica la necessità di qualificare l'attività dell'Api. Gli alti ideali a cui l'opera dei pionieri si ispira rimangono validi e attuali, una solida coscienza civica per un cittadino consapevole ed impegnato, ma bisogna fare i conti con le novità. Ci sono ancora i ragazzi lavoratori (braccianti, artigiani, apprendisti), sintomo di una società e di un paese ancora arretrati, ma ci sono anche i sintomi della modernizzazione, dell'industrializzazione di una parte del paese. La crescita economica ha come presupposto il lavoro umano, uno dei principi su cui l'Api improntava molti dei suoi programmi. Come nei primi anni di attività, così al IX consiglio, tenuto nel 1958, la valorizzazione del lavoro dell'uomo rimane alla base dell'educazione dei pionieri. Per gli anni seguenti lavoro e futuro cittadino sono ancora due occasioni di impegno. Quale può essere in questi nuovi anni la caratteristica principale dell'Api che la differenzi dalle altre associazioni? Nell'Api si legano ancora i grandi contenuti ideali dell'educazione socialista e soprattutto democratica con esperimenti e tecniche pedagogiche, l'Api è l'incontro tra i valori e la pratica, uniti insieme per l'educazione del ragazzo. Vi è una costante e reale attenzione al mondo circostante, che deriva proprio dai valori e dai principi della morale Api, volta ad insegnare il senso di responsabilità civile e sociale in quelli che saranno gli adulti del domani. Educazione patriottica, amicizia, solidarietà, interesse per il lavoro e i lavoratori, contribuiscono a crescere il futuro cittadino della Repubblica e si fissano per tutta l'esperienza dell'Api come i tratti dominanti, senza riuscire a mutare, a tenere il passo con la società. Considerare la realtà circostante implica per i dirigenti una consapevolezza delle difficili condizioni politiche del paese e ancora una volta della scuola italiana. La Chiesa di Pio XII e l'attivismo dell'Azione Cattolica hanno fomentato il più duro accanimento verso le forze della sinistra; nonostante la laicità proclamata dalla Costituzione, hanno agito per penetrare nella società italiana, nei problemi organizzativi, educativi, politici di uno Stato laico. Dopo anni di lotta del movimento democratico per ottenere una scuola migliore, un'istruzione estesa ed obbligatoria, dopo anni di rivendicazioni, di impegno per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo problema, alla fine degli anni cinquanta la Dc comincia a preoccuparsi del settore educativo, presentando il piano Fanfani. L'interpretazione che la sinistra ne dà, compresi i dirigenti Api, è di un progetto che non raccoglie la spinta innovativa del movimento popolare, bensì quella di una classe dirigente che non vuole troppi cambiamenti. Il piano Fanfani non prevede infatti l'istituzione della scuola dell'obbligo uguale per tutti fino ai quattordici anni, ma una scuola che dopo i dieci anni discrimini gli studenti e permetta di proseguire gli studi solo con il sistema delle borse di studio per merito. Inoltre, la divisione di classe esistente nello stato italiano con la scuola media, gli avviamenti e le post-elementari verrà mantenuta e consolidata dal progetto Fanfani. La sinistra ritiene che l'istruzione obbligatoria riguardi tutti i giovani. Il problema non è solo di stampo educativo pedagogico, bensì politico; l'Api dunque si deve impegnare in questa battaglia politica culturale assieme a tutto il movimento operaio e democratico per ottenere un rinnovamento dei contenuti e dei sistemi scolastici. La riforma della scuola è l'obiettivo e la strada da percorrere. I rapporti tra politica ed educazione sono sempre all'ordine del giorno nei progetti dell'associazione, così come la partecipazione dei ragazzi alle grandi battaglie per la pace e l'emancipazione. Attraverso l'analisi dei programmi Api si giunge al 1958, l'anno in cui si compiono i dieci anni di vita dell'Associazione Pionieri. Più precisamente si celebrano i decennali ufficiali dell'Api, ma nelle varie province come Reggio Emilia o Bologna si erano già tenute le celebrazioni, poiché la frammentarietà con cui sorse il movimento dei pionieri italiani negli anni che vanno dal 1947 al 1951 rendeva impossibile una larga e unitaria celebrazione del decennale. Quella del '58 è comunque un'occasione di autoesame dell'opera educativa compiuta, un'occasione per fare un bilancio di lavoro. Il successo maggiore è sicuramente quello di aver impedito un completo monopolio clericale nel settore educativo e di aver saputo raccogliere quell'entusiasmo seguito alla guerra di liberazione, di aver saputo legare i gruppi spontaneamente formatisi, dando loro una direzione, un orientamento, collegandoli al mondo degli adulti. Sono stati dieci anni di lotta politica per contrastare l'offensiva clericale e imporre un nuovo tipo di educazione, nel rispetto della personalità del bambino e dei valori costituzionali. Maggiore importanza viene assumendo l'esperienza Api se si considera che "l‘organizzazione è del tutto libera e volontaria, priva di mezzi, spesso di sedi proprie e di attrezzature capaci di interessare e attrarre i ragazzi." Per tutto il periodo di esistenza dell'associazione pionieri, gli ideali e gli strumenti di lavoro sono rimasti sempre molto simili. Alla fine degli anni cinquanta l'esperienza Api va ad esaurirsi. Non si tratta propriamente di un'estinzione, perché dal punto di vista numerico l'organizzazione era ancora consistente; è il significato di un'attività come quella dei pionieri a perdere di importanza. Non è semplice spiegare perché. Non è sufficiente dire che le altre organizzazioni come l'Udi si assunsero progressivamente compiti, come quelli assistenziali, che erano dell'Api, svuotando quest‘ultima di importanza. Vi sono motivazioni più profonde che hanno portato allo scioglimento dei pionieri. Cerchiamo di vederle. In un incontro tenutosi a Bologna nel mese di giugno del 1959 si stabilì, per decisone della direzione del Pci, di rinunciare ad una direzione nazionale dell'Associazione Pionieri d'Italia. Questa decisione comportò lo scioglimento degli organismi nazionali. Non tutti, fra cui il segretario Pagliarini, furono d'accordo sulla decisione: anni di lavoro e di impegno in campo politico ed educativo non potevano essere cancellati così. Non era pensabile infatti l'ipotesi di annullare totalmente i risultati raggiunti, soprattutto perché rappresentavano un momento di crescita e di rinnovamento nel panorama educativo italiano. Di conseguenza non si poteva rinunciare così facilmente al significato dell'associazione e alla sua esistenza. Quale l'obiettivo di una simile decisione? Si vuole contribuire allo sviluppo di una maggiore varietà di forme di lavoro e di organizzazione, alla creazione di un movimento di ragazzi più largo ed esteso. Il contenuto di un lavoro più che decennale non andrà distrutto e disperso, sarà la forma ad essere differente. Si annulla così l'aspetto nazionale dell'associazione, che ha avuto uno sviluppo effettivamente limitato a varie provincie, per sciogliere quell'unica formula organizzativa che conduceva ad un carattere di anomalia e di schematismo. L'Api non è stata in grado di crescere come tutte le altre organizzazioni di sinistra - la Fgci, l'Udi, le cooperative e i sindacati - e non ha saputo probabilmente rispondere adeguatamente a tutte le esigenze dei ragazzi. Non si rinuncia allora alle concezioni educative sperimentate, ma si prospetta invece un diverso progetto di lavoro, mirante a coinvolgere i ragazzi non solo su un piano ideale, ma soprattutto pratico. Nello stesso tempo sciogliere la direzione nazionale non implica porre in discussione tutte quelle organizzazioni locali, provinciali dei pionieri che funzionano e hanno una solida base. Questi nuclei operativi resteranno e si svilupperanno in consonanza ai nuovi progetti educativi, continuando ad assolvere la loro funzione di raggruppamento e di educazione dei ragazzi. Sembra che tra le tante motivazioni, tra cui ricordiamo la mancanza di mezzi e i limitati risultati numerici, vi siamo due fatti da considerare per lo scioglimento dei pionieri: il progetto per una riforma della scuola, che si sarebbe concretizzata nel 1962, e l'ipotesi di un governo di centro-sinistra che cominciava a prospettarsi. Il maturare del problema della riforma scolastica anche negli ambienti della Dc, la battaglia in corso in quegli anni per la creazione di scuole materne statali e per l'adeguamento dei vari istituti scolastici ed extrascolastici alle esigenze moderne e alle norme costituzionali da parte della sinistra, spostarono l'attenzione generale per i problemi educativi sulla scuola pubblica. Siamo al passaggio dall'ideologia dell'anti-scuola (l'Api si era sempre battuta per cambiare