PROSPETTIVA POSSIBILE MA NON VICINA (UNA PREMESSA)

« Older   Newer »
  Share  
stalinlover
view post Posted on 24/8/2010, 11:34




PROSPETTIVA POSSIBILE MA NON VICINA (UNA PREMESSA)

di Giellegi il 22 ag ‘10

Seguire il teatrino della (non) politica in questo paese (ma non solo qui) richiede una grande capacità di resistenza alla noia e al disgusto. E’ stato Berlusconi a coniare l’espressione “teatrino, ecc.”, ma vi partecipa ormai con estremo piacere egli stesso. E anche la Lega, che apparentemente in certi momenti sembra più rude e non aliena dal rompere le uova nel paniere, in realtà compie equilibrismi che di vera politica hanno ben poco pur di raggiungere il famoso federalismo, che fra poco sembrerà l’“araba fenice”, di cui si capiranno, solo dopo anni e anni, l’esito e i costi (non solo economici).
Del resto, è ormai opinione diffusa che non esistono più destra e sinistra; ma chi semplicemente ciancia di costruzione di un centro è ancora più mentitore degli altri. In particolare, è del tutto inesistente la sedicente sinistra. Intendiamoci bene: questo schieramento è ormai, in tutta Europa (e direi anche negli Usa), la parte più conservatrice, forse reazionaria, degli schieramenti politici per quanto riguarda la politica economica. Opporre all’indubbiamente devastante neoliberismo un po’ di spesa pubblica, il mantenimento di uno Stato sociale, ormai esclusivamente assistenziale e fonte di assoluta improduttività, è atteggiamento affossatore di ogni prospettiva che non sia quella di diventare succubi di chi produce e sviluppa potenza in vista della competizione multipolare ormai in piena avanzata (e che non è per nulla puramente economica, limitata al sedicente mercato globale; questa la colossale menzogna dei neoliberisti, la loro funzione pur essa reazionaria).
Quella che viene detta sinistra è invece apparentemente progressista sul piano della “modernizzazione” dei costumi, del sedicente laicismo sul piano dei cosiddetti diritti civili. In linea di principio, tali diritti sono per me approvabili, se non fosse che i loro sostenitori celano carenze gravissime appunto sul piano della politica economica; che poi, come già detto, è economica solo nella terminologia perché implica invece una ben precisa linea politica generale, che incoraggia nel proprio paese il mantenimento di settori ormai “maturi”, fonte di arretratezza e di indebolimento a favore, sul piano internazionale, della potenza ancora in vantaggio (Usa). Di conseguenza, diventa difficile e ambiguo appoggiare, in una situazione simile, il giusto (per me) estendersi dei “diritti civili”, poiché un simile appoggio significa favorire l’azione di questa sinistra di totale asservimento ai parassiti interni e ai padroni (vecchi e nuovi) sul piano internazionale.
Tuttavia, negli altri paesi europei (almeno in quelli occidentali e nordici), la sinistra ha storia e tradizioni di lunghissima data. In Italia è ora di mettersi in testa che non esiste proprio uno schieramento siffatto, che abbia una sua storia. Il nucleo centrale è costituito da gruppi di rinnegati del “comunismo” (nemmeno era tale, ma adesso non discutiamo pure tale problema). Hanno rinnegato per salvarsi dal “crollo del muro”, e lo hanno fatto senza la benché minima riflessione autocritica, fingendo di non aver mai appartenuto a “quel mondo crollato” e vendendosi, quali luridi lacchè, alla nostra Confindustria e alla “manina d’oltreoceano” cui quest’ultima si era strettamente legata per lunga abitudine al tradimento e al servaggio (a partire dal luglio del ’43); si sono dati il blasone di “antifascisti”, ma erano, e sono, solo dei voltagabbana, dei cialtroni pronti a qualsiasi basso servizio (tipo quelli della Fiat, che oggi sta raggiungendo il vertice della sua svendita agli interessi Usa).
Attorno al nucleo centrale dei sedicenti postcomunisti – termine edulcorato per intendere puri traditori e “bastardi senza gloria” – si sono messi, nemmeno fossimo in uno dei paesi “socialisti” della vecchia Europa orientale quando era area del predominio sovietico, alcuni spezzoni minori, i più pronti a servire e inchinarsi di fronte ai padroni, della Dc e del Psi scomparsi ad opera di “mani pulite”; operazione di servaggio compiuta da una malefica magistratura per null’affatto indipendente, anzi politicizzata al massimo grado (mi dispiace, ma in questo Berlusconi dice la verità al 100%; è l’unica cosa “veramente vera” che dice). Di fatto, in questo sporco modo, che tranciava di netto ogni discorso politico e lo celava dietro l’ipocrisia di un’operazione di “pulizia etica”, ci si preparava ad attuare la svendita del paese decisa, fra l’altro (si tratta solo del “fatto” più noto ed evidente), sul panfilo Britannia nel giugno del ’92.
