Fukushima – Febbre nucleare

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LokiTorino
view post Posted on 16/3/2011, 09:09




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Cari lettori di Camminando Scalzi, quest’oggi vorrei abbandonare un po’ i panni dello scienziato cazzaro per parlarvi di un tema purtroppo di recentissima attualità. Immagino che tutti voi sappiate del terremoto, con annesso tsunami, che ha colpito il Giappone nei giorni scorsi. E saprete anche che tra le conseguenze più pericolose di questa catastrofe c’è il danneggiamento di alcune centrali nucleari. Tengo subito a precisare che, sebbene il sottoscritto abbia le proprie opinioni riguardo il ritorno del nucleare in Italia (sono contrario, per tutta una serie di questioni più di carattere tecnico, con le quali non intendo tediarvi), lo scopo di questo articolo è fare un po’ di chiarezza. Leggendo infatti i vari articoli sparsi per la rete o ascoltando le notizie è piuttosto manifesta, a chi ha alle spalle gli studi giusti, la quantità industriale di errori, inesattezze, imprecisioni e, perché no, catastrofismo gratuito e giustificato solo dalla maggiore tiratura.



TECNICALIA

Prima di passare a illustrarvi un po’ quel che è successo, permettetemi di fare una piccola introduzione tecnica. Abbiamo già parlato di nucleare su CS; per il funzionamento generale di un reattore vi rimando a questo mio precedente articolo, mentre in questa istanza vorrei scendere un po’ più nei dettagli necessari poi a capire bene la catena di eventi che si sono verificati nella centrale di Fukushima, e qual è la situazione attuale. I reattori di questa centrale in riva all’oceano Pacifico sono del tipo ad acqua bollente (BWR). I pellet di combustibile sono raggruppati a formare il nocciolo del reattore all’interno di barre in lega di Zirconio, metallo estremamente resistente alle alte temperature, alla corrosione e soprattutto trasparente ai neutroni, che sono necessari a indurre la fissione nell’uranio. Il core del reattore è a sua volta inserito all’interno del pressure vessel, una sorta di pentolone a pressione che contiene il suddetto core, immerso nell’acqua di raffreddamento, che bolle per effetto del calore sprigionato dalle barre di combustibile che fissionano. Il vapore generato viene incanalato ad alta pressione all’interno delle turbine, per poi passare in un condensatore e ritornare a raffreddare il nucleo. Diversamente dai reattori ad acqua pressurizzata francesi (che vogliono installare anche in italia), nei quali l’acqua non passa mai alla fase di vapore, per effetto dell’altissima pressione a cui viene mantenuta. Si tratta di un design piuttosto antiquato, definito “di seconda generazione” e risalente ad almeno 50 anni fa. Certo col tempo sono avvenuti ammodernamenti (soprattutto per quanto riguarda la ridondanza dei sistemi di emergenza, backup e raffreddamento), ma la sostanza non cambia molto. Questo tipo di reattori hanno sicuramente numerosi svantaggi, il primo dei quali è sicuramente il lavorare in transizione di fase: l’acqua che arriva alle turbine sotto forma di vapore è la stessa che raffredda il core, quindi leggermente attivata dai (in realtà pochi) neutroni che l’idrogeno cattura. De facto abbiamo 3 tipologie di materiali radioattivi: il carburante, con tempi di decadimento nell’ordine dei miliardi di anni; i prodotti della fissione, con tempi di vita medi e che si trovano anch’essi all’interno delle barre di zirconio, e gli isotopi presenti nei gas e nell’acqua che vengono attivati dalla cattura di alcuni dei neutroni che dovrebbero alimentare la reazione. Questi ultimi sono a tempi di vita brevissimi, e non sono un pericolo per l’uomo dato che scompaiono nell’arco di qualche giorno al massimo. Tutto questo prende posto all’interno del terzo livello di contenimento, un guscio di acciaio che racchiude ermeticamente il vessel, le tubature per il sistema di raffreddamento, le pompe etc., e il cui compito è quello di “contenere” appunto radiazioni, eventuali nuclei fusi, barre di controllo, in generale tutto quello che può venirsi a creare durante un qualsiasi incidente. Il quarto guscio è rappresentato dall’edificio del reattore (quelli che sono esplosi nei giorni scorsi, per intenderci), che non ha il compito di schermare dalle radiazioni.



I FATTI: CRONOLOGIA DI UN DISASTRO (ma poteva andare peggio)



Innanzitutto, voglio tranquillizzarvi: in NESSUN MODO il materiale presente all’interno del nucleo di qualsiasi centrale può originare un’esplosione tipo bomba atomica: l’uranio per le bombe atomiche ha bisogno di essere arricchito almeno al 95% (ovvero, 95 parti su 100 devono essere di U235, mentre in natura questa percentuale si attesta attorno allo 0,7 %), quello all’interno delle centrali è solo leggermente arricchito, al 3 – 5% . Non può neppure succedere qualcosa di simile a quanto accaduto a Chernobyl, la cui fusione del nocciolo è avvenuta per una sfortunata concatenazione di eventi, errori di progettazione e umani. Il reattore di Chernobyl infatti era progettato per produrre energia e plutonio in grande quantità, tralasciando un po’ la sicurezza. I reattori RBMK di questo tipo hanno un coefficiente di vuoto positivo: in pratica la velocità delle reazioni nucleari aumenta al diminuire dell’acqua presente nel vessel, mentre nei reattori moderni accade l’esatto contrario. Concentrandoci su quanto accaduto in Giappone invece, possiamo stilare una sorta di cronologia di quanto accaduto in sequenza:



1. Il terremoto colpisce il Giappone. Magnitudo 8.9 della scala Richter, circa 10 volte più potente di quanto studiato per la sicurezza degli impianti. Che però rimangono ugualmente in piedi. Pollice in alto per gli ingegneri giapponesi, in questo caso. E funzionano anche i sistemi di sicurezza dei reattori, che vanno in spegnimento automatico, e vengono abbassate le barre di controllo. Queste barre, generalmente in cadmio, assorbono i neutroni, “uccidendo” le reazione di fissione all’interno del core. Rimane del calore da smaltire, circa il 3% di quanto viene prodotto al reattore a regime, proveniente dal decadimento dei prodotti radioattivi della fissione. Il terremoto ha però messo fuori uso i sistemi di alimentazione esterna del circuito di refrigerazione. L’acqua viene fatta circolare da pompe alimentate da motori diesel d’emergenza.
2. Arriva lo tsunami, che spazza via tutti i motori diesel d’emergenza. Entrano in funzione le batterie di emergenza per le pompe di raffreddamento, se vogliamo il “backup del backup”. Ma le batterie durano solo un’ora, finita la quale le cose iniziano a farsi serie. Se non si riesce a ripristinare il raffreddamento infatti, il nocciolo finisce per fondersi (dopo ore o giorni) sotto l’effetto di quel 3% di calore residuo, e a quel punto rimane solo il terzo contenimento. Al momento in cui sto scrivendo, sembra che alcuni dei noccioli in questione abbiano iniziato effettivamente a fondersi.
3. La pressione continua a innalzarsi all’interno del vessel, dato che c’è sempre più vapore caldo e sempre meno acqua. Si inizia quindi a far sfiatare il vapore all’interno del vessel tramite apposite valvole. La mistura di vapore e aria è leggermente radioattiva; cosa che viene ovviamente registrata e mette in panico gli allarmisti. Tuttavia, è importante ribadire che questa radioattività è a breve termine, e destinata a scomparire nell’arco di pochi giorni al massimo.
4. Durante lo sfiato avvengono le esplosioni. Le esplosioni avvengono al di fuori del terzo sistema di contenimento, tant’è che hanno distrutto solo l’edificio esterno e non i sistemi vitali della centrale, per fortuna. Sembra infatti che i tecnici ventilassero il vapore non direttamente nell’ambiente, ma all’interno dell’edificio stesso, per dare più tempo al vapore leggermente radioattivo di decadere. Purtroppo però l’acqua demineralizzata finisce, e i tecnici iniziano a pompare acqua di mare nel reattore. Le barre di zirconio infatti non sopportano temperature oltre i 2200 gradi, mentre l’ossido di uranio utilizzato come combustibile regge tranquillamente fino a 3000, essendo un materiale ceramico. Mantenere il contenimento primario delle barre integro diventa quindi l’obiettivo principale. Il problema sorge nel momento in cui l’acqua entra in contatto con il nocciolo, oramai quasi incandescente: oltre i 2000 gradi la molecola di H2O infatti si scinde, iniziando a liberare idrogeno (e ossigeno), che viene sfiatato assieme al vapore. Chiaramente questo idrogeno finisce per ricombinarsi con l’ossigeno presente all’interno dell’edificio, determinandone l’esplosione. Se vi sembra strano che l’idrogeno legandosi con l’ossigeno a formare acqua provochi un rilascio di energia, vi basti pensare che i motori dello Space Shuttle funzionano proprio in base a questa semplicissima reazione chimica.



Le condizioni attuali? Da un punto di vista meramente tecnico, in teoria il reattore ora è sicuro. Dico in teoria, perché nella mia spiegazione mi sono basato sulle informazioni riguardanti gli impianti che sono state diffuse dai media, sulle quali non ci sono conferme certe. L’acqua di mare allaga tutto, portandosi via il calore residuo di decadimento. Le barre di controllo e l’acido borico si occupano di assorbire i neutroni, scongiurando così le reazioni di fissione. Il tutto è ben all’interno del terzo guscio di contenimento, l’ultima linea di difesa. Non c’è stata la fusione del nocciolo, anche se ci siamo andati vicini. Per quanto riguarda gli altri reattori danneggiati, stanno andando incontro agli stessi tipi di difficoltà incontrati dal loro primo fratello. Cosa accadrà adesso non è dato di sapere, lo scenario peggiore di tutti attualmente rimane quello riguardande la possibile fusione del nocciolo. Anche in questo caso, in teoria, il terzo guscio di contenimento dovrebbe essere sufficiente a racchiudere qualunque schifezza venga a formarsi nelle prossime ore. Ma con il nucleare, il condizionale è sempre d’obbligo…



Per chi mastica bene l’inglese e vuole ulteriori aggiornamenti precisi e senza falsi allarmismi sulla questione, consigliamo vivamente la lettura di questo articolo per completare l’approfondimento: clicca qui
 
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