quest'istituzione e per integrare, supplire, contrastare la sua impostazione, le sue carenze e insufficienze) a quella della riforma della scuola, che distinguerà la sinistra negli anni sessanta. Una scuola pluralista e laica, la cui centralità venne evidenziata maggiormente dalle due aree ideologicamente contendenti, che la considerarono il luogo migliore per dare la formazione di base al cittadino. Mentre il Pci si rivolse ad un campo più ampio che non la singola azione dell'Api, la Democrazia Cristiana, in particolare la corrente morotea, avendo intrapreso il progetto per un governo di centro-sinistra, si trovava a dover mutare la sua stessa politica nel settore della scuola e dell'educazione. Maggior valore bisognava attribuire alle questioni poste dalla sinistra, che già dal '55 aveva dato per esempio vita ad una rivista specifica "Riforma della scuola" e si avviarono quindi le discussioni per la riforma, per la lotta all'analfabetismo, per un impegno finanziario nell'edilizia scolastica che verrà concretizzato con il piano decennale '59-'69. Da parte comunista è possibile forse una pari sensibilità all'ipotesi del centro-sinistra e quindi una maggior accondiscendenza ad eliminare quelle attività, come l'Api, ancora segnate da un violento scontro con il mondo cattolico e prerogativa di un progetto comunista. Del resto, per la sinistra, la possibilità di realizzare nel campo dell'istruzione e dell'educazione una riforma della scuola capace di proporre un insegnamento unico e uguale per tutti dai sei ai quattordici anni, delle strutture para-inter-post scolastiche, fondando tutto ciò su un'idea nuova, laica, basata sui principi di giustizia, di tolleranza ideologica, di democrazia, ispirata alla Costituzione Repubblicana, non poteva essere che la concretizzazione di alcuni propri obiettivi; ogni elemento di attrito con i cattolici doveva essere eliminato. Del resto l'Api era stata sempre caratterizzata da motivazioni politiche e ideologiche, aveva fatto parte di uno dei due blocchi in cui l'Italia degli anni cinquanta era divisa; e nel 1960 si considerò concluso sia quel periodo che quell'esperienza. La situazione politica che si avviava lentamente all'esperienza governativa del centro-sinistra, e la fine del periodo della guerra fredda, ponevano anche al Pci il problema della modernizzazione e di una nuova visione del rapporto adulti-ragazzi. L'abbandono dell'esperienza Api, caratterizzatasi sempre come attività di tipo extra-scolastico, si può forse leggere come un risultato raggiunto a livello istituzionale. Secondo Carlo Pagliarini, da allora, giusto o no che fosse, quell'atto segnò l'inizio di una stagione che ancora non si è conclusa e che caratterizza la sinistra e il mondo laico italiani per un loro sostanziale disimpegno rispetto a forme di organizzazione e autoeducazione dei ragazzi. Dal nostro punto di vista, il progetto Api fu abbandonato perché considerato settario e di parte, perché nei progetti della sinistra la scuola avrebbe supplito anche alla funzione dell'Api. Sicuramente l'abbandono di un progetto di associazionismo per ragazzi come quello dei pionieri ha segnato la perdita di una comunicazione diretta con i ragazzi da parte della sinistra. Questo processo di cambiamento nei rapporti tra adulti e giovani testimonia l'evoluzione dei rapporti generazionali tra un decennio e l'altro, il passaggio dei tempi e i cambiamenti di costumi come nel caso della militanza. Si attenuano l'attivismo che aveva distinto gli anni cinquanta, la partecipazione politica, e la stessa frequentazione di luoghi come le Case del Popolo, sedi di una socialità ricreativa e politica, ma grandi centri di aggregazione. Secondo Giorgio Triani, il ruolo delle Case del Popolo muta con l'arrivo degli anni sessanta: "Non più cuore e rappresentazione anche fisica del potere popolare, non più centro di elaborazione politica, non più risposta totale ai bisogni dei lavoratori, esse si trovano ad essere ridotte al rango di semplici luoghi d'incontro frequentati da una popolazione la cui età media si è notevolmente alzata e al cui interno i giovani calano vistosamente. Le cause della frattura generazionale, che impediscono il ricambio di idee e uomini, sono molteplici, ma soprattutto riconducibili alla fine – avvenuta ufficialmente nel 1960 – del movimento giovanile organizzato nell'Api, che era sorto nell'immediato dopoguerra e aveva trovato la sua sede naturale nelle Case del popolo". Non tralasciamo dunque il fatto che l'Api avesse rappresentato un'esperienza di militanza per genitori, lavoratori, e operatori, che fosse stata anche luogo di vita politica. Per la sinistra italiana aveva avuto più significati: era stata un'occasione per affermare il diritto di difendere la vita dei giovanissimi, per aprire le loro coscienze agli ideali della giustizia, della fratellanza, del lavoro; era stata motivo di lotta e di lavoro per dare alle famiglie dei lavoratori quell'assistenza prevista dalle leggi costituzionali; era stata la contrapposizione alla secolare e monopolizzatrice azione delle forze cattoliche per una propria linea e forma educativa; era stata infine un momento di aiuto ai ragazzi nella comprensione delle lotte condotte dai genitori. Con la conclusione dell'Api, occasione di lavoro politico, pratico e di contatto con i ragazzi, terminò l'unica iniziativa avviata dalla sinistra italiana nel settore infantile. Contemporaneamente continuò l'attività di studio e sperimentazione pedagogica con riviste come quella fondata nel 1960 da Ada Marchesini Gobetti "Il giornale dei genitori", strumento di battaglia educativa, propagatore di idee e temi ispirati a principi democratici. Iniziò un nuovo mercato editoriale e culturale, dovuto sia allo sviluppo dei mass-media che al mutamento della società, con la pubblicazione delle opere di Gianni Rodari presso l'editore Einaudi e uno sviluppo più ampio per tutti gli anni sessanta della letteratura di sinistra per l'infanzia. Editoriale tracco dall'Almanacco, a cura di Marco Fincardi (3)
Il problema non è identificare il fenomeno come un rigurgito di medioevo. Nelle parrocchie, diverse persone da un parte e dall'altra possono averlo vissuto in quei termini. Ma la dirigenza cattolica è quella che sta preparando una transizione della società italiana alla modernità industriale, che solo in parte e con enormi contraddizioni il fascismo ha percorso. E' quella classe dirigente che sta valutando quanto sia percorribile in Italia la strada dell'americanizzazione. Una prospettiva da cui i cattolici non sono particolarmente rassicurati. La società italiana di metà anni trenta li rassicurava molto di più; come molto di più poteva rassicurare buona parte delle gerarchie ecclesiastiche un assetto politico come quello corporativo, confessionale e illiberale dominante le società iberiche (Spagna e Portogallo). Ma dopo la guerra e il crollo del regime fascista rari sono quelli disposti a rivendicare coerentemente come proprio un simile modello di società. E' il ceto politico che si inserisce nelle comunicazioni di massa e colloquia in modo preferenziale con i ceti medi, che in breve tempo riesce ad egemonizzare culturalmente, e che attraverso il capillare e multifunzionale patronato della bonomiana riesce a stabilire un’ancora più salda egemonia sui contadini. Quanto serve il diavolo comunista che perverte i bambini? Il vecchio pretone e la suora ci possono credere; il fanatico clericale anche; ma a cosa mira questa campagna strumentale, per una dirigenza certo più disincantata, che crea e gonfia a tavolino il problema dell'associazionismo infantile di sinistra? C'è senza dubbio un voler gestire la transizione, e quindi la formazione di una o due generazioni in una situazione di monopolio delle coscienze, che per l'Italia non era certo una novità; si vuole integrare con l'associazionismo e la sociabilità cattolico-parrocchiale (associazioni + catechismo + oratorio) con l'uso monopolistico dei mass-media da parte dei governi centristi; si vogliono sperimentare modelli scolastici nuovi e ad orientamento più o meno velatamente confessionale, e per farlo -cosa essenziale - occorre crearsi un assoluto monopolio degli educatori, isolando quelli eterodossi, e screditando o affondando istituzioni educative antagoniste o solo concorrenti (colonie, tempo libero, associazioni, scuole per l'infanzia, non solo della sinistra, ma anche dei protestanti). A parte qualche sacca di resistenza regionale, nell'area di maggior radicamento delle culture rosse, l'operazione sostanzialmente riesce, fino a quando, negli anni sessanta, è l'emergere delle generazioni allevate in questo sistema educativo a sfuggire di mano e a dare una spinta decisiva a mettere in crisi tale sistema.