Dire che questo agglomerato di voltagabbana – di rinnegati incapaci del più piccolo tentativo di dare una patina di giustificazione al loro tradimento per “salvarsi il culo” – è la “sinistra”, è un’offesa a tutti coloro i quali, pur restando interni alla riproduzione dei rapporti capitalistici, hanno costituito l’ala in qualche modo riformatrice (non si senta questo termine come carico di valore solo positivo, poiché non lo è affatto sempre e in ogni caso!) di tale riproduzione sociale. Questo informe accumulo di spazzatura politica della “prima Repubblica” è semplicemente la longa manus degli ambienti economici, sia produttivi (i più arretrati o “maturi”) sia finanziari, abituati a vivere di sostanziale parassitismo ai danni del lavoro dei ceti più produttivi. Questi ambienti – e più di una volta ho segnalato un qualche parallelismo con i proprietari di piantagioni di cotone nel sud degli Usa, annientati dall’industria del nord nel 1861-65 – non possono che appoggiarsi allo straniero. Per ragioni storiche evidenti – seconda guerra mondiale, patti di Yalta, infine crollo del “socialismo”, ecc. – gli ambienti in questione sono ormai tentacoli, anzi soltanto ventose, del “polipo” statunitense. La sedicente sinistra italiana non ha dunque nessuna storia o tradizione di “riformismo” alle spalle; si tratta di “servi dei servi”, punto e basta.
Quei pochi settori del management “pubblico” e dell’industria strategica non spazzati via da “mani pulite” – cioè dal colpo di mano filo-statunitense intriso di moralismo ipocrita in grado di ottundere ogni comprensione politica dei fatti – non hanno potuto trovare di meglio di Berlusconi per resistere e mantenere qualche spezzone del vecchio impianto produttivo ancora in piedi. Non credo affatto che ne siano stati molto contenti, e dubito che lo siano adesso. Tuttavia, ci si è scordato che lo stesso Berlusconi ha fatto il possibile per non entrare direttamente in politica. Ha appoggiato il patto Maroni-Segni, fatto saltare in 24 ore da Bossi (vero prodromo del ribaltone dell’anno successivo, dopo essere entrato nel calderone della sedicente destra che vinse le elezioni nella primavera ’94; un ribaltone per nulla affatto ancora spiegato se non, come al solito, con false motivazioni d’ordine personale). Solo alla fine (dicembre ’93, con fondazione di Forza Italia nel mese e anno successivo), l’attuale premier entrò in politica.
Fu scelta infelice, ma del tutto obbligata. Quindi, contrariamente a quanto si continua a far credere (anche da destra, non solo da sinistra), quell’entrata in politica fu esclusivamente un atto di resistenza al colpo di mano che voleva consegnare l’intero potere nelle mani dei “servi dei servi” (la finta sinistra, anch’essa creazione artificiale, pur se costituita da “politicanti di professione”, quelli minori però, quelli di infima qualità, i più adatti alla servitù). Poiché si fingeva che “i servi dei servi” fossero la “sinistra”, la forza di “resistenza” – insisto: un calderone indigesto di tanti “resti” – fu indicata come “destra”. Figuriamoci quindi cosa si deve pensare di quei cialtroni che adesso sostengono: non se ne può più del bipolarismo, creiamo un centro. Quest’ultimo vuol solo sostituire i “servi dei servi” della finta “sinistra”, dato il loro evidente fallimento dopo sedici anni di tentativo di far fuori Berlusconi – cioè quanto ancora resiste del management “pubblico” e dei settori strategici – a tutto vantaggio dei padroni Usa. Se però vogliono portare avanti il solito disegno, che già fu della sinistra, dovranno alla fine allearsi con quest’ultima, cioè con i falliti.