Il nostro interesse per le associazioni dei pionieri e falchi rossi è nato da studi intrapresi sulla provincia reggiana. A seguito di ricerche - sostenute dall'Istituto Marani, assieme all' Istituto Gramsci, Spi-Cgil e Coop Nordemilia - per valutare quanto l'immagine idealizzata della società socialista avesse condizionato culture politiche, identità collettive e comportamenti collettivi in questa provincia. Ci siamo accorti che un aspetto non irrilevante della proposizione di modelli identitari sovietici in Emilia era una pronunciata attenzione alla creazione di moderni servizi educativo-ricreativi destinati a bambini e ragazzi. Tra questi, l’avvio di una consistente rete associativa per i ragazzi. La concentrazione di reparti e stormi di pionieri e falchi rossi in una determinata area geografica - per quanto ancora da valutare con dati quantitativi più completi - appare di rilevante interesse. Tantopiù che la loro presenza e originalità, nell’Italia della Ricostruzione, si rileva particolarmente nel Reggiano e nel Bolognese, dove contemporaneamente sono stati presenti i reparti italiani più numerosi ed efficienti dei Giovani Esploratori aderenti al CNGEI: la più elitaria associazione scoutistica laica, collegata al movimento internazionale promosso da Robert Baden-Powel, ricostituita in Italia nel 1945, col sostegno di ambienti azionisti e liberali, dopo un lungo incorporamento coatto nell’Opera Balilla. Leggendo documenti dell'epoca e ascoltando testimonianze, ci siamo presto resi conto che, in realtà, tra il modello sovietico idealizzato e i suoi adattamenti all'ambiente emiliano, le differenze erano notevoli. Ma un approfondimento della questione risultava molto difficile, per la completa assenza di un bibliografia organica di studi sull'argomento, non solo a livello locale. Inoltre, in un primo tempo non è stato facile avere testimoni disposti a narrare le vicende di associazioni che erano già state disciolte da alcuni decenni. Le prime testimonianze - lo ricordiamo - sono state raccolte mentre i grandi partiti della sinistra, tagliati non pochi ponti col loro passato, stavano attraversando vicende laceranti per la memoria dei loro militanti. Il travaglio che ha attraversato negli anni novanta i partiti storici della sinistra reggiana ha portato inoltre al trasferimento delle loro sedi, e reso a lungo impraticabili i loro archivi. Un tentativo di allargare gli studi fuori dall'ambito locale, ci ha posto di fronte ad una constatazione: da parte dei partiti comunista e socialista, c'era stata una evidente rimozione delle esperienze associative infantili a cui ci stavamo interessando. Eppure, si trattava di organismi che avevano avuto adesioni di massa: 150.000 aderenti sul piano nazionale, ma essenzialmente concentrati nell'Emilia; nella pianura reggiana e bolognese in particolare. Se a Reggio ne avevamo trovato numerose tracce - per quanto confuse - nella memoria collettiva, ciò era dovuto all’eccezionale dimensione che il fenomeno aveva avuto localmente. Reggio ne era anzi stato il centro diffusore per l'intera Italia, portando i giovani dirigenti dei gruppi scoutistici di sinistra, fioriti poco dopo la liberazione, a dirigere le associazioni nazionali dei pionieri (A.P.I.) e falchi rossi (A.F.R.I.). Ma se dagli anni settanta a Reggio - pure notoriamente centro all'avanguardia per gli studi e le sperimentazioni pedagogiche per l'infanzia - era mancata totalmente una riflessione su questa vicenda, a livello nazionale la letteratura che si occupasse dell'argomento andava ben poco oltre. C'erano poche fugaci testimonianze d’ex dirigenti dell'A.P.I. imbarazzati e risentiti per aver assistito all'affondamento di un progetto e di un'attività militante in cui avevano creduto profondamente, con un totale coinvolgimento esistenziale ed emotivo. Testimonianze che in genere emergevano nel rievocare la figura intellettuale di Gianni Rodari: il più attivo e celebre pubblicista che avesse investito fino in fondo la propria attività intellettuale nel far vivere quella vasta aggregazione democratica e laica per i bambini che erano le associazioni qui in questione. Non conservavano una memoria “pubblica” di pionieri e falchi rossi nemmeno i circoli laici e democratici che nel dopoguerra avevano trovato spazi di riflessione, riviste, e un pubblico attento alle loro elaborazioni, proprio e soprattutto partendo da queste esperienze associative dei giovanissimi. Molti di loro ne hanno conservato a lungo un appassionato ricordo privato; ma pareva quasi si trattasse di un argomento tabù, imbarazzante per qualcuno, e a cui era negata qualunque attualità. Solo nella seconda metà degli anni ottanta erano apparsi su riviste storiche un breve saggio di Andrea Colasio, poi uno di Marco Barbanti, in cui si studiava l'integralismo clericale, a partire da accurate ricostruzioni del processo di Pozzonovo: evento che negli anni cinquanta aveva messo a rumore la stampa nazionale: la più clamorosa montatura politico-giudiziaria messa in piedi per diffamare i gruppi aderenti all'A.P.I. L'episodio di Pozzonovo appariva emblematico di un'epoca contrassegnata da una drastica intolleranza verso ogni manifestarsi di culture e momenti di socializzazione laici, soprattutto nel settore infantile. Ma proprio queste iniziative di socializzazione promosse dalla sinistra continuavano ad essere circondate da un silenzio reticente, benché‚ diversi momenti di riflessione pedagogica e di qualificanti produzioni per l'infanzia negli ambienti progressisti risultassero incentivati o direttamente promossi proprio dalla diffusione di pionieri e falchi rossi. A parte i loro giornali - molto difficilmente reperibili nelle biblioteche pubbliche e negli stessi archivi di partito - la documentazione più facilmente rintracciabile su pionieri e falchi rossi sembrava proprio la pubblicistica cattolica, occasionata dalla campagna intollerante nei loro confronti e dal decreto del Sant'Uffizio che estendeva a questi bambini i decreti di scomunica verso comunisti e socialisti. Su questo particolare soggetto, i fondi archivistici ecclesiastici parevano molto meglio conservati e forniti - oltre che in certi casi più accessibili alla ricerca - di quanto non lo fossero i laici archivi di partito. Due tesi di laurea - una discussa nel 1980 e una nel 1989 - che ricostruissero rispettivamente la vicenda dei falchi rossi e dei pionieri, ci hanno permesso di allargare finalmente la prospettiva delle nostre conoscenze. E' per questo che ora riteniamo importante pubblicarne qui due ampie sintesi e rielaborazioni delle due autrici, per le utili e originali informazioni che il loro paziente meticoloso lavoro di ricerca può fornire. Costanza Staccoli Castracane e Michela Marchioro hanno incontrato nella loro ricerca per la tesi tutti gli ostacoli che abbiamo ora descritto. Altri studenti avevano iniziato analoghe ricerche, abbandonando il lavoro proprio per le consistenti difficoltà nel reperire una serie di documenti tali da dare consistenza scientifica alle loro tesi di laurea. Del resto - in anni un cui l’interesse per la storia sociale era largamente sopraffatto da quello per la storia politica - solo le sezioni giovanili dei partiti avevano fino ad allora interessato gli studiosi: non la descrizione di gruppi di ragazzini, la cui funzione essenziale non era la militanza, ma al più - agli occhi degli stessi organizzatori - quello di far maturare ludicamente e culturalmente il senso di appartenenza a una sociabilità classista, fortemente ispirata ai valori resistenziali della sinistra. Nemmeno gli aspiranti della Gioventù italiana d’Azione cattolica, in quegli anni, avrebbero potuto apparire un argomento che potesse ambire ad una rilevanza storiografica. La descrizione delle vicende delle due associazioni infantili della sinistra che apparivano in queste due tesi non manifestavano sempre un freddo distacco dai documenti studiati; e questo coinvolgimento emotivo di due studentesse degli anni ottanta nell'indagare su una vicenda che le generazioni immediatamente precedenti si sono sforzate di relegare nell'oblio, informa su quanti aspetti attualizzabili mostri invece la riflessione sull'argomento. Quegli studi sono nati in un ciclo di manifesta crescente incomunicabilità tra i linguaggi e i valori della società adulta e quelli del mondo giovanile. Erano gli anni successivi alle rigide schematizzazioni di Alberto Asor Rosa sull’esistenza in Italia - specialmente in rapporto a simili questioni generazionali - addirittura di due contrapposte società. Ora - alla fine degli anni novanta - in una fase storica di generale ripensamento e di aperta stridente crisi del rapporto tra i giovanissimi e le altre generazioni, oltre che di totale ridefinizione del rapporto tra organizzazioni politiche e società, la sensibilità a simili problemi si è ulteriormente modificata, accresciuta, raffinata. La focalizzazione del nostro interesse sul soggetto delle loro passate ricerche e il loro stesso attivo coinvolgimento nel nostro gruppo di lavoro, ci permette di proporre un taglio diverso alle precedenti elaborazioni delle ricerche compiute, qui riviste dalle stesse autrici nell’ottica di differenti nodi concettuali, di stringente attualità. La parte più consistente della documentazione, le due giovani studiose l'hanno consultata presso ex dirigenti nazionali di pionieri, falchi rossi e associazioni sportive fiancheggiatrici: persone oggi perlopiù residenti a Roma, ma tutte originarie dalla provincia reggiana. Il fatto che le fonti siano state reperite in archivi personali - appartenenti a soggetti che si erano identificati a fondo con le associazioni che avevano costruito - e in misura molto minore negli archivi istituzionali della sinistra, è un’ulteriore testimonianza di quanto la scomparsa di due associazioni possa essere stata vissuta come un fatto traumatico, e proprio per questo sia rimasta a lungo circondata da silenzi. Si tratta chiaramente di rimozioni che hanno attraversato le storie di alcune generazioni di militanti - oltre che dei numerosi bambini e ragazzi che avevano partecipato alle attività dell'A.P.I. e dell'A.F.R.I. Ma oggi - nel drastico generale rivolgimento di mentalità e ideologie avvenuto nella sinistra, e prima ancora nella secca perdita di credibilità delle intolleranze confessionali - appaiono meno condizionanti che nel passato. Soprattutto a contatto con una crescente curiosità della storiografia europea verso le esperienze socializzanti dei giovani, che negli ultimi anni sta producendo una saggistica notevole, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Proprio i movimenti di tipo scoutistico e le esperienze di educazione attiva che hanno cercato un contatto vivo tra i ragazzi, la natura, e l’elaborazione di idee di libertà e autonomia, sembrano oggi particolarmente interessare storici e pedagogisti attenti alle associazioni giovanili del nostro secolo. Nel nostro progetto, avevamo riservato uno spazio anche a uno studio sul C.N.G.E.I.: l’associazionismo scoutistico laico, la cui esistenza appariva notevolmente meno condizionata da motivazioni ideologiche, rispetto all’A.P.I. all’A.F.R.I. e alla stessa A.S.C.I. cattolica. Problemi di pronta reperibilità di archivi e testimonianze, e di tempi editoriali, lo hanno momentaneamente impedito. E’ comunque una temporanea lacuna, che la nostra rivista intenderebbe prossimamente colmare. I non numerosi studi sull’associazionismo giovanile finora avviati in Italia prendono in considerazione essenzialmente l'ambiente cattolico; in qualche caso inquadrandolo con le dovute scansioni storiche; altre volte sfumandolo in indistinte tradizioni storiche del nostro paese, senza coglierne aspetti di modernità che ne fanno un fenomeno strettamente connesso a questo secolo che si sta concludendo. Da pochissimo è stata avviata una seria storia delle forme di socializzazione e dei condizionamenti culturali nati in concomitanza con la diffusione dell'oratorio, negli ultimi sei, sette od otto decenni. Precedentemente, parecchi tra gli stessi storici tendevano ingenuamente a far propri i luoghi comuni che da tempo considerano tradizionale una simile struttura ricreativa, ritenendola legata quasi indissolubilmente ad un’antica istituzione come la parrocchia. Non si scorgeva quanto una tale struttura ricreativa fosse assolutamente peculiare del nostro secolo, della sua tendenza a considerare problematicamente il disciplinamento della gioventù nella società di massa, e soprattutto di una società italiana che dalla fine degli anni venti - all’esterno della famiglia e della comunità di vicinato - aveva compresso o eliminato ogni spazio di socializzazione infantile e giovanile non strutturato dal potere centrale o dal clero. Riguardo poi a un altro fondamentale momento di sistematica propagazione e inquadramento ideologico dell'associazionismo giovanile nel nostro secolo, quello massicciamente promosso dal regime fascista, abbiamo un unico studio sull'Opera Balilla. All’infuori di poche e non approfondite ricerche dei pedagogisti, mancano completamente studi che abbiano efficacemente affrontato - in ambiti territoriali necessariamente circoscritti - la problematica degli effetti sociali e culturali della diffusione di massa di balilla e avanguardisti. Ancora agli inizi - seppure con un avvio decisamente incoraggiante - sono gli studi sull'associazionismo sportivo, benché‚ sia ancora ridotta la messa a fuoco dei decisivi cambiamenti di comportamenti e mentalità che il fenomeno ha prodotto tra i più giovani. Tra i nuovi campi che si aprono oggi alla storia sociale, ancora insufficientemente indagati - almeno in Italia, eccezion fatta per il periodo fascista - restano i progetti sociali complessivi che nel passato recente hanno guidato tutte queste forme di associazionismo giovanile. E assolutamente poco indagate sono gli indebolimenti dell'iniziativa laica in questo campo e il progressivo venire meno di suoi spazi peculiari: situazione che caratterizza decisamente la situazione italiana dal primo dopoguerra; ma in modo esasperato quella del secondo dopoguerra. Anche da questo punto di vista, abbiamo cercato di non rimuovere dal nostro campo d’interesse l’ingombrante eredità culturale che - alle associazioni dei giovanissimi e ai loro organizzatori - lasciavano l’O.N.B. e la G.I.L.: un lascito del passato che senza dubbio la sinistra, gli antifascisti moderati e i cattolici hanno cercato di rendere inoffensivo nella cultura giovanile, ma che indubbiamente ha lasciato tracce e condizionato parzialmente le successive prassi associative. Dal punto di vista dell’istruzione religiosa, quella di balilla e avanguardisti era un’educazione ibrida: da un lato portava a inculcare la religione laica dello stato-partito e di una patria interamente proiettata sulla figura del duce; dall’altro prevedeva la presenza di cappellani da affiancare ai reparti: una novità nell’educazione dell’Italia unita, dopo che la riforma Gentile aveva appena imposto il ritorno del catechismo cattolico nelle scuole elementari. Il sorprendente venire meno della cultura laica borghese in Italia, e le esitazioni e contraddizioni del movimento operaio nel subentrarle nel campo dell'educazione infantile, pongono tuttora corposi e irrisolti interrogativi per gli storici e per chiunque si interroghi sulle tendenze culturali della società italiana di questo secolo. Soprattutto oggi, considerando quanto i processi di secolarizzazione abbiano rivoluzionato il rapporto tra la società italiana e le istituzioni religiose, riducendo notevolmente spazi e rappresentatività sociale del confessionalismo integralista cattolico, e quanto paradossalmente stentino i valori laici a tradursi in concrete iniziative civili. Basti pensare, a questo proposito, quanto carente sia l’iniziativa laica nell’elaborare i valori e orientare gli interventi del volontariato dei giovani o per i giovani; specialmente nel campo dell’assistenza sociale (tendenzialmente meno in quelli culturali e ambientali). Proprio le associazioni e fondazioni più attive nell’intervento sui problemi del disagio giovanile sono di ispirazione visibilmente cattolica; specialmente in settori (vedi la reintegrazione sociale dei tossicodipendenti) in cui l’assistenza pubblica ha dimostrato clamorose incapacità di adeguare il proprio apparato. E nel momento in cui la politica governativa - pur facendo i conti con i giusti vincoli posti dalla nostra costituzione repubblicana - tende a ridisegnare gli ambiti istituzionali dell’istruzione pubblica e di quella privata, la cultura e l’associazionismo laici appaiono ampiamente impreparati ad affrontare la concorrenza delle strutture ad indirizzo confessionale, che pure sono in visibile difficoltà a competere sul piano qualitativo e della modernità con le attuali strutture educative dello stato e degli enti locali. Altra fondamentale questione storiografica che affrontiamo e su cui elaboriamo originali materiali di riflessione, mentre sull’argomento è in corso un vivace dibattito tra gli storici - è se nel dopoguerra i processi di modernizzazione della società italiana siano stati sollecitati in maggiore misura dall’apparato pubblico statale o piuttosto da mobilitazioni collettive - con forti motivazioni ideologiche - che hanno creato attorno ai partiti di massa un consistente apparato di servizi per la società civile. Secondo alcuni, la riproposizione di apparati politici della sinistra o dei cattolici che come il Partito fascista rispondessero direttamente alle esigenze associative e assistenziali delle località e dei propri sostenitori, avrebbe contribuito a snazionalizzare gli italiani e a indebolire il senso dello stato. Secondo altri storici, proprio questo genere di mobilitazioni - dopo un ventennio di intruppamento autoritario e massificazione passiva prodotti dal fascismo - sarebbe invece stato fondamentale per ricreare un senso della cittadinanza, basato sul diretto impegno civile delle comunità locali. Nel nostro caso, non solo la continua ma non pedante insistenza dell’A.P.I. e dell’A.F.R.I. sul civismo e sui valori della patria repubblicana, della costituzione e della pace ha costituito una forma di acculturazione ai valori democratici e a pratiche di autogestione basilari nell’acquisizione del senso di cittadinanza; ma le stessi pratiche (in buona parte frustrate da un apparato scolastico manipolato da personale conformisticamente schierato con la DC) di queste associazioni per risultare integrative della scuola pubblica - nel tempo libero dei ragazzi - hanno definito un loro modo di operare che le rendeva tutt’altro che centrifughe e destrutturanti rispetto al senso della cosa pubblica, pur partendo da valori oppositivi a quelli dominanti negli anni del clericalismo di stato. La liquidazione di queste associazioni - tra il 1958 e il 1960 - in controtendenza rispetto alle scelte della sinistra europea - ha comportato un impoverimento delle attività ludico-didattiche per i giovanissimi e una riduzione degli spazi sociali e identità di gruppo laici loro riservati. La concentrazione esclusiva dell’impegno di pedagogisti e insegnanti democratici nella gestione statale dell’educazione pubblica - mentre si andava definendo la pur importante riforma della scuola media inferiore - ha dato, nel medio periodo, risultati modesti e notoriamente deludenti. La perdita di spazi come quelli costruiti da A.P.I. e A.F.R.I. ha intanto limitato la sociabilità dei giovanissimi alle sole opportunità fornite dall’oratorio parrocchiale o dall’espansione dell’industria del divertimento e delle mode commerciali: una situazione anomala in un’Europa dove i circoli ricreativi laici, foyer e biblioteche previsti espressamente per gli adolescenti, i campeggi e gli ostelli, erano divenuti nel frattempo parte integrante del costume dei ragazzi, dalla Francia alla Scandinavia, fino ai paesi balcanici e all’Unione sovietica, nelle città come nelle campagne, con la significativa eccezione delle società iberiche, fino agli anni settanta ingabbiate da regimi dittatoriali e clericali. La cultura laica, nell’Italia repubblicana, ha sostanzialmente finito per precludersi una funzione educativa al di fuori della scuola, se si fa eccezione per alcune apprezzabili ma disorganiche e discontinue iniziative rivolte ai giovanissimi dagli enti locali. La nostra monografia ha come premesse due recenti articoli che hanno cercato di illustrare la vicenda nazionale dell’Associazione pionieri d’Italia e il rapporto tra modelli sovietici e tradizioni culturali delle reti associative emiliane . Qui, oltre a presentare l’originale studio di Costanza Staccoli Castracane sull’organizzazione nazionale dei falchi rossi, ci è sembrato opportuno documentare approfonditamente il radicamento territoriale dell’API e dell’AFRI nella provincia reggiana - con i contributi di Giorgio Boccolari e Giannetto Magnanini - e dei pionieri a Bologna, attraverso una breve riflessione di Michela Marchioro. Antonio Canovi, poi, documenta e valuta quali tracce la vita di queste associazioni abbia lasciato nella memoria dei loro organizzatori. Importante c’è sembrato valutare - alla luce anche di esperienze educative positiviste e riformiste di inizio secolo, poi degli interventi verso la gioventù del regime mussoliniano e dei successivi programmi degli Alleati per defascistizzare le giovani generazioni - il vivace dibattito pedagogico degli intellettuali di sinistra che si sono aggregati attorno alle esperienze associative dei ragazzi, attraverso l’intervento di Lino Rossi. Michela Marchioro ha poi studiato le peculiarità di uno dei più originali giornalini per i ragazzi - “Il Pioniere” di Gianni Rodari - mettendole a confronto con i linguaggi e le tendenze culturali della stampa giovanile dell’epoca. La riflessione di Patrizia Dogliani mostra un raffronto con associazioni di un paese socialista - la Repubblica democratica tedesca - dove i pionieri costituivano un’associazione di regime, strettamente e istituzionalmente complementare alla vita scolastica (come lo erano stati i balilla): una situazione opposta a quella dell’Italia nel dopoguerra, dove le associazioni dei pionieri vengono contrastate apertamente da autorità governative, polizia e magistratura, oltre che da una classe insegnante allora strettamente legata al clero. Per quanto mi riguarda, ho invece cercato di valutare le ragioni e gli effetti della campagna di denigrazione condotta contro i pionieri dall’episcopato emiliano, e di riflesso dai militanti cattolici italiani più integralisti. Dalle esigenze della cultura laica di ripensare la propria presenza sociale, nascono dunque la nostra riflessione storica e questa iniziativa editoriale, che abbozza a grandi linee e propone ai lettori una prima analisi delle due più consistenti associazioni ricreativo-culturali aconfessionali esistite in Italia. A chi in passato è stato partecipe di tali esperienze, e a chi oggi riflette sugli spazi per un’educazione attiva, che abbia gli stessi ragazzi come protagonisti, si rivolge il nostro lavoro. La recentissima scomparsa di Carlo Pagliarini (il principale promotore della rete associativa dei Pionieri; poi, fino alla morte, responsabile nazionale del settore ragazzi dell’ARCI) ci ha ulteriormente motivati nel trarre un primo provvisorio bilancio storico su queste esperienze educative. Proprio dalle sue carte private - oltre che dai suoi consigli e incoraggiamenti, e da quelli del pure recentemente scomparso Pier Paolo D’Attorre (figlio di Piero, fondatore a Reggio Emilia dell’ASSI e dell’AFRI, la cui attività è qui ricostruita da Giorgio Boccolari) - sono partite le ricerche di Michela Marchioro, che hanno costituito un riferimento importante per il nostro lavoro. Alla memoria di quell’instancabile organizzatore di associazioni per i giovanissimi che è stato Pagliarini, e al noto storico e organizzatore di cultura che è stato Paolo D’Attorre, vorremmo dedicare le pagine di questa monografia. Altri documenti nel prossimo post. Ciò che fanno (4) PARTE TERZA -1 CIÒ CHE FANNO È frequente da parte dei comunisti l'osservazione: — Non condannateci senza conoscerci. Non siamo stati ancora al potere; non abbiamo dato esperimento di noi stessi. Purtroppo, per ciò che riguarda il loro programma antireligioso, non vi è bisogno di attendere oltre. Ciò che essi hanno compiuto in questi anni è quanto mai significativo. Son proprio i fatti che li smascherano e richiamano su di loro la condanna. Parlando degli uomini che si nascondono sotto il velo della menzogna, disse Gesù nel Vangelo: «Voi li riconoscerete dai loro frutti». L'anticristianesimo del P.C.I. è confermato in modo schiacciante dai frutti che la loro attività antireligiosa ha prodotto.