Di fronte a questi reiterati e stucchevoli tentativi, di fronte a queste falsità su sinistra e centro, cosa fa quella che finge di essere una destra? Avalla la finzione, e cerca di convincere: a) che una parte della destra ha tradito, ma solo a causa delle ambizioni di Fini, che si tenta di distruggere con gli stessi impropri e luridi metodi usati dalla sinistra nell’intento quasi ventennale di distruggere Berlusconi; b) che è forse possibile sostituire questi finiani con almeno una parte del centro, come se quest’ultimo potesse auto-liquidarsi non adempiendo gli scopi per cui esiste, gli stessi dei “servi dei servi”, che esso è chiamato a sorreggere dopo il loro fallimento. Se il finto centro si alleasse con la finta destra, sarebbe solo per non andare ad elezioni per esso fallimentari, per logorare altri sei mesi, massimo un anno, il governo onde disaffezionare ancor di più gli elettori che non ci capiscono più nulla, sono menati per il naso in un modo fra l’indegno e il ridicolo. Solo così ci si può liberare del premier e finalmente adempiere il servizio per cui tutto questo informe ammasso di squallidi personaggi fu creato con la sporca operazione impudentemente denominata “mani pulite”.
E liberarsi del premier è presentato solo agli impolitici elettori della sinistra – quella dei ceti medi che vivono di assistenzialismo “pubblico” o alimentati, per fingere una sempre più putrida egemonia culturale e ideologica, dall’imprenditorialità parassita e succube degli Usa – come fatto di pulizia etica e abbellimento estetico. In realtà, si mira ad annientare i pochi settori del management “pubblico” e dell’industria strategica che hanno resistito alla suddetta sporca operazione e rappresentano un’ancora possibile base per acquisire maggiore autonomia nazionale. E’ evidente che questi settori sono stati costretti – in mancanza di meglio e non avendo più il controllo dei corpi speciali, ormai influenzati quasi in toto dalla loro appartenenza alla Nato, cioè all’area di influenza statunitense – a scegliere Berlusconi.
Questi (cioè il gruppo che lo ha impropriamente portato al vertice) costituisce, lo ribadisco, solo una blandaresistenza al cedimento completo con consegna del nostro paese al totale imperio degli Usa. Si è resistito sedici anni, ma non si riesce a far più di così perché non si è certo rappresentanti di un’effettiva indipendenza; ci saranno anche delle incapacità personali, ma soprattutto mancano le basi di un solido e reale contrattacco, politico e non a base di scandali e “marciume etico”, finalmente in grado di provocare la disfatta dei parassiti dell’industria “matura” e della finanza governata dall’ex vicepresidente della Goldman Sachs e popolata di ben noti personaggi, fra cui l’attuale presidente dell’ABI.
Senza questa disfatta – della cui realizzazione gli attuali governanti non sono capaci; e, appena tentano qualche appena timida operazione in tal senso, un gruppo di “traditori” si manifesta al loro interno. Si dovrebbe capire infine il perché; no, invece, si evita sempre di chiarirlo e si tiene in serbo un ulteriore gruppo dello stesso genere per la prossima occasione! – non potrà mai essere iniziata, con reale vigore e stabilità, una non impossibile politica di autonomia. Certo, per metterla in moto bisogna spazzare via i “servi dei servi”. Le prime mosse dovrebbero riguardare il totale annientamento di ciò che resta della struttura organizzativa di quell’orrido miscuglio che viene chiamato “sinistra”. Parlo ovviamente della struttura politico-professionale composta da coloro che furono “scelti” da Usa e nostra Confindustria per essere messi al governo di un paese reso docile ai loro voleri; non si tratta della “massa” abituata a votarli attraverso un lungo processo di arretramento della comprensione di che cos’è la politica, processo condotto sistematicamente anche con l’ausilio (non credo però decisivo) di un ceto intellettuale ormai complessivamente modificatosi rispetto a quello realmente attivo nella Resistenza e nei primi decenni post-bellici. E’ tale struttura che andrebbe “neutralizzata” nella futura epoca multipolare.
Difficile che sorga presto all’interno del paese la forza capace di simili azioni. Credo si debba guardare a quanto potrebbe accadere in Europa, e credo soprattutto in Germania. Ma tali considerazioni ad una prossima puntata; qui si trattava solo della premessa ad un possibile futuro di ritrovata dignità, che non credo nascerà in breve volger di tempo e per impulso solo endogeno; occorre una “scintilla d’accensione”. Occorre capire se questa può scoccare e dove.