A) SCRISTIANIZZAZIONE DEI FANCIULLI E DEI GIOVANILa cura principale del P. C. I. è rivolta verso i fanciulli e i giovani. Fra di essi particolarmente il Partito pensa di trovare i più generosi e audaci militanti. Formati all'ideologia ed al metodo comunista prima ancora che una qualsiasi altra educazione ne abbia modellato l'animo, solo essi potranno formare i quadri sicuri ed efficienti dell'organizzazione. Degli uomini che passano al Partito ad una certa età, dopo varie esperienze spirituali e intellettuali, non è opportuno fidarsi troppo. Vi è sempre il pericolo di deviazionismi. Per questo si vuol creare il tipo comunista fin dai primi anni. L'aspetto più importante di tale educazione è naturalmente la lotta contro la religione.
Le direttive del comunismo internazionaleSu questo punto il comunismo italiano non fa altro che attuare le direttive che partono da Mosca e che son valide per tutte le nazioni. Dalla Russia vengono orientamenti come questi: «Questa azione vuole da noi una particolare attenzione. Noi dobbiamo dare al fanciullo una concezione atea del mondo... Tale educazione deve incominciare il più presto possibile... Ciò che il fanciullo assimila nella più tenera età, serve di base a tutto il suo futuro sviluppo... Noi tutti sappiamo quanto sia difficile rieducare il fanciullo a scuola, quando vi arriva con abiti di pensiero religioso. È necessario prendere tutte le misure perché egli fin dall'infanzia assimili i concetti atei» . «Noi evidentemente a un bambino di tre o quattro anni, non dimostreremo che Dio non esiste, ma con ogni nostro atteggiamento gli dimostreremo che non crediamo in alcun Dio e non ne attendiamo alcun aiuto» . «La scuola attua l'educazione antireligiosa» . Perciò «l'educazione comunista comprende obbligatoriamente la educazione antireligiosa» . Ecco come un'educatrice sovietica espone la sua tattica: «Io mi sono assunta il compito di educare gli assalitori in modo tale che possano diventare assalitori coscienti, e per essere ben preparati a lottare contro la religione a scuola, in casa e nelle strade. Il lavoro incomincia dai fanciulli di nove anni: si raccontano loro delle storie scelte a questo scopo.... Immediatamente essi si propongono di raccontare in altri gruppi ciò che hanno inteso, di lottare a casa per la soppressione della croce, di persuadere altri fanciulli ad agire allo stesso modo, di fare delle scritte antireligiose e di porle in diverse entrate della scuola e per la strada» . Quale sia il dovere dei fanciulli iscritti all'associazione comunista, creata per essi, è così dichiarato da un autorevolissimo maestro russo: «Il pioniere deve essere al primo posto fra quelli che lottano contro la religione. Deve essere dunque conoscitore di tutti i mali che essa produce: è vero discepolo di Lenin nella misura con la quale lotta contro di essa. Pioniere, in piedi per la lotta contro ogni religione, in piedi per abbattere la religione nella famiglia, nella scuola; non temere persecuzioni. Esalta il tuo ateismo davanti agli adulti, anche davanti ai più istruiti» . Ho riportato con abbondanza e precisione, perché si comprenda quali siano le direttive del comunismo russo, ed a quali principi debbano ispirarsi i comunisti italiani nella scristianizzazione della gioventù. Lo strumento e l'organizzazione di cui si serve il P. C. I. per tale opera sono le Associazioni dei Pionieri Italiani (A. P. I.). L'ASSOCIAZIONE PIONIERI D'ITALIA (A.P.I.)L'organizzazione dei Pionieri fa parte del bagaglio che i comunisti delle diverse nazioni hanno ricevuto dalla Russia. Là, ove esiste il Partito comunista, funziona pure il movimento per l'educazione marxista dei fanciulli. Il nome è identico per tutti i paesi; cambia solo la qualifica della nazione. Così in Italia si chiameranno Pionieri d'Italia, in Germania Pionieri tedeschi, in Francia Pionieri francesi, e cosi via. Identico è il nome e lo stesso è il fine e il metodo della organizzazione. Le A.P.I. raccolgono bimbi e bimbe dai 7 ai 14 anni . La sede centrale trovasi a Roma; alla periferia funzionano le sedi provinciali e comunali, il cui compito è quello di far sorgere l'associazione A.P.I. presso ogni cellula. La parola d'ordine della campagna annuale è questa: ogni cellula una sezione dei Pionieri. Già a questo momento, in molte parrocchie dell'Emilia e della Toscana, la maggior parte dei ragazzi è iscritta all'A.P.I. Nell'ultimo Consiglio Nazionale dell'A.P.I., tenuto a Roma nel 1951, dalla direzione fu comunicato che gli iscritti avevano raggiunto la cifra di 171.000 . Incaricate per il reclutamento, la sorveglianza e l'educazione dei pionieri sono le donne dell'U.D.I. (Unione Donne Italiane) e le ragazze dell'A.R.I. (Associazione Ragazze Italiane). Il centro nazionale cura la pubblicazione di un settimanale illustrato per gli iscritti alle A.P.I., che all'inizio portava il titolo «Noi ragazzi» ed ora si denomina «Pioniere». Il settimanale che, in occasione di feste dell'Unità ed in altre circostanze, è diffuso fra tutti i ragazzi, ha raggiunto negli ultimi tempi una tiratura considerevole. Il movimento delle A.P.I. cerca di scimmiottare l'organizzazione degli Aspiranti di Azione Cattolica e il metodo scautistico degli Esploratori Cattolici. I Pionieri hanno anch'essi una «Promessa», i cui principii sono espressi in 5 punti. Come sempre, anche per ciò che riguarda la stampa e l'educazione «pionieristica» è da distinguere, nell'opera dei comunisti, la maschera e il volto. Negli scritti ufficiali e nell'apparato esteriore non si dimostra con chiarezza il vero scopo cui tendono le A.P.I.. Che anzi generalmente sono indicate mete ideali bellissime. Questo vien fatto per scopi ben evidenti; la vera formazione integrale si svolge in altra sede. È esempio tipico di tale doppiezza la «promessa», stampata sul retro della tesserina dei Pionieri. È così concepita: «Prometto di studiare con profitto e volontà - di aiutare i miei compagni di scuola - di amare e rispettare i miei genitori, di aiutare la mia famiglia nelle difficoltà della vita - di essere amico di tutti i ragazzi, di organizzare con loro attività sportive, ricreative, culturali - di amare i lavoratori e di essere sempre di aiuto agli oppressi e a coloro che più soffrono - di amare la pace e la Patria che voglio libera e felice». Su «La Lotta» (21-XII-1951), settimanale della Federazione del P.C.I. di Bologna, un dirigente qualificato dell'A.P.I. dice: «La Patria, il lavoro, la pace: ecco i nostri ideali educativi». Naturalmente non v'è bisogno di fare un processo all'intenzioni per concludere che vengono usate le concezioni più belle e più sante per raggiungere scopi del tutto opposti.
Come attirano ed educano i ragazziIl reclutamento vien fatto nei modi tradizionali coi quali si avvicinano i ragazzi. Giuochi, feste e divertimenti vengono organizzati per loro dentro o nelle vicinanze delle cellule e delle Case del Popolo. I ragazzi imparano a conoscere l'ambiente comunista. I più disposti vengono in seguito invitati ad iscriversi alla associazione dei Pionieri. Gli iscritti diventano in breve tempo degli apostoli dell'idea e dei conquistatori. Riceve ambiti premi il pioniere che riesce a conquistare il maggior numero di ragazzi. Le donne dell'U.D.I. talvolta girano casa per casa per reclutare nuovi elementi. Ai genitori che, pur essendo comunisti, sono riluttanti ad affidare ad esse i propri figli, le udine fanno un sensato ragionamento: «Se non vengono da noi, non possono crescere con le nostre idee». Costituita la sezione, ha inizio l'attività, che si svolge in due direzioni: un compito ricreativo, ed uno scopo formativo. La ricreazione, come si è detto, ha un fine di agganciamento. Serve per attirare i ragazzi e tenerli legati all'associazione. Di qual genere sia la formazione è presto detto. «Alla maniera comunista», proprio come rispose quella madre di Camposanto (Modena) all'aspirante di Azione Cattolica che andò a portare l'invito della «tre giorni» per il suo ragazzo. La madre strappò l'invito e disse testualmente: «Mio figlio voglio che cresca alla maniera comunista» . Il crescere alla maniera comunista comporta un insegnamento e una educazione che, come è naturale, non hanno gran che a vedere con la dottrina e la morale cristiana. A Fusignano (siamo nella bassa Romagna) il dirigente del P.C.I. e l'organizzatrice dell'U.D.I., parlando per la prima volta dell'Associazione Pionieri in una grande riunione di bimbi, dissero testualmente: «Noi vi insegneremo altre cose che non vi insegnano i preti». Fra le «altre cose» che vengono insegnate tengono il primo posto l'abitudine alla promiscuità e il disprezzo della religione. Questi due punti costituiscono come il binario su cui si svolge il metodo educativo dell'A.P.I.. Si parte dalla promiscuità per giungere a togliere nell'animo dei bimbi e delle bimbe il senso del pudore. Dicono ai Pionieri: «I preti vi proibiscono di stare insieme con le bambine, noi no». La promiscuità è talvolta spinta fino all'organizzazione di balli fra ragazzi e bimbe. La documentazione non manca. A Faenza, in corso Mazzini, nella sede del P.S.I., nel gennaio 1948, venne organizzato un ballo fra bimbi e bambine. L'etichetta che copriva la serata era: «Concorso di bellezza fra bambini». Il 19 febbraio, alle ore 14,30 nella sala della Società Operaia di Via Castello a Castelnuovo Rangone (Modena), venivano sorpresi in una festa da ballo 31 minorenni, la cui età andava dai 4 ai 16 anni. Nella pretura di Modena, giace la denuncia a carico del comunista Dino Marinello, dell'Alleanza giovanile e dirigente dell'A.P.I., che aveva organizzato tale trattenimento. Nella borgata di Cerbaiola (comune di Empoli), la sera del 21 febbraio, nella cellula comunista si ballava a luci spente: piccoli e grandi, pionieri e sindacalisti. I carabinieri del luogo hanno denunciato i responsabili. Spento nell'animo dei ragazzi il naturale senso del pudore, è facile il passaggio al disprezzo della religione. Su questo punto il metodo educativo dell'A.P.I. non è altro che l'applicazione della tattica comunista nei riguardi della lotta antireligiosa. Con un'azione graduale i bimbi vengono condotti alla noncuranza, al disprezzo, all'odio verso la religione. Il termine ideale è di formare degli atei militanti. Com'è naturale, questi fini non sono apertamente confessati dai dirigenti comunisti, ma sono chiaramente confermati dall'esperienza. Ad esempio, ai bimbi viene insegnato che il pioniere non deve andare in Chiesa. Un episodio. È successo a Rossetta (frazione del comune di Alfonsine). Era morto un fanciullo. La maestra accompagnò gli scolari al corteo funebre che fece sosta in Chiesa. Prese a caso per mano un bimbo fermatosi su la soglia della Chiesa e se lo condusse davanti all'altare. L'indomani la maestra si ebbe un forte rabbuffo dal padre: «Mio figlio non può andare in chiesa. È un pioniere», disse. Quel genitore si chiama Federico Mazzotti, capo propaganda della sezione comunista . Presso la Stazione dei Carabinieri di Borgo Panigale (periferia di Bologna) sono depositate le confessioni di quattro bimbe, dell'età di 8 o 9 anni, che parteciparono a qualche riunione dell'A.P.I.. Esse suonano così: « Io un giorno sono andata dai piumieri e delle bimbe mi hanno detto che Gesù non c'era e che ci ha creato Stalin». La bimba Lenzi Adriana di Bruno (taccio l'indirizzo) ha confidato: « Mi hanno chiesto chi ci ha creato. Io tutta franca ho detto: ci ha creato Dio; ma loro mi hanno detto: no, bambina; ci ha creato Stalin». Altra bimba attesta: « La prima volta si ha fatto divertire molto alla palla, alle carti, al pallone; invece la seconda volta si ha dato le caramelle e si ha radunate tutti e si ha fatto imparare le bestemmie contro Dio. Si ha imparato la dottrina di Stalin». I frutti dell’educazione «pionieristica»: fatti e documentiÈ ben facile immaginare quali conseguenze derivino da tali insegnamenti. Disgraziatamente i semi gettati nell'anima dei fanciulli accestiscono con facilità e producono frutti tristissimi. Già fin d'ora, e siamo quasi all'inizio di un'opera tanto deleteria, si può misurare la grandezza del male che sta maturando. Serva a questo scopo la documentazione, che, conforme al nostro metodo, riportiamo senza commenti. Per ovvie ragioni non riferiamo ogni volta nomi di persone e circostanze dettagliate di luogo o di tempo; ma ci assumiamo ogni responsabilità di quanto riferito perché si tratta di cose rigorosamente accertate. In una parrocchia della periferia di Ravenna, ove trovasi un giovane parroco, Don Valgimigli, una sera tre bimbe si recano in Chiesa assieme. Due bimbe sono aspiranti dell'Azione Cattolica; l'altra, di nome Alves Paganelli, è la figlia del capocellula locale e iscritta all'A.P.I.. Tutte e tre s'inginocchiano innanzi a un Cristo morto, collocato sotto la mensa dell'altare. Due bimbe pregano; poi, chinandosi, baciano il volto di Gesù. La terza, la figlia del capocellula, s'inchina anche lei e sputa in faccia al Cristo. Le due amiche, meravigliate, le domandano perché abbia fatto così. Ella risponde: «Tanto, il Signore non esiste». A Piumazzo, Comune del modenese, durante la spiegazione del catechismo da parte del parroco, un gruppetto di ragazzi, con fare sufficiente e insolente, affermò: «Ma noi non ci crediamo in Dio». Le croci di una «Via Crucis» eretta lungo una strada di campagna a Pitigliano, Comune di San Giustino (Perugia), furono spezzate e deturpate tutte, la sera del 26 marzo 1950, da due ragazzi comunisti: Angelo Pellegrini e Marcello Sensi. A Crespellano (Bologna) una giovane maestra delle elementari, all'inizio del mese di maggio, raccomandò alle scolare di portare qualche fiore innanzi all'immagine della Madonna. Si alzò una bimba di terza elementare e disse: «Davanti alla Madonna io ci metto il vaso da notte». In un paesello dell'Emilia, chiamato «la piccola Russia», nel novembre del 1947 si svolgevano le sacre missioni. Per le intimidazioni dei soliti caporioni, pochissima gente si recava ad ascoltare le prediche. Uno dei missionari iniziò un giro di evangelizzazione nei luoghi più lontani dalla Chiesa. Attorniato da alcuni bambini, un giorno ebbe a dire che in quella località sarebbe stata costruita una Chiesa. Un bimbo rispose al missionario: «Provateci! La butteremo giù, mattone per mattone!». A Spino d'Adda (Cremona), diocesi di Lodi, nell'estate del 1949, i rossi, a spese del Comune, organizzarono una colonia per bambini. Il settimanale comunista «Lotta di popolo», descrivendo la vita felice in colonia, al canto di «Bandiera rossa» e degli inni democratici, annotava fra l'altre cose: «Uno di questi ragazzi ha detto che lui con una buona squadra non andrà a dottrina, perché quella non gli riempie la pancia». A Pieve di Cento (Bologna), un ragazzo iscritto all'A.P.I., presente alla conversazione di un gruppo di donne che parlavano del Papa, ebbe a dire: «Piuttosto che incontrarmi e vedere il Papa, preferisco cavarmi gli occhi con le mie mani ed essere cieco per tutta la vita». Tenendo lezione di religione in una scuola elementare, Don Tartarini, parroco di Corticella, nella periferia di Bologna, fece la domanda: «Chi è il Papa?». S'alzò un pioniere a rispondere: «È quell'uomo che vuole la guerra». Ad Argenta (Ferrara) il 30 maggio 1951, poco prima del mezzogiorno cinque ragazzi profanarono orribilmente una chiesetta dedicata alla B. Vergine. Abbattuta la porta, infransero ed incendiarono il tabernacolo, decapitando la statua della Madonna e il Crocefisso. I candelieri e le tovaglie furono gettate sul lastricato centrale. Poi, con gesto nefando, lordarono tutti gli oggetti sacri e principalmente l'altare. I ragazzi sono stati denunciati a piede libero al Tribunale dei Minorenni di Bologna. Si chiamano: Remo Masini e Giovanni Chendi di 14 anni, Angelo Brigoni di 13, Giuseppe Conti e Romano Fusi di 12 anni. Tutti iscritti all'A.P.I.. A Poggetto di S. Pietro in Casale (Bologna), il 28 dicembre 1951, festa dei SS. Innocenti, il Parroco aveva indetto una funzione religiosa pei bimbi. Mentre il Sacerdote accennava alle insidie tese ai fanciulli da certa stampa «a fumetti» e da compagni cattivi, un ragazzo di 11 anni, iscritto alle A.P.I., ebbe ad esclamare pubblicamente: «Queste son tutte fole; noi sappiamo da chi dobbiamo essere educati; loro ci insegnano bene». A Cavaglio di Agogna (Novara) nelle feste natalizie del 1951, durante una processione eucaristica, un gruppetto di cinque ragazzi, dai 10 ai 13 anni, tenne un contegno sfacciatamente irriverente e provocatorio, con