 
Top
babeuf
view post Posted on 24/8/2010, 12:19




...Maronna.. delirio illegibbile e pro-Silvio...
 
Top
stalinlover
view post Posted on 24/8/2010, 16:39




pro silvio????
 
Top
babeuf
view post Posted on 24/8/2010, 17:47




L'articolo sostanzialmente legge l'azione di Silvio come un"blanda resistenza alla svendita del paese" ,mentre da Fini a Vendola sarebbe in campo il partito americano.
Sostanzialmente il La Grassa pensiero. Non che non ci siano elementi di verità in questo discorso, ma il rischio del delirio politico è molto forte. Radicalizzando fino in fondo questo ragionamento bisognerebbe costruire gli arditi del popolo in difesa del premier..


CITAZIONE (stalinlover @ 24/8/2010, 17:39)
pro silvio????

 
Top
stalinlover
view post Posted on 24/8/2010, 18:01




non mi pare, anzi...leggo invece in questo articolo una forte critica alla destra.
Detto ciò non si tratta di radicalizzare, ma di prendere come buoni alcuni spunti che, a mio modesto parere, sarebbero più che utili ad una certa sinistra radicale per riguadagnare punti.
Il primo di questi fattori è la subalternità della sinistra TUTTA a Confindustria.
Il secondo di questi fattori è la subalternità ALMENO al modello progressista americano (mi si consenta solo questo passaggio), e non vado oltre per non attirarmi altri malumori.
Il terzo è l'inadeguatezza della destra nel rispondere agli affondi del potere finanziario globalizzato.
Il quarto è la subalternità della Lega pur di arrivare al federalismo, senza il quale perderebbe faccia e consensi.
In ultimo parla di un POSSIBILE contraccolpo (gradito) di cui potrebbe essere autrice la Germania (unica partner europea della Cina, è bene ricordarlo).

Insomma, carne al fuoco ne ha messa, si tratta di rifletterci su e capire cosa funziona di questo ragionamento e cosa no
 
Top
babeuf
view post Posted on 24/8/2010, 18:15




Ho difficoltà ad utilizzare la categoria "ragionamento" quando isi utilizzano le categorie "servi dei servi", "traditori", "luridi metodi per eliminare Berlusconi". Siamo a metà tra il linguaggio del Pmli e quello di Feltri.
Credo che contro la evidente subalternità del centro-sinistra alla confindustria faccia molto di più la Fiom (con tutti i suoi limiti oggettivi) che un articolo del genere..
 
Top
LokiTorino
view post Posted on 24/8/2010, 19:52




Glg non prende in considerazione il fatto che la "sinistra radicale" è cosa-altra rispetto ai subordinati di confindustria. Il problema che fa rientrare dalla finestra il discorso di glg è la sostanziale sudditanza della sinistra vendoliana al modello progressivo USA e il fatto che il prc, non avendo una lira, per rimanere in piedi sarà disposta a farsi cucire il culo dal pd. Quindi sostazialmente glg ha ragione.
 