pose superiori alla loro età, le quali rivelano evidentemente un insegnamento ricevuto da adulti. I ragazzi, dopo aver insultato ad alta voce, dandogli del traditore, un ragazzo che fu già nelle file dell'A.P.I. e che passava in processione tra i ragazzi dell'Associazione Giovanile Cattolica, presero a schiamazzare provocantemente. Alcuni di essi addirittura fecero una sassaiola, in modo che qualche sasso andò a finire anche presso il baldacchino del Santissimo Sacramento. Qui, sul mio tavolo, tengo l'originale, con tanto di firma e di località, di esercitazioni scritte, fatte da ragazzi e bimbe su gli 11 e 12 anni, tutti iscritti all'A.P.I.. Chiunque li legga non può che sentirsi stringere il cuore da una profonda angoscia. Non si pensi che essi scrissero così perché suggeriva loro qualche persona più anziana; tali esercitazioni furono svolte in breve ora e in locale separato. Ne riporto qualcuna. Il primo gruppo è la risposta ad una domanda così formulata: « Di’ le ragioni per cui credi o non credi in Dio». « Io in Dio non ci credo perché non l'ò mai visto». F. C. « Io credo che esista un Dio perché se non esistesse un Creatore nessuna vita sarebbe possibile sulla terra e nemmeno ci sarebbero corpi se non esistesse un creatore. Ma io chiedo: dove è nato questo Dio? In fine io non credo nei preti perché vogliono emettere un Dio che non si sa se esista o non esista». G. A. « Io non credo all'esistenza di Dio per la semplice ragione che non l'ho mai visto. Dio esisteva nei tempi antichi e predicava l'uguaglianza per tutti, e a quelli che non gli garbava l'uguaglianza l'hanno ucciso. Se esistesse un Dio, un essere supremo, padrone assoluto di una giustizia divina non permetterebbe né delitti, né guerra; né. odi fra fratelli e fratelli e punirebbe chi fa tanto male ai colpevoli. Io credo solamente a ciò che vedo e che tocco». G. S. « Io non credo in una cosa spirituale e perciò in Dio, ma credo nel materialismo di Marx e Engels. Perchè il materialismo è una cosa praticata da tutti e mentre lo spiritualismo non è praticato e non è evidente. Io una volta se vedo Dio a fare cose ancora, come dicono i credenti, mi persuaderei. Nel mio piccolo congegno preferisco una cosa materiale non spirituale; una cosa spirituale potrà anche essere una bugia, perché non si vede ma il materialismo è praticato ed evidente. Io preferisco la linea materiale non spirituale, e perciò non credo in Dio. Potranno far dameno di venire a spiegare, per me è una cosa inutile e impossibile incredibile». M. F. « Io non credo nel spiritualismo quindi non credo nemmeno in Dio. Ma però credo nel materialismo; cioè in uomini specialmente: — Lenin, Togliatti e l'assemblea delle sue file. Ed ho molta fede in loro, cioè ci credo. Ma non in Dio. Non ci credo. Voi volete afforzarmi a credere ma però non mi convincete. Basta». P. V. Ragazzi e bimbe della stessa età cosi commentavano in iscritto il passaggio della Madonna Pellegrina nel loro paese: « Quando è passata la madonna pellegrina vi era poca gente, quella gente criticavano i comunisti. La madonna era fatta di gesso di pinta di vari colori, faceva ridere la gente. Quelli che vi erano dietro cantava la dotrina di Cristo. In quel giorno anno imprigionato un uomo. Quella è la grazia che à fatto la madonna». A. V. « Quando è passata la madonna pellegrina per la mia strada, c'era no poche persone. La madonna era dipinta in una tela. Le persone avevano dei lumi in mano e cantavano. C'erano delle vecchie che per cantare facevano delle bocche che facevano ridere. La madonna era su di un camion, e il prete diceva: «ecco che passa la madonna pellegrina: «Ma io dico che era poco pellegrina perché la trasportavano. Avevano accese delle panadelle, e c'erano delle persone povere che quando vedevano le panadelle dicevano: se le avessimo noi quel le panadelle, a pensare che bruciano per una madonna dipinta in un pezzo di carta. Vicino a me c'erano delle persone che avevano comperato tante lampadine, a pensare che costano così tanto. Però i preti si vede che hanno paura perché tengono dietro di loro la celere la quale uccide dei lavoratori innocenti che cercano lavoro perché De Gasperi non gliene dà». R. G. « Io la Madonna non l'ho mai vista, ma ne ho sentito parlare, che questa è dipinta su una tela e la portano in giro per le strade. Ed intorno vi sono tanti preti che cantano a squarciagola: Evviva Maria! Evviva Maria! Poi ho sentito dire anche che quelle persone che erano dietro alla Madonna Pellegrina ogni tanto dicevano: Vogliamo Pace! Pace! - Poi questa è tutta illuminata da lampade di tutti i colori, ed anche le case vicino alla strada erano tutte illuminate, con lampade che formavano la parola - Evviva Maria. Però la Madonna se voleva farci grazia poteva anche stare in chiesa senza portarla tanto per la strada e farla vedere a tutti. Siamo capaci anche noi di andare a trovare la Madonna in chiesa, senza che ce la sbattino sotto il naso, solo per fare mettere in prigione dei poveri lavoratori». G. M. « Alla sera di una Domenica là a Rossetta è passato la Madonna. Tutto era illuminato. Vicino a casa mia c'è una famiglia la quala aveva messo molti palloni illuminati in aria, le siepi erano ricoperte di fiorellini illuminate da lampade. Sulle finestre quasi tutte illuminate da lampade che formano un bellissimo W Maria. C'erano molte persone con una candela accesa in mano che seguivano la processione facendo dei cori. Spargevano per la via mille fiori e fiorellini bianchi. Io però non aveva illuminato perché se Lei voleva vedere lume passava di giorno. Evviva Maria, Abbasso la celere che ammazza i poveri lavoratori! Quella sera a causa di mia zia si è messo in prigione un uomo.C. E. « Nella sera di un giovedì per la strada di Rossetta è passata la Madonna. Qualche famiglia aveva illuminato perché doveva passare la Madonna Pellegrina. La Madonna era seguita da persone le quali cantavano «Pace, pace» facendo cori. Io però ho visto che oltre ai cristiani la Madonna era seguita dai seguaci di Mussolini cioè i criminali fascisti i quali hanno fatto scatenare la guerra spargendo sangue e torturare i figli del popolo innocenti. Anche ora i fascisti cambiati di divisa col nome di celere continuano ad uccidere a più non posso i lavoratori i quali lottano per il loro pane. Evviva Maria, Abbasso la celere». F. G. Altri documenti che testimoniano come i fanciulli delle A.P.I. vengono educati al disprezzo e all'odio verso il Clero, provengono da un grosso centro della Romagna. A Sant'Arcangelo, nel mese di febbraio di quest'anno, ad alcuni ragazzi di 11 e 12 anni sono state poste delle domande. Ad una, così enunciata: — Si può essere cristiano e portare cattiveria verso il Papa e i preti? —, è stata data la risposta: « La condizione più importante per essere vero cristiano è di amare Gesù. Sì, si può essere veri cristiani portando odio contro il Papa, i Preti e i Vescovi, basta amare Gesù fare buoni azione, perchè i Preti i Vescovi e il Papa ci insegnano a fare il male». L'altra domanda: — Cos'è l'A.P.I.? Risposte come questa: « L'A.P.I. è una associazione che aiuta il P.C.I. a essere più forte. L'A.P.I. è una associazione che dà la libertà la pace e il Lavoro. Essa aiuta i poveri, soccorre i bisognosi e i Preti un giorno immagino che la vorranno vedere deperire, ma l'A.P.I. non la vedranno mai deperire ma aumentare il cento per cento ogni giorno sotto la guida dei grandi A. Gramsci, P. Togliatti, Lenin, Nenni e Stalin ecc...». Così hanno scritto ragazzi e bimbi. Di fronte a tanto male si resta perplessi e sbigottiti. Sì stanno avvelenando le sorgenti da cui dovranno sgorgare le acque della vita delle nuove generazioni. LA FEDERAZIONE GIOVANILE COMUNISTA ITALIANA (F.G.C.I.)Accanto all'A.P.I., l'organizzazione verso la quale in questi ultimi anni è rivolta la particolare attenzione del P.C.I., è la Federazione Giovanile Comunista Italiana. Fu preceduta, come formula e struttura organizzativa, da altri esperimenti che non si sono dimostrati del tutto rispondenti allo scopo, quali l'Alleanza Giovanile, il Fronte della Gioventù, l'Associazione Ragazze Italiane. Essi permangono tuttora, sotto la speciosa veste di organismi apolitici, come specchietti per allodole, per attirar giovani e ragazze al movimento comunista. Servono di richiamo e sono trampolino di lancio. Il vero strumento per la formazione marxista della gioventù è in Italia la F.G.C.I.. Essa raccoglie i giovani dai 14 ai 21 anno . Ha un settimanale proprio che si chiama «Pattuglia». Le direttive per questo lavoro sono partite dall'alto e da persona qualificatissima. L'On. Longo, Vice-Segretario Nazionale del P.C.I., su l'«Unità» (5 Aprile 1949), parlando delle forze giovanili constatava che «già nel 1947-48 l'afflusso di giovani al partito è diminuito». E questo per colpa delle organizzazioni giovanili cattoliche, nelle quali il P.C.I. «ha ora avversari agguerriti». Di conseguenza l'on. Longo insisteva perchè si desse «un maggiore slancio e maggiori possibilità di iniziativa al movimento giovanile, creando la Federazione Giovanile Comunista, cioè l'organismo che deve raccogliere i giovani non solo sul piano di cellula, ma di sezione, di federazione e, infine, sul piano nazionale». Concludeva ammonendo di «rivolgersi ai giovanissimi, i giovani cioè dai 14 ai 18 anni che restavano finora esclusi dalle cellule comuniste», e verso i quali «l’organizzazione cattolica si indirizza invece con ogni cura». In verità la propaganda comunista fra i giovani, da qualche tempo, si è fortemente intensificata; e può dirsi che in certe regioni buona parte della gioventù operaia, cosciente e attiva, o milita nel P.C.I. o è sotto l'influenza di organizzazioni paracomuniste. Ciò che spinge l'attività del partito in questa direzione è la consapevolezza che chi ha con sé oggi la gioventù lavoratrice, avrà dalla