Top
stalinlover
view post Posted on 26/8/2010, 08:59




Anche in considerazione del fatto che la FIOM è un sindacato, o parte di esso, che allo stato attuale delle cose trova poca corrispondenza in un partito di sinistra.
Insomma, il sostegno alla FIOM non trova corrispondenza in nessun partito facente parte dell'attuale quadro politico
 
Top
stalinlover
view post Posted on 27/8/2010, 08:21




all'attacco di Tremonti


PROSPETTIVA POSSIBILE, MA….. (CONTINUA) di Giellegi il 26 ag. ’10

Ormai, la sedicente politica (le meschine manovre cui si dà questo nome) avvengono del tutto sotto traccia, e vengono rappresentate da media miserabili come una continua contrattazione (con insulti reciproci) a livello puramente personale, con la citazione solo occasionale e di striscio di importanti protagonisti del tipo di quelli confindustriali e finanziari; nel mentre, ovviamente, la ben nota “manina d’oltreoceano” è del tutto obliterata, così come lo sono i non pochi viaggi delle massime autorità di questo paese negli Usa. Impossibile per noi, figuriamoci per il largo pubblico, capire cosa verrà fuori alla fine del continuo rimestare nel truogolo di maneggi, che non riguardano per nulla la vita e i problemi dei cittadini, sempre chiamati in causa come fossero i depositari, mediante elezioni “democratiche” (probabilmente la più grande menzogna sostenuta nell’epoca moderna), della “volontà generale”, cioè della volontà del “popolo”; morta astrazione che designa la massa dei poveri disgraziati storditi e vessati dai gruppi truffaldini della sfera economica e di quella politica.
Tutti sono pronti a “tradire” tutti; dove tradire non ha il significato proprio, che è, ad es., quello dell’atto compiuto dagli ex piciisti nei primi anni ’90 per salvarsi, vendendosi, dal “crollo del muro”. Qui tradire significa semplicemente l’arrabattarsi di piccoli e miseri cialtroni nel tentativo di essere all’altezza dei mandanti; del resto anch’essi non proprio migliori dei mandatari. Forse l’unico progetto che, in qualche modo, possa dirsi politico è quello che vede al “centro” (del palcoscenico, solo di questo) il ministro Tremonti. Provo a razionalizzarlo, ma con enorme difficoltà; quindi è evidente che quanto dirò serve solo da schema per successivi aggiustamenti, che temo saranno molteplici e frequenti. Intanto, non so fino a che punto il ministro abbia dietro di sé la Lega come solitamente si sostiene; probabilmente solo una parte (rilevante però) di questa è in relazione con i progetti di cui egli si fa portatore. Inoltre, difficile dire se Tremonti e la Lega preferiscano veramente nuove elezioni o siano al proposito più elastici di quanto non sembri.
Il ministro è pezzo importante dell’Aspen Institute; e questo è ben legato ad ambienti (soprattutto finanziari) americani. Nel contempo, egli tenta un’azione verso la finanza cattolica, confidando in settori di questa che, dopo pesanti sconfitte (si pensi al cambio di Fazio con Draghi, uomo di riferimento della finanza d’oltreoceano), accederebbero a qualche forma di compromesso. Così pure lo scontro, come al solito reso personale, tra governatore della Banca d’Italia e ministro (li metto entrambi in minuscolo per parità di condizioni) sembra passibile di sempre nuovi compromessi. Il secondo ha tuonato a suo tempo, perché era utile alzare la voce per far intendere l’esigenza di atteggiamenti “duttili e responsabili”, contro la finanza, resa responsabile della crisi nel suo aspetto più appariscente. Egli ha sostenuto inoltre, con “aria ispirata”, che non si tratta di mera crisi, ma di passaggio d’epoca, in cui si andrebbe affermando una nuova etica degli affari (mi si consenta un bel BUM, come le spara grosse!).
Adesso è sceso dal piedistallo e diventa più mite nella sua azione verso (non contro) la finanza, e meno “epocale” nelle dichiarazioni. La finanza italiana (quella americana sta sempre dietro le quinte in “queste faccende”) ha parlato sostanzialmente in favore del ministro per bocca di Geronzi; poiché questi è il banchiere che, del tutto impropriamente a mio avviso, è ritenuto più vicino a Berlusconi. E’ invece più semplicemente l’uomo meno esposto contro Berlusconi; dato che non si è messo in bella mostra alle “primarie” del Pd all’epoca di Prodi e poi Veltroni, come hanno fatto altri banchieri ben noti. Per il momento, Tremonti è ministro del governo di centrodestra; quindi Geronzi è il più adatto a parlare a nome della finanza (forse non tutta, ma credo la parte più rilevante, almeno in questa fase). Nello stesso tempo, Tremonti è il più adatto, sempre in questa fase, a pensare ad una non lontana sostituzione di Berlusconi, senza arrivare a “giubilare” quest’ultimo eleggendolo Presdelarep, cosa su cui molti avrebbero da ridire; non parlo del “popolo”, mi riferisco a molti dei mandanti, a molti dell’establishment, a molti che tramano i giochetti del tutto invisibili a chi, con il voto, esprimerebbe la “volontà generale”.
Se è in atto un tentativo (solo un tentativo al momento) di compromesso tra finanza americana (strumento di centri strategici ben più decisivi) e quella della Chiesa – compromesso utile (forse) ad entrambe in vista del conflitto multipolare – è evidente che vengono in primo piano in Italia il ministro e Geronzi. Se il tentativo fallisse, tornerebbero in posizione “d’avanguardia” l’ex vicepresidente della Goldman Sachs (spero non vi sia bisogno del nome) e i banchieri delle primarie del Pd. Cos’ha detto Tremonti a Rimini? Ha accennato a vari temi, forse non tutti da prendere sul serio perché di chiacchiere certuni hanno una scorta pressoché infinita. Tuttavia, è sembrato mettere in primo piano aiuti alle famiglie (buon viatico per avvicinare la Chiesa), pur sempre chiarendo però che si deve stare attenti ai “conti pubblici”. Più indietro vengono invece collocati – non dimenticati, ci mancherebbe, solo “messi dopo” – la ricerca e un alleggerimento del fisco, richiesto in modo particolare dalle PMI, dai lavoratori “autonomi”.
Mettere “dietro” la ricerca non è mossa da considerarsi ipso facto sfavorevole alla nostra industria strategica, ma potrebbe essere un’indicazione (un segnale lanciato oltreoceano) che non è prioritaria la politica di appoggio ad essa, una parte della quale (una parte fondamentale, quella della golden share) è ancora in “mano pubblica” pur dopo la svendita ai privati effettuata quasi in toto dalla sedicente “sinistra”. Nemmeno è indicazione inequivocabile il previsto ritardo nella revisione fiscale. Tuttavia anche in tal caso è possibile una “maliziosa” interpretazione; tanto più che il ministro si è lanciato – nemmeno fosse Montezemolo – nell’ormai stucchevole notazione circa l’eccessivamente piccola dimensionalità delle nostre imprese, con grave danno per la loro competitività nel “mercato globale” (siamo alla conversione al neoliberismo?).
La nostra scarsa capacità di competizione non dipende affatto dalle troppo piccole imprese (familiari o quasi), bensì dalla nostra insufficiente autonomia nazionale, che ci lascia in balia del vecchio paese centrale nel “campo capitalistico” per dominare il quale fu forgiata la Nato, non a caso creata con la scusa di fronteggiare il nemico “socialista”, e mai sciolta dopo il crollo di quest’ultimo con la scusa della Spectre di Bin Laden e altre balle consimili. Le piccole, anche piccolissime, imprese hanno invece sempre rappresentato un ammortizzatore sociale nonché un elemento di maggiore resistenza alle recessioni e, oggi, anche alla crisi. Sono inoltre state la base della stabilità socio-politica in senso nettamente conservatore.
In ogni caso, non è per cambiare questo loro carattere che agisce Tremonti. Non a caso, ha pure promesso di spingere la finanza ad allargare i cordoni della borsa verso queste imprese. Diciamocelo con franchezza: non diminuire il peso fiscale e aumentare l’esposizione debitoria, approfittando anche della situazione di crisi, è un bel modo per strozzare questo settore piccolo-imprenditoriale e di lavoro “autonomo” onde meglio piegarlo ai “consigli” dell’importante membro dell’Aspen Institute (appendice degli Usa e della loro finanza); in definitiva, si vuol renderlo subordinato e puntello sociale del tentativo di compromesso Vaticano-Usa.