sua parte domani la classe operaia. Metodi educativiDirettiva generale all'azione è questa: la nuova educazione da impartire alla gioventù deve neutralizzare, anzi sostituire l'educazione morale e religiosa del cristianesimo. Lo scopo finale: formare i giovani ad una concezione materialistica della vita, temprandoli allo spirito di lotta e conducendoli all'ateismo militante.. I mezzi per tale educazione sono sempre gli stessi: spegnere nei giovani e nelle ragazze il senso morale, istillare la noncuranza e il disprezzo verso la religione. Dimostrare che la F.G.C.I. risulta una scuola d'immoralità non è davvero difficile. Alla base della vita interna e di ogni manifestazione esterna della F.G.C.I. sta un cameratismo assoluto fra giovani e ragazze; non si ha nessun riguardo affinchè la promiscuità non oltrepassi certi limiti, oltre i quali è aperta la via all'immoralità. Come si può conciliare con la morale cristiana il fatto che non vi è manifestazione promossa da associazioni comuniste che non si concluda col ballo? Val poco che si parli di ballo «democratico» o «popolare» per contrapporlo ai balli delle classi aristocratiche. Quando il ballo diventa un metodo, pel quale si sfibra e si corrompe la gioventù, non vi è distinzione che regga. È certo che il P.C.I. è in questi ultimi anni il più tenace e perfetto organizzatore di feste da ballo: ma molti si domandano quale vantaggio da ciò ne derivi alla classe operaia e se sia questo il mezzo migliore per tutelare gli interessi della povera gente. Ogni occasione poi è buona per l'elezione di una miss, di una reginetta, di una stellina. Dalle più grandi manifestazioni nazionali fino alla più modesta festa di cellula è un fiorire prodigioso di stelle e di reginette. Miss Unità, Miss Vie Nuove, Miss regionali, provinciali, comunali e paesane; Miss semina, Miss vendemmia, Miss Reggiane, Miss primavera, ecc.... ecc....; si ha l'impressione di essere ad una « fiera» in cui giudici qualificati selezionano i capi-bestiame e dove gli animali vengono stimati ed ammirati per l'unico pregio: il loro corpo. Manca in tale rassegna una «Miss vizio», e poi la sfilata sarebbe completa. Il fatto che questo costume, tanto poco nobile, sia stato regalato all'Italia dalla civiltà americana, dovrebbe far pensare ai comunisti. Che dire poi della cosa assolutamente nuova nelle tradizioni del popolo italiano, per cui, nelle grandi manifestazioni e parate del P.C.I., sfilano gruppi di ragazze che, calpestando ogni naturale senso di pudore, si presentano in pubblico seminude? Nelle ultime celebrazioni del 1° Maggio, della Festa Nazionale dell'Unità a Bologna, il 23 settembre 1951, tale indecoroso spettacolo raggiunse limiti insopportabili. Per ciò che riguarda il problema religioso, l'educazione impartita ai giovani dai dirigenti comunisti è coerente con la linea marxista. La tattica è la stessa: all'inizio noncuranza della religione, per passare gradualmente al disprezzo dei ministri di Dio e al rifiuto delle verità rivelate. Il punto d'arrivo: l'ateismo militante. Alcuni documenti significativiConfermano la licenziosità nei rapporti fra giovani e ragazze del P.C.I. e le tristi conseguenze che ne derivano, i fatti seguenti: A Ronchi di Crevalcore (Bologna) si recò, in occasione di una festa religiosa, un sacerdote della diocesi bolognese. Costui potè avvicinare una diecina di giovani lavoratori sui 15-16 anni. Gli unici in tutto il paese che avevano partecipato alla processione. Entrati nel vivo della conversazione, i ragazzi ripeterono tutte le calunnie che la stampa e la propaganda comunista insinua contro i Sacerdoti e la Chiesa. Circa la moralità, assicuravano che ognuno di loro aveva 3 o 4 ragazzine « compagne», con cui divertirsi: che si poteva andare a ballare due o tre volte la settimana, e che la vita era bella così, non come insegnano i preti. Interrogati se credevano in Dio e nella religione, risposero: « Nella religione ci crediamo, ma non in quella dei Preti». Durante il Festival giovanile della Federazione Piacentina, svoltosi dal 14 al 17 luglio 1950, fu lanciata la sorpresa di una « quattro giorni di matrimonio simbolico fra i giovani». Un manifestino, diffuso fra la gioventù, avvertiva: « Il Sindaco del Villaggio rende noto che vi sarà pure l'Ufficio Matrimoni e Divorzi. Quattro giorni di pacchia quindi». E aggiungeva che il Sindaco avrebbe rilasciato alle giovani coppie improvvisate un « Certificato di Matrimonio», in cui è detto che i due giovani, « simbolicamente uniti in matrimonio» davanti al Sindaco stesso, si impegnano « sul loro onore di giovani... a trascorrere insieme quattro giorni di felicità». L'odio che è sistematicamente iniettato nell'animo dei giovani, ne avvelena l'animo e difficilmente può essere sradicato. Recentemente si recò a visitare il carcere ove sono detenuti gli uccisori del giovane martire Giuseppe Fanin un Ecc.mo Vescovo. Il mandante del delitto, Gino Bonfiglioli, già segretario della Federazione del P.C.I. di S. Giovanni in Persiceto, alle paterne parole del Vescovo non diede, alcuna risposta. Solo alla domanda se fosse pentito di ciò che aveva fatto, diede questa risposta: « Ho fatto ciò che dovevo fare, e sono contento». Ha avuto vasta eco, suscitando profonda impressione, quanto è avvenuto a Ostina di Reggello (Firenze), alla vigilia delle elezioni amministrative del 10 giugno 1951. Due giovani, sui 16 e 17 anni, appostati ad un angolo della casa, spararono brutalmente contro il parroco Don Emilio Servolini, colpendolo alla gola. Trasportato all'ospedale, e riconosciuti gli attentatori, ha loro perdonato cristianamente. I due ragazzi, Luciano Turini e Guido Maffei, che avevano agito per odio al prete, appartenenti a famiglie estremamente rosse, erano iscritti alla Federazione Giovanile Comunista Italiana. A quale forma di ateismo cinico e conturbante si possa pervenire è dimostrato dai due fatti seguenti, in cui sono protagoniste due ragazze sui 20 anni. Nel 1950, nella parrocchia di Viadagola di Granarolo (Bologna) si svolgeva la tradizionale processione del Corpus Domini. Le strade e le case lungo il percorso della processione erano parate a festa. A un certo punto tutto era disadorno. Se ne seppe presto il perchè. La sera innanzi, la famiglia che stava in quei dintorni, invitata a preparar qualcosa, non volle intendere ragioni. Che anzi una figliola di 19 anni soggiunse: « Non c'è bisogno di preparare niente, noi l'altare per la Madonna e per il Signore l'abbiamo già preparato: c'è il letamaio». In un paesetto del Comune di Castelfranco Emilia (Modena), nel 1949, era morente un giovane sui 25 anni. Lo assisteva negli ultimi momenti la sorella, iscritta al P.C.I. e segretaria dell'A.R.I.. Costei non lo abbandonava un istante, perchè non dovesse far chiamare il prete; e gli suggeriva le più obbrobriose bestemmie. Una ragazza, amica di famiglia, potè ascoltare le ultime parole che la sorella disse al fratello morente: « Se di là ti capita di incontrare Gesù Cristo, sputagli in faccia anche per me». Non è senza un fremito di rivolta che la penna tramanda queste cose. Simili fatti documentano, con una eloquenza senza paragone, la vastità e la profondità del male che vien seminato e già matura in mezzo alla gioventù. Ci sarebbero altri articoli ma non ricordo i siti, appena possibile li metterò. Chiudo con l' Inno della gioventù della pace e la Filastrocca del Pioniere. Inno della gioventù dalla pace ( 5)( mp3) Sulle voci di guerra sorge il canto dell'umanità chiama tutta la terra a quest'inno di fraternità Giovinezza del mondo il tuo coro fecondo si leva unito echeggia ardito domanda libertà
Questa nostra voce non si spegnerà durerà crescerà le menzogne non ci tradiranno più gioventù gioventù LA libertà sull'oscuro mondo brillerà
Questa nostra,,,
Apriremo le porte al cammino della civiltà vinceremo la morte e perenne la pace sarà Giovinezza del mondo il tuo coro fecondo si leva unito echeggia ardito domanda libertà
Questa nostra... Filastrocca del Pioniere ( 6) Tratto dalla rivista "IL Pioniere"
"Che cos'è? Un carabiniere? Un brigante col trombone? Un ginnasta o un pizzardone?", "Ma la smetta per piacere! Lei non sa che sia il pioniere? E' il giornale dei ragazzi, per il qual tutti andran pazzi. Un giornale? Un giornalissimo, per il mondo giovanissimo, Lei potrà vederlo tosto: uscirà la fine d'agosto. E se non è troppo distratto ora le spiego com'è fatto." "Sarà dei soliti giornaletti, con le parole nei fumetti...", "Avrà i fumetti, questo è pacifico, però sarà un giornale magnifico: sei romanzi d'avventure, con bellissime figure e ogni sorta di personaggi, pellerossa, indiani, selvaggi, bianchi, negri, così così, e perfino uomini di...". "Che uomini?". " Ahi! Non mi strappi il braccio perfino uomini di ghiaccio. Foreste vergini città sepolte, navi corsare a vele sciolte... Per riposare di tanti strapazzi ha personaggi buffi e pazzi: Candido, Sambo, Cipollino, Pero Pera che suona il violino, Palatina e il sor Pomodoro che tiene molto al suo decoro". "io protesto, se lei permette la cultura dove la mette?". "Nel Pioniere, non abbia paura, c'è posto anche per la cultura La Storia d'Italia in poesia...". "La storia in versi? Mamma mia!". "Non c'è ragione di temere: l'ha scritta Alberto Cavaliere. Poi, spegata per filo e per segno, ecco la scienza, tutta in disegno. Poi lo sport: un manuale a fumetti per diventar calciatori perfetti, la vita di Coppi romanzata in otto puntate raccontata. E dopo Coppi, naturalmente, Bartali e tutta quell'altra gente". "Quanta roba, poffarbacco! Batterà tutti per distacco". "Caro Signore, lei deve sapere che proprio questo è un Pioniere il primo in tutto, il più coraggioso il più giusto, il più generoso, primo a scuola, già si sà, e nell'amare la libertà". "E quando arriva? Tardi o tosto?". "Gliel'ho già detto: a fine agosto!".
| | |
| |
|