Se si riduce l’importanza dei settori di punta (e in “mano pubblica”) – e si fa il possibile per creare un blocco sociale conservatore alle dipendenze di un più o meno stabile o invece labile accordo tra Chiesa e ambienti economico-politici italiani legatissimi alla finanza americana (in quanto strumento di precise strategie di quel paese nell’ambito del conflitto multipolare) – non possiamo non capire dove si voglia andare a parare. Quel poco di apertura verso est (Russia in specie) e verso il mondo arabo (limitata in sostanza a Gheddafi, ma con prospettive di maggiore allargamento) verrebbe a chiudersi. L’Italia – che ha già compiuto nell’ultimo anno importanti arretramenti rispetto alla politica estera timidamente sviluppata soprattutto a partire dall’estate 2003 (incontro Putin-Berlusconi in Sardegna) – si ritirerebbe completamente nel “patto atlantico” con tutto ciò che ne consegue. Il tentativo, che porta in auge Tremonti (semplice personalizzazione di un processo assai poco personale), è probabilmente, al momento, uno dei più insidiosi, se non il più insidioso (però non il peggiore perché c’è almeno un’idea politica e non la pura demenzialità di assemblee costituenti).
Difficile dire quanto la Lega (e quale parte di essa più probabilmente) stia in appoggio a simile progetto; certo non credo ne sia estranea. Ancora più complesso decifrare il ruolo del cosiddetto “centro”. Più lampanti credo siano gli intenti della “sinistra” (ho già chiarito che essa nulla ha a che vedere con le tradizioni e la storia dell’autentica socialdemocrazia) e dei finiani. Queste accolite hanno il servile compito di spostare l’asse dell’eventuale compromesso a maggior favore degli Stati Uniti, candidandosi inoltre a rappresentare un nuovo tentativo di completo asservimento dell’Italia a tale paese nel caso che l’accordo tra esso e il Vaticano fallisse; quell’asservimento che fu già cercato, come illustrato molte volte, all’epoca della riunione sul Panfilo Britannia e dell’operazione “mani pulite” con l’“elezione” (non certo mediante voto) degli ex piciisti, subitaneamente cambiatisi di “casacca”, a rappresentanti, succubi e privi di qualsiasi voce in capitolo, della Confindustria agnelliana a sua volta “alleata” (eufemismo) del “padrone” (padrino) statunitense.
Questo la momentanea – quanto durerà questo momento? – “fotografia” della mefitica situazione italiana. Può mutare al più piccolo soffio di vento. Forse bisogna pensare ad un quadro di maggiore ampiezza, ma ancora più incerto in una fase storica siffatta. In ogni modo, procederemo nell’analisi sulla base di opportune, e non irrealistiche, ipotesi. Questo l’atteggiamento di chi non sogna orizzonti impossibili e per i secoli venturi. Siamo contro ogni forma di immaginazione (che mai andrà al potere!) e di utopismo, che oggi non ha nemmeno la grandezza del passato, ma è soltanto la piatta esposizione delle inutili (e ipocrite) aspirazioni delle “anime belle”, molto “trasversali”, presenti sia nella “destra” che nella “sinistra”; ovviamente nelle loro frange “radicali”, assai “estreme” (a chiacchiere), che si alleano per deviare l’energia di quelle poche forze giovanili attualmente esistenti sul fronte della non supina accettazione dell’“esistente”.


 
Top
rikycccp
view post Posted on 27/8/2010, 10:23




Poco propositivo come sempre, però l'analisi è molto interessante
 
Top
stalinlover
view post Posted on 27/8/2010, 16:38




beh, non mi aspetto proposte da glg.
C'è invece uno scardinamento della posizione tremontiana che è veramente interessante, soprattutto in considerazione del fatto che T stava bucando a sx.
Certo che il colpo basso del discorso al meeting di CL deve aver fatto ricredere molti :D
 
Top
10 replies since 24/8/2010, 11:34   173 views
  Share